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Category Archives: Gli ascolti di Sonda 2020

MORIEL: Emma Stone Ep

Un ep, due facce della stessa medaglia, due singoli pop prodotti a regola d’arte, memorabili e accattivanti. “Emma Stone” è il brano che dà il nome alla release, una canzone d’amore carica di tutto l’entusiasmo che caratterizza le fasi iniziali di una relazione. I piccoli gesti vissuti trattenendo il fiato, i primi progetti, l’impressione immersiva che esista solo l’altro a dare luce alle proprie giornate. È tutto perfetto e irrinunciabile. Poi cala il tramonto e inspiegabilmente, quasi senza accorgersene, il rapporto si sgretola, in un moto perpetuo e inarrestabile. “Non ci ripensi mai” è la break up song per chi si è arreso agli eventi. Una stanchezza atavica, accompagnata da una chitarra acustica indolente, traccia i passi di un cammino senza possibilità di ritorno. “Saremo solo scritte sui muri”. E allora, come una specie di caccia al tesoro, leggiamo tra le righe un messaggio di speranza. Sulla pagina Facebook dell’artista spicca un’immagine, un murales che recita: “oggi ti succederà una cosa straordinaria”. Allora non possiamo che augurare a Moriel “cose straordinarie”.

(Autoprodotto) Digitale

MEDICAMENTOSA: Floodd

Bruno Mari è Mediocamentosa. Medicamentosa è Bruno Mari. Due facce della stessa medaglia che lanciata in aria è atterrata al suolo con il terzo parto discografico “Floodd”, un ep con cinque brani che vive, anche lui, in una sorta di parallelismo tra il prima e il dopo. Il prima è la Terra ancora viva e vegeta, il secondo è il pianeta sommerso dalle acque dove l’uomo cerca disperatamente di adattarsi. Un lavoro che ha in “Avremo le ali e le branchie” il pezzo che fa da spartiacque (parola non fu mai più azzeccata) tra la meditazione e la psichedelia. “Floodd” è un disco di musica elettronica, di vapor wave, di pop ambient. Un grido d’allarme. Una sirena che ci invita a vedere il mondo sott’acqua perché le terre emerse non ci saranno più. Rispetto al precedente lavoro, dove i richiami afrobeat erano l’ossatura, qui Medicamentosa ha deciso di entrare in un vortice di silicio siderale, di psichedelia che nella sua voce ricorda il Garbo dei primi album, che a sua volta ricordava il Bowie del periodo berlinese. Un gioco al rimpiattino tra passato e futuro che lascia a bocca aperta. Tecnologia futurista.

(Tempura Dischi) CD

MARBLE HOUSE: Embers

Ogni genere musicale vive dentro le sue regole. Se il primo album dei Circle Jerks (gruppo hardcore punk americano) durava 15 minuti e 40 secondi, la sola canzone che chiude l’ep di debutto dei bolognesi Marble House è lunga 24 minuti e 43 secondi. Una suite che può essere apprezzata da tutti coloro che amano il prog e le sonorità di band come Porcupine Tree o Genesis, per citare il passato e il quasi presente. Non per niente l’uso di strumenti quali Hammond, Farfisa o Mellotron sono pura formalità per i Marble House, che si divertono un mondo a passare da momenti di furore strumentale a delicati passaggi vocali. In questo ep che dura come un album, energia e irrequietezza vanno di pari passo, equilibrio e spaesamento si danno la mano, mentre la band è intenta a portare a segno un risultato strabiliante. “Embers” è un disco anni ’70 calato nell’attualità dell’oggi. I Marble House dovrebbero espatriare e cercare fortuna all’estero. Dimostrare a tutti quanti che dall’Italia possono arrivare band degne di sedersi accanto ai nomi internazionali altisonanti. I Marble House sono i nostri King Crimson. Può bastare o abbiamo esagerato?

(Lizard Records) CD

LUDWIG MIRAK: É quasi l’alba

“É quasi l’alba” è un disco estremamente umano e ha un’anima folk che abbraccia e stringe, delicatamente. Ludwig Mirak non è un nome totalmente sconosciuto ai più, da X Factor al Bungaro Stage, ha cambiato diversi abiti artistici sino a indossare quello che lo veste meglio, una musica d’autore che narra di vicende comuni e profonde, con un trasporto autobiografico calzante e mai banale. Continua dunque a fare da traino un bel canto che non deluderà i fan del pop italiano più inflazionato, con ritornelli catchy e melodie memorabili, ma non mancherà nemmeno una firma personale, che inizia a trasparire dalle otto tracce dell’album. Interessanti le incursioni rock e grunge che spezzano il sentimentalismo e lasciano spazio a virate rabbiose, generando curiosità sulla futura trasposizione dal vivo, già segnata in passato da opening act di rilievo (Ghemon e Carl Brave, per citarne due). Il forte senso d’identità e una consapevolezza non solo artistica e vocale fanno di Ludwig uno degli artisti pop più interessanti del panorama modenese. Da tenere d’occhio.

(Autoprodotto) Digitale

ANDREA LORENZONI: Senza fiori

Andrea Lorenzoni giunge alla sua nuova e seconda fatica con un curriculum di tutto rispetto. Dopo aver militato in diverse formazioni musicali bolognesi pubblica una raccolta di poesie e il primo libro di componimenti. Nel 2017 arriva il disco solista “Mondo Club” e ora “Senza fiori”, un album poliedrico come la personalità dell’autore. Premesse alquanto necessarie per affrontare una produzione che incuriosisce da subito, ma necessita di numerosi ascolti per essere apprezzata appieno. La forma canzone viene qui a tratti attraversata da parte a parte, a tratti circumnavigata, andando a toccare sponde e nuovi lidi. Si passa quindi da brani che strizzano l’occhio a sonorità anni Ottanta, tra synth modulari e batterie iper compresse, a incursioni hard rock e pop. La scrittura è eclettica e complessa, pragmatica e onirica. Lorenzoni affronta temi di un certo peso specifico: l’omofobia, il razzismo, il rapporto uomo-donna, la religione vista come “opera d’arte” e la dicotomia fra teoria e pratica. “Senza fiori” è indubbiamente un album colto e ben arrangiato, che troverà posto nelle orecchie degli ascoltatori più attenti. Per i fan di Lucio Dalla (e del primo Morgan).

(Dimora Records) CD/Digitale

LEI, (NO) INNOCENCE: Innocence

I Lei, (No) innocence sono un duo di base a Bologna, composto da Gabriele Chinè Milieri e Giuseppe Cassano. “Innocence” è il loro primo vagito discografico, un album intriso di dark ambient che potrebbe fare la gioia di molti appassionati di sonorità al silicio. Il disco è un “concept” sulla purezza e la solitudine, composto da innumerevoli strati e concepito come un’opera unica divisa in dieci movimenti. “Innocence” è il dolce che diventa salato, la felicità che assume le sembianze della disperazione. Dal vivo i brani sono accompagnati da visual espliciti, un serrato montaggio di immagini pornografiche anni ’60. I loro videoclip sono stati oscurati sulle piattaforme come YouTube, mentre l’artwork dell’album è una foto trattata appartenente alla collezione “National child labor committee”, che documenta le condizioni di lavoro, soprattutto di donne e bambini, negli Stati Uniti nei primi del ‘900. Silenzi, distorsioni, nebbia sonora, sibili e anfratti sonori sono gli angoli appuntiti di questo lavoro. Un disco da ascoltare con paziente attenzione, magari comodamente seduti e in cuffia. Lei, (No) innocence vuole disturbare, punzecchiare ed infastidire.

(A Buzz Supreme) CD/Digitale

LE ZAMPE DI ZOE: Cinema Lumière

Le Zampe di Zoe sono un progetto musicale nato nella pianura modenese intorno alla fine del 2016 dall’unione di due avventure soliste, quella di Edoardo Baschieri e di Elisa Debbi. Insieme hanno cominciato a scrivere i brani che compongono il debutto discografico intitolato “Cinema lumière”, un ep con sei tracce che rendono più piacevole qualsiasi giornata nata col piede storto. Il disco inizia la sua scanzonata passeggiata con “Sacchetto per il vomito”, canzone nelle mani di Edoardo che sembra uscita da un disco di qualche cantautore di it.pop tanto in voga in queste stagioni. La perfetta partenza per un lavoro che poi passa di mano e comincia a diventare una brezza marina che ti accarezza il volto. “Il ballo dell’ortica”, cantata da Elisa, è una bella canzone che saltella leggiadra sul prato della vita, mentre “Cinema lumière” è il modo perfetto per buttarsi in una storia d’amore attraverso film d’autore o scene che dimentichi appena terminate. Le Zampe di Zoe mettono di buon’umore, novelli cantastorie di un’Italia che cerca di scrollarsi dalle spalle usi e costumi senza volerlo realmente. In chiusura “Amen” semplicemente sublime.

(Cincilla Records) CD

LE PICCOLE MORTI: Vol. 1

Una volta c’erano gli Old Scratchiness (un paio di uscite discografiche al loro attivo). Oggi ci sono Le Piccole Morti ed un cambio di suono decisamente marcato rispetto al passato. Dal rock grunge al dark dove la luce fatica a penetrare. Dal nome scelto fino alla grafica, passando per un sound cupo e tenebroso, Le Piccole Morti con questi cinque brani si gettano tra le braccia di venature poetiche, atmosfere sognanti ed introspezione a profusione. Testi in italiano affondano i denti nell’anima (con qualche riferimento ben chiaro) e nella luce del sole (nel dark è quasi un controsenso). Per esempio, ascoltare “Disamore” significa entrare dalla porta sul retro nella casa de Il Teatro Degli Orrori ed essere accolti da Pierpaolo Capovilla. Nei restanti brani alcuni echi di Litfiba, Editors e della scuola cantautorale italiana fanno capolino, senza però inficiare la qualità del progetto del quartetto. Tra i ringraziamenti, invece, figurano Marco Bertoni e Nicola Manzan. Ecco, il cerchio si chiude e Sonda sorride colma di felicità. “Piccole morti, quali ricordi, le aspetti e ti accorgi, i giorni sono più corti”, parole che chiudono l’ep con sei minuti di delirio cosmico.

(New Model Label) CD

LA CONVALESCENZA: Palafitte di creta

Le palafitte ci ricordano gli elefanti di Dalí: hanno una massa enorme da reggere, ma una superficie d’appoggio minima. Eppure stanno su. Quasi sempre. Ce la fanno in qualche modo, con la dignità che solo gli equilibri precari sanno dare. Anche noi ci sentiamo così, palafitte enormi su zampe rachitiche. Questo ep parla di instabili equilibri e disequilibri stabili e di come tutti noi, nemici della noia, ci culliamo fra le loro onde. È con queste parole che La Convalescenza, quartetto rock di Modena nato nel 2016, descrive il suo nuovo ep intitolato appunto “Palafitte di creta”. Il disco arriva a tre anni di distanza dall’esordio con “L’eco della clessidra”, e vede la band maturata in particolare dal punto di vista del sound, arricchito dalla presenza di sintetizzatori e sequenze spesso in primo piano, smussato nei suoni delle chitarre, complessivamente meno crudo ma senza rinunciare ad una componente grezza e istintiva imprescindibile per chi vuole fare rock. Nella tracklist, da segnalare la opener “Uguale al mare” e il brano “Fatti di scambi”.

(Wavemotion Recordings) CD/Digitale

IRIDE: L’alba ritorna

“Nasce tutto dentro Manitese, un capannone mistico tra Massa e Finale Emilia, qualche disco dei Kings of Convenience e qualche altro di Colapesce. Una chitarra, un basso, una batteria e una valanga di sincere intenzioni”: così si presentano gli Iride, quartetto di Massa Finalese formato da Matteo Verona, Tommaso Malaguti, Stefano Resca e Andrea Zurlo. Il loro sound però è una combinazione di tantissime influenze che si compattano grazie ad una matrice comune rock/grunge, risultando in un suono potente e fragile, armonico e dissonante, seguendo quel percorso che in Italia parte dai Verdena e arriva ai Fast Animals And Slow Kids, passando per esperienze territorialmente più vicine come quelle di Fine Before You Came e Gazebo Penguins. Attraverso questo filtro gli Iride (perdonate il gioco di parole) guardano l’orizzonte piatto della bassa emiliana, e in questo “L’alba ritorna” ce ne raccontano le speranze, gli egoismi, le solitudini, la rabbia. Un esordio sincero, asciutto nei suoni e diretto nei contenuti.

(Autoprodotto) Digitale