Le parole dei valutatori: Giampiero Bigazzi
Cosa significa essere un produttore artistico e un discografico?
“Il ruolo del produttore artistico è importante. Salvo che l’artista non abbia la capacità di “sdoppiarsi” fra essere l’interprete (e spesso anche l’autore) e il “supervisore” del proprio lavoro. Il produttore, infatti, ha un ruolo di coordinamento artistico e musicale dell’opera, ma di solito ne è anche il regista, l’arrangiatore e l’ispiratore. Quindi con un importante ruolo creativo, a fianco e in condivisione con i musicisti. È un ruolo utile, perché un orecchio, una sensibilità e anche un occhio esterno spesso sono necessari a chi crea la musica. Solitamente è anche il collegamento con chi registra e stampa il disco. Il discografico è la figura che realizza in modo esecutivo l’opera musicale. La promuove e, se gli riesce sotto questi chiari di luna, cerca di commercializzarla. Secondo noi di Materiali Sonori il discografico non deve essere solo un “ragioniere”, ma anch’esso un artista che ragiona”.
Cosa ti deve colpire al primo ascolto?
“Personalmente sto molto attento all’esecuzione, alla precisione, all’intonazione, agli arrangiamenti e alla struttura dei brani. Forse non è un buon approccio, ma è la prima cosa che ascolto. È una specie di “vizio” dovuto dalla lunga frequentazione della musica contemporanea e classica. Poi ovviamente ci deve essere lo spessore del progetto. L’originalità invece può essere un optional”.
Quale consiglio puoi dare a un giovane che inizia a suonare?
“Studiare, studiare, studiare. Non accontentarsi. Migliorare sempre. Fare gavetta. Suonare dal vivo. Registrarsi sempre, riascoltarsi e riflettere. Correggersi di continuo. Ascoltare più musica possibile. Essere curiosi. Ma poi fare le proprie scelte”.
Le nuove tecnologie (social network, MP3, ecc.) aiutano l’artista? Se sì, come credi che debbano essere utilizzate?
“È una buona opportunità. Oggi fondamentale. Insieme alla musica dal vivo, le due cose spesso s’intrecciano. I social vanno sfruttati pienamente. Tutti. Ma ovviamente non dovrebbero essere la partenza e l’arrivo del progetto. Perché se uno cammina restando sempre nello stesso punto, alla fine si scava una buca. Far vivere un progetto vuol dire anche confrontarsi con il pubblico vero, di persone reali. Inventarsi e mantenere rapporti diretti. E alla fine è la musica che vince. L’idea, la sua realizzazione. Spesso chi non raggiunge il successo trova un sacco di scuse: colpa della distribuzione, della promozione, del booking. Invece, quasi sempre, se non funziona, è colpa del progetto”.
Come vedi il futuro della musica (in generale) e di quella registrata (nello specifico)?
“Il problema è nelle capacità di “vendita”, non di diffusione e tanto meno di creazione. Queste crescono a dismisura, proprio grazie al digitale che invece è la tomba delle possibilità commerciali della musica registrata. Diciamo che la musica dal vivo, i concerti fatti da persone in carne, ossa, nervi, corde vocali e sudore, non si possono scaricare, si possono registrare o filmare e mettere in un file ma non è la stessa cosa”.
Un tempo l’esigenza di fare musica sembrava legata a un bisogno interiore dell’artista, oggi sembra più legata all’aspetto “figo” del fare musica e all’eventuale successo.
“E’ stato sempre così, diciamocelo, già quando ero poco più che adolescente mi era facile trovare fidanzate perché suonavo, è il fascino dell’artista. Oggi potrei dire che c’è un inizio e uno sviluppo (e quasi mai c’è una fine) nel fare musica, nel motivo per cui una persona si mette a scrivere musica e provare a trasmetterla al pubblico. L’inizio può essere, adesso come lo era anche 40 anni fa, perché fa “figo”. Poi c’è chi rimane su questa lunghezza d’onda e chi matura piano piano l’idea che si sta facendo arte. Ci si esprime con essa. E matura l’idea che questo possa essere un lavoro. Perché il mondo – per non morire – ha bisogno di musica, di arte e di bellezza. Ma detto questo non trascurerei l’elemento “divertimento”. Fondamentale come d’altronde il godimento che si prova nel suonare, comporre, cantare”.
Perché in Italia non si è mai creato un bacino numeroso d’ascoltatori rock come in altri Paesi (Germania, Francia, UK)?
“Non saprei, forse perché siamo ancora il Paese del Bel canto? O più materialisticamente non si è fatto nulla, nei decenni, per facilitare la diffusione della musica rock. Dico come facilità di organizzare, progettare, creare reti. Le istituzioni (e ci metto anche la televisione e la Siae) non hanno aiutato. Anzi spesso hanno boicottato. Noi siamo l’unico Paese nel mondo, dico nel mondo, ad avere una cosa come il Festival di Sanremo, quando lo raccontiamo ai nostri amici giapponesi, messicani, americani (ma anche belgi) non riescono neppure a capire di cosa si tratta”.
Oggi sembra ancora reggere l’aspetto legato ai concerti. Da musicista, produttore, discografico com’è cambiato il live?
“I concerti sono fondamentali. Anche se la crisi morde pure questo settore e le occasioni diminuiscono, ma ce ne sono ancora molte e poi uno se le inventa. Il live è cambiato nel senso che tutto è molto più professionale di quanto lo fosse venti anni fa. E questo aiuta la crescita dei giovani talenti, che devono insistere, anche se è sempre più difficile in questa fase: ma la cosiddetta “gavetta” è importantissima”.
Che cosa deve trasmettere una canzone in chi la ascolta?
“Una canzone deve raccontare. Sentimenti, stati d’animo, storie. Deve essere “semplice”, perché è la sua cifra stilistica e deve trasmettere essenzialità. Quando questa capacità di sintesi custodisce la profondità della narrazione e dei colori che si è voluto rappresentare, si catturano l’attenzione e i sentimenti di chi ascolta. In più, per quanto mi riguarda, resto legato molto anche a una cosa che ritengo necessaria, anzi urgente: la melodia”.
Ha senso pubblicare un supporto discografico (anche sottoforma di file) in questo periodo storico?
“Oggi viviamo una generalizzata, enorme, diversificazione degli strumenti di diffusione della musica. Non c’è più un supporto solo, come lo è stato per molti decenni. E c’è comunque una prevalenza di valore nella musica dal vivo. Quindi sembrerebbe quasi superfluo “fare un disco”. Ma non è così, penso al teatro e provo a fare un confronto… il disco è come il copione per il teatro. Fare un disco oggi (operazione fra l’altro molto più onerosa che stampare un libro) vuol dire dare il via a un progetto musicale che poi si sviluppa nelle “recite” (i concerti) dal vivo e cresce nella sua diffusione sui palcoscenici. Il disco è anche una forma di promozione del progetto stesso, un multiplo che spesso vive principalmente nella dimensione digitale on line. Ma resta un’opera d’arte, l’inizio e il cuore pulsante della produzione musicale”.
Giampiero Bigazzi
Produttore, editore, compositore, autore e musicologo, ha cominciato a suonare nel 1968 e ha legato il suo nome a quello dell’etichetta Materiali Sonori. Più “organizzatore di suoni” che musicista, ha collaborato con importanti artisti e band fra i protagonisti della musica indipendente e di ricerca in Italia e nel mondo. Scrive, organizza festival, mette in scena spettacoli di narrazione e di teatro minimo musicale.
Le parole dei valutatori: Roberto Trinci
Iniziamo dalla base: cosa significa oggi fare l’editore, rispetto a dieci anni fa?
“Al giorno d’oggi essere editore significa ritrovarsi al centro del nuovo mercato musicale, un mercato che non si basa più sulla vendita del supporto fonografico, ma che si sorregge su fonti di introito differenti. E tutto questo senza in compenso avere ancora i mezzi e le persone necessarie per sostenere questa rinnovata mole di lavoro”.
Quali sono le dinamiche che hanno fatto cambiare così tanto il mercato discografico, e quali conseguenze questo ha avuto sul tuo lavoro?
“Il motivo che sta alla base di tutti i cambiamenti avvenuti ultimamente è che ora si può “consumare” musica senza pagarla, quindi il mercato si è decisamente ristretto. Questa novità epocale ha avuto risvolti negativi, perché ci sono sempre meno tempo e soldi per sviluppare progetti nuovi, ma anche lati positivi, nel senso che in un mercato di questo tipo conta molto di più il pubblico reale e molto meno le strategie marketing adottate dalle major”.
Con l’evolversi del digitale, del web 2.0 e della musica liquida, per le case discografiche secondo te si sono aperte più possibilità oppure si è solo ristretto il margine di guadagno?
“In realtà sono successe entrambe le cose. E’ vero che il guadagno si è sensibilmente ristretto, ma contemporaneamente si sono anche diversificate le fonti da cui questo guadagno deriva. Il risultato più che altro è che tutto è molto frazionato e quindi anche più complicato da gestire”.
Quindi come vedi in generale il futuro della musica?
“Credo che il futuro della musica sarà buono, non penso proprio che la musica possa dirsi in pericolo. Anche se poco ma sicuro cambieranno ulteriormente le aziende che regolano il settore discografico e il modo che hanno di generare un fatturato che gli permetta di sostenersi, e di continuare a proporre nuovi artisti”.
Di sicuro una prima strada percorsa è stata quella dei Talent Show, che permettono alle case discografiche di sfornare ogni anno interpreti dal successo più o meno assicurato.
“In realtà a ben guardare i Talent Show inseriscono nel mercato musicale al massimo uno o due interpreti significativi all’anno, quindi non ritengo che abbiano cambiato un granché la situazione. In compenso offrono opportunità di lavoro per gli autori, e questa è la vera novità”.
Per la tua esperienza, ad ora quanti musicisti raggiungono ancora il successo dalla gavetta o dal mondo indipendente, e quanti invece attraverso talent show e simili?
“Diciamo che il rapporto è ancora a favore di cantautori e gruppi indipendenti che fanno il proprio percorso partendo dalle basi, dai concerti, dai locali. Alla fine la porzione di interpreti che arriva al successo attraverso i Talent è ancora abbastanza ridotta, quasi nemmeno un terzo del totale”.
Eppure ora come non mai sembra che il mondo indipendente e quello major non si incontrino, lavorino a compartimenti stagni. E che in compenso chi riesce a passare a una notorietà più ampia finisca a fare la parte del “venduto”…
“In realtà la mia impressione è proprio opposta, e che mai come negli ultimi anni indipendenti e major abbiano lavorato insieme. Basta guardare casi come quelli di Baustelle, Subsonica, Dente, Le Luci della Centrale Elettrica, Il Teatro degli Orrori… L’importante certo è che un artista nel momento in cui comincia a lavorare con le majors non inizi immediatamente a parlar male di quello che si è fatto fino a quel momento”.
Quale consiglio ti sentiresti di dare ad un giovane musicista che vuole arrivare a una major?
“L’unico consiglio che mi sento di dare è di darsi da fare per trovare un pubblico, perché solo quando hai già un pubblico, un tuo seguito, una major può essere coinvolta. Una volta era la major a occuparsi di “trovare” il pubblico a un artista, ora purtroppo non è più così”.
Quindi normalmente come entri in contatto con i nuovi artisti con cui lavori?
“Spesso mi capita di leggerne bene sulle riviste specializzate o sui Social Network, vado a verificare cosa trovo in rete e dopo aver ascoltato del materiale, se condivido i giudizi positivi che ho letto, mi metto direttamente in contatto con loro”.
Nel fare il discografico senti una sorta di responsabilità, come se stessi contribuendo a scrivere la storia della musica, o è una roba da film sul rock anni ’70?
“Beh, io in particolare questa responsabilità la sento e infatti cerco di non spingere mai cose che non approvo. In realtà però ormai il pubblico reale conta, per fortuna, molto più delle major e di chi lavora al loro interno quindi diciamo che la mia è una responsabilità limitata…”.
Lancio il sasso e nascondo la mano: da editore, se puoi, un commento sulla SIAE. Giusto perché nella sua storia più recente non è stata esente da scandali, moltissimi artisti soprattutto giovani iniziano a vederla sempre più come un monopolio opprimente piuttosto che come una fonte di tutela della propria opera.
“Mi limito a commentare che, diversamente da come pensano molti artisti, una SIAE funzionante sarebbe estremamente preziosa per tutti… Purtroppo però non sempre si ha la sensazione che riesca a sviluppare tutte le sue enormi potenzialità”.
Roberto Trinci
Laureatosi nel 1991 con il massimo dei voti ed una tesi sull’utilizzo delle perversioni sessuali nel marketing discografico, consegue un Master in Business Comunication presso Cà Foscari e dal ’94 inizia a lavorare come band manager per Elio e le Storie Tese e label manager di Casi Umani, Psycho Records, Casasonica. Head of A&R in BMG Music Publishing dal 1997, nel 2005 diventa Direttore Artistico di EMI Publishing Italia, oggi Sony/emi Publishing. Ha firmato e scoperto, tra gli altri: TARM, Subsonica, Baustelle, Dente, Zen Circus, Il Pan del Diavolo, Perturbazione.
Le parole dei valutatori: Carlo Bertotti
“Tricarico qualche anno fa ha scritto che la musica lo aveva salvato.
Ecco, in qualche modo potrei dire la stessa cosa: negli anni in cui la politica era ancora un ideale, quando indossare certi capi di vestiario o frequentare un certo locale determinava la tua appartenenza ad una data “tribù” la musica mi ha salvato. Dalle botte, dalla noia, dalla famiglia, dal conformismo.
Il concetto di “fare musica” negli ultimi decenni è cambiato radicalmente. Fino alla fine degli anni ‘80 si scriveva musica e si suonava, con un gruppo o da soli, in sala prove o in cantine umide.
Amplificatori, chitarre e synth si avvicendavano a seconda dei generi e i punti di riferimento erano artisti che hanno fatto la storia della musica e non intuizioni da un album e via come spesso accade nel terzo millennio.
La musica si comprava, non si rubava. Un album in uscita di un artista di cui eri fan lo assaporavi settimane prima e quando lo avevi tra le mani consumavi la copertina rileggendoti i crediti e guardandoti le foto a loop.
Dai novanta in poi la tecnologia ha determinato una frattura: da una parte chi ha continuato a fare musica come prima, dall’altra chi ha cominciato a usare le infinite possibilità di computer e campionatori per emanciparsi e creare in autonomia il proprio progetto. Tutto normale: qualcuno direbbe evoluzione della specie anche perché questa nuova impostazione di lavoro ha permesso l’affermazione di artisti di caratura mondiale.
Peccato però che le derive di questa “democrazia tecnologica” abbiano portato alla nascita di una modalità di fare musica del tutto differente. Quando ho cominciato a sentir dire a giovincelli trendy che la sera andavano a “suonare” in un locale armati di una borsa piena di cd e un paio di vinili ho capito che c’era un problema.
Faccio un distinguo: i deejay non sono una categoria da mettere all’indice. Qualche pezzo che senti alla radio non è neanche malaccio, per carità. Ma non venitemi a dire che un cappellino da baseball calcato all’incontrario sulla capoccia, un paio di tatuaggi, un mixerino e la borsa di cd che ti porti a tracolla fanno di te un musicista. Perché non è così, la musica è altro, scrivere musica è altro. Caparezza ha scritto “più stratocaster e meno dj”. Ecco, appunto.
Un giorno, nei primi anni ‘90 un mio caro amico discografico mi raccontò che un membro di un importante gruppo della mia stessa etichetta (gente che vendeva ai tempi parecchi album) gli aveva detto che avrebbe voluto scrivere una colonna sonora. Figo. Peccato che non sapeva neanche cosa fosse una nota, il suo mestiere nel gruppo presso cui militava consisteva nel far girare cd su cui l’altro tipo rappava. Ha anche tentato in seguito una carriera solista durata lo spazio di una stagione, forse meno. Mi sono sempre chiesto perché qualcuno avesse tirato fuori soldi per una minchiata epocale come quella, ma in questo Paese funziona così, anzi funzionava così perché adesso hanno finito i soldi.
Ho cominciato a seguire giovani artisti quando ho smesso di stare su un palco, ci si scrive, si confrontano idee e si danno consigli. Poi ognuno segue il suo istinto.
Ma a chi vuole fare musica oggi, a chi crede che la cosa lo faccia stare bene suggerisco un’unica cosa: prendete quello che vi serve, vestiti, strumenti, un po’ di soldi. Salutate a casa e prendete il primo aereo con destinazione a piacere. Il nord Europa, l’Australia, gli Usa, dove c…. volete ma andatevene di qui.
In Italia non si può fare. Non esiste la benché minima possibilità che ce la possiate fare. Potete avere il talento più cristallino, le idee più innovative, un carisma monumentale ma nulla vi salverà dall’indifferenza e dalla frustrazione ma soprattutto dall’insipienza di chi la Musica la dovrebbe proteggere e far crescere. Guardatevi da discografici, manager, direttori “artistici”, impresari, da chi lavora nelle radio, dai pennivendoli e imbrattacarte di chi scrive di musica e non ne sa nulla.
Quelli bravi hanno smesso da tempo oppure hanno lasciato da parte entusiasmi e ideali e pensano che dopotutto c’è ancora un mutuo da pagare o una ex moglie da mantenere.
Io non credo in un Paese dove le etichette più importanti investono ormai quasi unicamente su chi esce da un talent show.
Non credo a promoter che propongono date a rimborsi spese ridicoli o spesso inesistenti.
Non credo alle radio che fatturano cifre da capogiro grazie alla pubblicità e trasmettono musica da rincoglioniti.
Non credo più ad un Paese che non protegge un bene fondamentale come la cultura.
Pochi giorni fa una mia amica mi ha detto che gli hipster sono i mod del nuovo millennio. Volevo ammazzarmi perché probabilmente aveva ragione e questo spiega tutto.
Ma per questa volta metto da parte i barbiturici e soprassiedo: ho un mutuo da pagare e una ex moglie da mantenere anche io.
Ps: rileggendo queste righe sembra abbia un conto aperto con rap e hip hop. Niente di più sbagliato. Dai De la Soul ai Beastie boys la lista di chi fa bene questo mestiere è lunga. Anche in Italia. Un esempio: Salmo.
Una spanna sopra tutti”.
Carlo Bertotti
Autore, produttore e musicista, inizia la propria attività nei primi anni ’90 come compositore di musiche per cortometraggi e pubblicità. Nel 1996 fonda i Delta V insieme a Flavio Ferri, formazione con cui scrive e produce 6 album durante il decennio successivo. Parallelamente ha scritto e remixato brani per molti artisti italiani (Ornella Vanoni, Garbo, Alex Baroni, Baustelle, Angela Baraldi), e ha collaborato con Neil Maclellan (produttore di Prodigy e Nine Inch Nails), JC001 (Nitin Sawhney, Le Peuple de l’Herbe), Roberto Vernetti (La Crus, Elisa, Ustmamò).
Taste of Cindy – SONDAinONDA
I Taste of Cindy nascono verso fine del luglio 2013 grazie all’impegno di Riccardo e Alessandro, che dopo qualche tempo riescono finalmente a trovare gli ementi mancanti alla band, Laura al basso e Phil Gold alla batteria. Per dare un’idea di quali siano le coordinate musicali su cui si muovono, si sono formati poco prima di vedere gli Arctic Monkeys, e di comprare Psychocandy.
Nel freddo gennaio del 2015 esce il demo autoprodotto “Si muore solo la domenica mattina”, contenente pezzi inediti, in italiano e inglese. Durante la scorsa estate però qualcosa è cambiato, la band sceglie di esprimersi solo in lingua madre e di registrare un nuovo EP, “Scivolo”, in uscita per la neonata etichetta/collettivo Tempura Dischi.
Questo e molto altro i Taste of Cindy ce lo hanno raccontato nell’intervista che trovate qui sotto, prima di lasciarci con una versione acustica della loro “Dakota”.
Oscar di Mondogemello – SONDAinONDA
Oscar di Mondogemello è in realtà Ivan Borsari, è per gli ultimi venti anni ha suonato la batteria in diverse formazioni modenesi. Poi, improvvisamente, decide che la batteria non è più il suo posto sul palco, e si reinventa: compra una chitarra, una loop station, inizia a scrivere brani e ad esibirsi in giro.
Dopo un primo EP omonimo, nel 2015 Oscar di Mondogemello esce con un secondo EP intitolato “Miele”, che segue lo stile lo-fi della prima pubblicazione, anche se con qualche aggiornamento. Di questo e di molto altro abbiamo parlato nell’intervista che trovate qui sotto, mentre se volete ascoltare qualcosa qui trovate il video di “Vola”.
Charlie Shuffle – SONDAinONDA
I Charlie Shuffle vengono da Reggio Emilia, e nascono nel 2011. La loro storia è quella di tante band nostrane: qualche anno di gavetta, prove in una taverna di qualche buon amico, nei garage, al caldo nei mesi d’estate, al freddo nei mesi invernali. Poi arriva la sala prove, la band diventa una famiglia, si da sfogo in libertà alla musica e alla creatività.
I Charlie Shuffle definiscono la loro musica Urban Funk. Perché la loro musica è quella dell’uomo urbano, dell’uomo moderno. L’uomo che, attraverso melodie e armonie che lo richiamano al sound passato (quello del soul, del blues, del funk), riesce al contempo a vivere il presente, ascoltando ciò che i nostri testi e la nostra musica racconta.
I Charlie Shuffle sono: Elizangela Torricelli (Voce), Noemi Tommasini (Voce), Paolo Burani (Chitarra), Gabriele Fava (Sassofono), Alessandoro Cupello (Basso), Gabriele Genta (Percussioni), Daniele Nasi (Sassofono), Francesco Cupello (Tastiere), Tommaso Lodesani (Batteria), Gabriele Polimeni (Tromba).
I Charlie Shuffle hanno un disco in uscita, che ci sono venuti a raccontare nell’intervista che trovate qui sotto, e ci hanno lasciato un brano intitolato “Charlie Street” che potete ascoltare a questo link.
Dea Dea – SONDAinONDA
Sono nati circa un anno fa i Dea Dea, duo rock proveniente da Modena e formato da Davide Reggiani e Steven Esposito. Chitarra e batteria, i due ragazzi suonano rock in Italiano, influenzato dalla scena alternativa nazionale, e hanno un album pronto per essere pubblicato nei prossimi mesi.
Abbiamo intervistato i Dea Dea, che a fine intervista ci hanno lasciato una versione acustica di un loro brano, intitolato QDV.
Fabrizio Luglio – SONDAinONDA
Fabrizio Luglio nasce a Torino, città in cui si forma musicalmente: tra il 1988 e il 1993 studia chitarra jazz e inizia ad esercitarsi sulla composizione di testi e musica originali. Nel 1994, come compositore e chitarrista, collabora al progetto Noesis: 20 musicisti dell’area torinese uniti nella realizzazione di 25 brani inediti prodotti da Edimedia Edizioni srl e, per un breve periodo, eseguiti sui circuiti nazionali.
Nel 1995 fonda il gruppo rock-progressive Incommunicado, di cui è voce solista e chitarra ritmica, oltre che compositore di testi e musiche, e con cui pubblicherà tre album (“Fiction”, “L’alba del viaggio” e “Musica per gerani”) tra il 1998 e il 2011. Nel 2003 Fabrizio si trasferisce a Bologna e inizia la sua attività di bassista e cantante prima con i Casababylon e poi con gli Stati Febbrili.
A metà 2013 inizia la registrazione del suo primo album solista, contenente alcuni brani rivisitati e nuove composizioni in collaborazione con l’associazione musicale RealSound di Bologna e con il musicista e arrangiatore Marco Anderlini.
Il 16 dicembre 2015 viene pubblicato sulla rete il videoclip del brano “Il Viaggio Più Lungo”, per la regia di Oscar Serio.
A metà febbraio esce il nuovo disco “Senza Disturbare“. A fine intervista un’anteprima acustica in esclusiva della canzone che da il titolo all’album.
Sonda Live: le aperture nei locali partner 2015/2016
Ecco le aperture confermate con gli artisti di Sonda per questa quarta stagione di collaborazione con live club e festival dell’Emilia Romagna:
LOCOMOTIV CLUB
– 28 ottobre: Malascena in apertura a Bachi da Pietra
– 26 novembre: Cabrera in apertura a Todo Modo
OFF
– 12 marzo: Palco Numero Cinque (vincitori del Concorso Libera la Musica) in apertura a Diaframma
– 1 aprile: Taste of Cindy in apertura a Kutso
– 2 aprile: Ferormoni in apertura a Garbo
DIAGONAL
– 30 marzo: Indi Go in apertura a Exchampion
Incontri con i valutatori 2016
Il Centro Musica ripropone quest’anno gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri, rivolti principalmente e musicisti e gruppi musicali, sono aperti a tutti.
Si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; tutti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.
• sabato 20 febbraio 2016, dalle 14 alle 18
Incontro con Marcello Balestra (produttore-editore musicale); Marco Bertoni (produttore, musicista); Giampiero Bigazzi (produttore discografico, musicista); Daniele Rumori (direttore artistico Covo Club).
• sabato 2 aprile 2016, dalle 14 alle 18
Incontro con Carlo Bertotti (produttore e autore); Gabriele Minelli (A&R manager di Universal Music Italia); Roberto Trinci (direttore artistico Sony/Emi Music Publishing).
Gli incontri si terranno presso l’Off all’interno del nuovo polo 71MusicHub (Via Morandi 71 – Modena) dalle 14 alle 18.
Ingresso gratuito.