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I Live di Sonda visti da voi: Sapone Intimo

SAPONE INTIMO

Off 14/11/2013 – main guest Kutso

Sapone-Intimo-okNon si aspettavano certo grandi novità i modenesi Sapone Intimo, all’alba della data che li attendeva all’OFF di Modena: un po’ perché il locale è uno dei più conosciuti nell’ambito live cittadino, un po’ perché giocavano in casa, un po’ perché quel palco già lo conoscevano. A parlare è Penne, chitarrista della colorita band emiliana: “Frequentiamo l’Off fin dalla sua apertura, tra invernale ed estivo era la quinta volta che ci suonavamo, inoltre conosciamo bene i due gestori (Valerio e Filippo) e con loro ci siamo sempre trovati bene”. Quindi, una garanzia. Ma l’headliner della serata, i romani Kutso? Anche su questo versante intesa perfetta, sintetizzabile con un aneddoto che coinvolge proprio i chitarristi delle rispettive formazioni. “Ero in camerino che stavo preparando il mio vestito”, racconta Penne, “Quella sera avevamo deciso di vestirci indossando semplicemente un sacco del pattume. Mentre stavo scrivendo sul mio ‘Io sono il Punk’, si avvicina Donatello (il chitarrista dei Kutso). Dopo avergli spiegato che quello sarebbe stato il mio abito per il concerto, mi disse che aveva intenzione di vestirsi da Ultimate Warrior, cosa che secondo lui non aveva mai fatto nessuno. ‘Guarda’, gli dissi, ‘io l’ho fatto un paio di settimane fa’. La sua risposta fu ‘niente, allora mi vestirò normale, ora so che Modena oltre che la città della musica è anche la città della moda’. Donatello si vestì da Ultimate Warrior 6 mesi dopo, quando i Kutso suonarono al Concerto del Primo Maggio”. Dress code a parte, la serata ha raccolto ottimi consensi tra il pubblico, riconfermando come sia importante permettere a band emergenti di confrontarsi con professionisti del settore: “Se fosse per me, io farei una legge dove ad ogni concerto di un artista o gruppo famoso, ci sia l’obbligo di avere una o più band emergenti locali di apertura”. Che dire? Penne for President!

 

I numeri di Sonda

_DSC5597Un anno ricco di belle sorprese, quest’ultimo, per SONDA. Novanta nuovi artisti (settembre 2013 – settembre 2014) sono entrati a far parte della “grande famiglia” inscrivendosi al progetto, avendo fatto la sua conoscenza, in particolare, tramite i social network. A maggio 2014 è uscita la terza compilation di SONDA, SONDA vol.3, presentata ufficialmente nella sede del Centro Musica: una selezione di 15 gruppi e musicisti emiliano-romagnoli, che hanno avuto la possibilità di trascorrere una giornata in studio con il produttore Marco Bertoni. La partnership con le etichette discografiche, ha portato al primo grande ed importante risultato per noi di SONDA, ovvero la pubblicazione del vinile 7” da parte della Covo Records, che vede protagonisti i bolognesi Altre di B ed Absolut Red. Per quanto riguarda la rete dei Live Club dell’Emilia Romagna, tra settembre 2013 e settembre 2014, 10 artisti iscritti a Sonda si sono esibiti in apertura ad altrettanti concerti all’Off di Modena di band quali Criminal Jockers, Jack Jaselli, Riccardo Sinigallia, Kutso. Il Bronson di Ravenna ha affidato ai The Ashman l’apertura del concerto di Piers Faccini; il Calamita di Cavriago ai Divanofobia quella di Maria Antonietta. Altra apertura al Diagonal per il concerto di Quilt. Il Covo club di Bologna ha ospitato Ed in apertura a Villagers e Natan Rondelli per Anna Calvi. Tre gruppi iscritti hanno partecipato al concerto del Capodanno Modenese di Paolo Belli, davanti ad una piazza gremita all’inverosimile. Francesco Galavotti ha introdotto il concerto di Nada in occasione del 25 aprile in piazza XX settembre a Modena. 6 gruppi hanno partecipato alla Festa della Musica, esibendosi il 21 giugno su un palco a loro dedicato, sempre a Modena. Le Mura di Mos hanno partecipato al concerto Modena, 29 Settembre a fianco di artisti del calibro di Paolo Benvegnù e Roberto Vecchioni. Nell’ultimo anno per SONDAinONDA abbiamo intervistato 16 gruppi. Tutte le interviste sono raccolte nel nostro canale youtube, www.youtube.it/CentroMusicaModena, che conta più di 23.000 visualizzazioni totali. Su soundcloud, www.soundcloud.com/centromusicamodena, è possibile ascoltare e downloadare (gratuitamente e legalmente) i brani dei musicisti iscritti, oltre alle nostre produzioni, con la possibilità di invio nuovi brani. Nel 2014 abbiamo superato gli 8300 ascolti. SONDA ed il Centro Musica, sono presenti sul web con il sito www.musicplus.it che conta una media di 2200 visite mensili; mentre il sito dedicato al progetto, sonda-t.comune.modena.it, ha una media di 500 visite mensili.La pagina www.facebook.com/centromusicamo, ha superato i 6.000 fan.

Sonda Vol.3

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Quale migliore momento se non il ventennale del Centro Musica per presentare finalmente SONDA vol. 3: la terza compilation completamente targata SONDA. Una selezione di 15 su oltre 500 fra solisti e band residenti in Emilia Romagna, che il progetto Sonda ha portato in studio per registrare un brano. Per alcuni degli artisti coinvolti si è trattata della prima esperienza in uno studio di registrazione e, soprattutto, la prima volta con un vero e proprio produttore artistico.

Il cd, il terzo della serie SONDA, è frutto di un anno di confronto creativo e professionale particolarmente intenso tra musicisti e produttore. La compilation è stata realizzata dallo studio Ghee di Bologna con la supervisione del musicista, produttore e storico valutatore di Sonda Marco Bertoni. Dopo Sonda vol. 1 nel 2010 con 25 brani e Sonda vol. 2 del 2012 con 15, Sonda vol.3 è una nuova mappa di quello che si muove a livello regionale in ambito musicale, un ambito estremamente variegato. Il cd si apre con l’alternative metal dei romagnoli Ayokera con “Cocaine Generation”. In un crescendo la compilation vede protagonisti, nell’ordine: il louder grunge dei pavullesi The Monolith con “The Scarred” a cui segue una carrellata di modenesi. I Settembre Adesso con la loro “Proteggimi”; The Chicken Queens, duo garage blues, con “Sorrow Blues”; gli electro alternative The Ashman con “Engine of the world”; i bolognesi The Talking Bugs con “Random”; il cd prosegue con il jazz di “Non peggiorare le cose” dei Foursome; i bolognesi Divanofobia ed i loro “Incontri poco romantici”; i Korach ci presentano “Il Conto” come traccia numero nove; si ritorna alla provincia modenese con il gruppo più giovane, quello degli Undercover Brothers con “Non sanguiniamo più”; modenesi anche i May Gray e la loro “Tormentata baby”; il cd si avvia a conclusione con Natan Rondelli da Bologna in una sperimentale (rispetto ai suoi classici) “Someone will save you”; tocca poi al crossover degli Exit Limbo con “Nemesis”; i Not Dead Yet interpretano la loro “Purchase”; e il cd si chiude nel migliore dei modi con Dani Male e la sua “Bolla di cartilagine”. Per la copertina è stato scelto il lavoro che Dipankara (Davide Montorsi) aveva realizzato per la pagina centrale dello scorso numero di Musicplus.it, che meglio di qualsiasi altra illustrazione, riesce a comunicare lo spirito del progetto, la musica che diventa linfa vitale e cuore pulsante per un’intera regione.

Il cd, stampato in 1000 copie, è in distribuzione gratuita fino ad esaurimento presso il Centro Musica. È possibile ascoltarlo e scaricarlo all’indirizzo soundcloud.com/centromusicamodena

 

Le parole dei valutatori: Giampiero Bigazzi

untitledCosa significa essere un produttore artistico e un discografico?

“Il ruolo del produttore artistico è importante. Salvo che l’artista non abbia la capacità di “sdoppiarsi” fra essere l’interprete (e spesso anche l’autore) e il “supervisore” del proprio lavoro. Il produttore, infatti, ha un ruolo di coordinamento artistico e musicale dell’opera, ma di solito ne è anche il regista, l’arrangiatore e l’ispiratore. Quindi con un importante ruolo creativo, a fianco e in condivisione con i musicisti. È un ruolo utile, perché un orecchio, una sensibilità e anche un occhio esterno spesso sono necessari a chi crea la musica. Solitamente è anche il collegamento con chi registra e stampa il disco. Il discografico è la figura che realizza in modo esecutivo l’opera musicale. La promuove e, se gli riesce sotto questi chiari di luna, cerca di commercializzarla. Secondo noi di Materiali Sonori il discografico non deve essere solo un “ragioniere”, ma anch’esso un artista che ragiona”.

Cosa ti deve colpire al primo ascolto?

“Personalmente sto molto attento all’esecuzione, alla precisione, all’intonazione, agli arrangiamenti e alla struttura dei brani. Forse non è un buon approccio, ma è la prima cosa che ascolto. È una specie di “vizio” dovuto dalla lunga frequentazione della musica contemporanea e classica. Poi ovviamente ci deve essere lo spessore del progetto. L’originalità invece può essere un optional”.

Quale consiglio puoi dare a un giovane che inizia a suonare?

“Studiare, studiare, studiare. Non accontentarsi. Migliorare sempre. Fare gavetta. Suonare dal vivo. Registrarsi sempre, riascoltarsi e riflettere. Correggersi di continuo. Ascoltare più musica possibile. Essere curiosi. Ma poi fare le proprie scelte”.

Le nuove tecnologie (social network, MP3, ecc.) aiutano l’artista? Se sì, come credi che debbano essere utilizzate?

“È una buona opportunità. Oggi fondamentale. Insieme alla musica dal vivo, le due cose spesso s’intrecciano. I social vanno sfruttati pienamente. Tutti. Ma ovviamente non dovrebbero essere la partenza e l’arrivo del progetto. Perché se uno cammina restando sempre nello stesso punto, alla fine si scava una buca. Far vivere un progetto vuol dire anche confrontarsi con il pubblico vero, di persone reali. Inventarsi e mantenere rapporti diretti. E alla fine è la musica che vince. L’idea, la sua realizzazione. Spesso chi non raggiunge il successo trova un sacco di scuse: colpa della distribuzione, della promozione, del booking. Invece, quasi sempre, se non funziona, è colpa del progetto”.

Come vedi il futuro della musica (in generale) e di quella registrata (nello specifico)?

“Il problema è nelle capacità di “vendita”, non di diffusione e tanto meno di creazione. Queste crescono a dismisura, proprio grazie al digitale che invece è la tomba delle possibilità commerciali della musica registrata. Diciamo che la musica dal vivo, i concerti fatti da persone in carne, ossa, nervi, corde vocali e sudore, non si possono scaricare, si possono registrare o filmare e mettere in un file ma non è la stessa cosa”.

Un tempo l’esigenza di fare musica sembrava legata a un bisogno interiore dell’artista, oggi sembra più legata all’aspetto “figo” del fare musica e all’eventuale successo.

“E’ stato sempre così, diciamocelo, già quando ero poco più che adolescente mi era facile trovare fidanzate perché suonavo, è il fascino dell’artista. Oggi potrei dire che c’è un inizio e uno sviluppo (e quasi mai c’è una fine) nel fare musica, nel motivo per cui una persona si mette a scrivere musica e provare a trasmetterla al pubblico. L’inizio può essere, adesso come lo era anche 40 anni fa, perché fa “figo”. Poi c’è chi rimane su questa lunghezza d’onda e chi matura piano piano l’idea che si sta facendo arte. Ci si esprime con essa. E matura l’idea che questo possa essere un lavoro. Perché il mondo – per non morire – ha bisogno di musica, di arte e di bellezza. Ma detto questo non trascurerei l’elemento “divertimento”. Fondamentale come d’altronde il godimento che si prova nel suonare, comporre, cantare”.

Perché in Italia non si è mai creato un bacino numeroso d’ascoltatori rock come in altri Paesi (Germania, Francia, UK)?

“Non saprei, forse perché siamo ancora il Paese del Bel canto? O più materialisticamente non si è fatto nulla, nei decenni, per facilitare la diffusione della musica rock. Dico come facilità di organizzare, progettare, creare reti. Le istituzioni (e ci metto anche la televisione e la Siae) non hanno aiutato. Anzi spesso hanno boicottato. Noi siamo l’unico Paese nel mondo, dico nel mondo, ad avere una cosa come il Festival di Sanremo, quando lo raccontiamo ai nostri amici giapponesi, messicani, americani (ma anche belgi) non riescono neppure a capire di cosa si tratta”.

Oggi sembra ancora reggere l’aspetto legato ai concerti. Da musicista, produttore, discografico com’è cambiato il live?

“I concerti sono fondamentali. Anche se la crisi morde pure questo settore e le occasioni diminuiscono, ma ce ne sono ancora molte e poi uno se le inventa. Il live è cambiato nel senso che tutto è molto più professionale di quanto lo fosse venti anni fa. E questo aiuta la crescita dei giovani talenti, che devono insistere, anche se è sempre più difficile in questa fase: ma la cosiddetta “gavetta” è importantissima”.

Che cosa deve trasmettere una canzone in chi la ascolta?

“Una canzone deve raccontare. Sentimenti, stati d’animo, storie. Deve essere “semplice”, perché è la sua cifra stilistica e deve trasmettere essenzialità. Quando questa capacità di sintesi custodisce la profondità della narrazione e dei colori che si è voluto rappresentare, si catturano l’attenzione e i sentimenti di chi ascolta. In più, per quanto mi riguarda, resto legato molto anche a una cosa che ritengo necessaria, anzi urgente: la melodia”.

Ha senso pubblicare un supporto discografico (anche sottoforma di file) in questo periodo storico?

“Oggi viviamo una generalizzata, enorme, diversificazione degli strumenti di diffusione della musica. Non c’è più un supporto solo, come lo è stato per molti decenni. E c’è comunque una prevalenza di valore nella musica dal vivo. Quindi sembrerebbe quasi superfluo “fare un disco”. Ma non è così, penso al teatro e provo a fare un confronto… il disco è come il copione per il teatro. Fare un disco oggi (operazione fra l’altro molto più onerosa che stampare un libro) vuol dire dare il via a un progetto musicale che poi si sviluppa nelle “recite” (i concerti) dal vivo e cresce nella sua diffusione sui palcoscenici. Il disco è anche una forma di promozione del progetto stesso, un multiplo che spesso vive principalmente nella dimensione digitale on line. Ma resta un’opera d’arte, l’inizio e il cuore pulsante della produzione musicale”.


Giampiero Bigazzi
Produttore, editore, compositore, autore e musicologo, ha cominciato a suonare nel 1968 e ha legato il suo nome a quello dell’etichetta Materiali Sonori. Più “organizzatore di suoni” che musicista, ha collaborato con importanti artisti e band fra i protagonisti della musica indipendente e di ricerca in Italia e nel mondo. Scrive, organizza festival, mette in scena spettacoli di narrazione e di teatro minimo musicale.

Le parole dei valutatori: Roberto Trinci

untitledIniziamo dalla base: cosa significa oggi fare l’editore, rispetto a dieci anni fa?

“Al giorno d’oggi essere editore significa ritrovarsi al centro del nuovo mercato musicale, un mercato che non si basa più sulla vendita del supporto fonografico, ma che si sorregge su fonti di introito differenti. E tutto questo senza in compenso avere ancora i mezzi e le persone necessarie per sostenere questa rinnovata mole di lavoro”.

Quali sono le dinamiche che hanno fatto cambiare così tanto il mercato discografico, e quali conseguenze questo ha avuto sul tuo lavoro?

“Il motivo che sta alla base di tutti i cambiamenti avvenuti ultimamente è che ora si può “consumare” musica senza pagarla, quindi il mercato si è decisamente ristretto. Questa novità epocale ha avuto risvolti negativi, perché ci sono sempre meno tempo e soldi per sviluppare progetti nuovi, ma anche lati positivi, nel senso che in un mercato di questo tipo conta molto di più il pubblico reale e molto meno le strategie marketing adottate dalle major”.

Con l’evolversi del digitale, del web 2.0 e della musica liquida, per le case discografiche secondo te si sono aperte più possibilità oppure si è solo ristretto il margine di guadagno?

“In realtà sono successe entrambe le cose. E’ vero che il guadagno si è sensibilmente ristretto, ma contemporaneamente si sono anche diversificate le fonti da cui questo guadagno deriva. Il risultato più che altro è che tutto è molto frazionato e quindi anche più complicato da gestire”.

Quindi come vedi in generale il futuro della musica?

“Credo che il futuro della musica sarà buono, non penso proprio che la musica possa dirsi in pericolo. Anche se poco ma sicuro cambieranno ulteriormente le aziende che regolano il settore discografico e il modo che hanno di generare un fatturato che gli permetta di sostenersi, e di continuare a proporre nuovi artisti”.

Di sicuro una prima strada percorsa è stata quella dei Talent Show, che permettono alle case discografiche di sfornare ogni anno interpreti dal successo più o meno assicurato.

“In realtà a ben guardare i Talent Show inseriscono nel mercato musicale al massimo uno o due interpreti significativi all’anno, quindi non ritengo che abbiano cambiato un granché la situazione. In compenso offrono opportunità di lavoro per gli autori, e questa è la vera novità”.

Per la tua esperienza, ad ora quanti musicisti raggiungono ancora il successo dalla gavetta o dal mondo indipendente, e quanti invece attraverso talent show e simili?

“Diciamo che il rapporto è ancora a favore di cantautori e gruppi indipendenti che fanno il proprio percorso partendo dalle basi, dai concerti, dai locali. Alla fine la porzione di interpreti che arriva al successo attraverso i Talent è ancora abbastanza ridotta, quasi nemmeno un terzo del totale”.

Eppure ora come non mai sembra che il mondo indipendente e quello major non si incontrino, lavorino a compartimenti stagni. E che in compenso chi riesce a passare a una notorietà più ampia finisca a fare la parte del “venduto”…

“In realtà la mia impressione è proprio opposta, e che mai come negli ultimi anni indipendenti e major abbiano lavorato insieme. Basta guardare casi come quelli di Baustelle, Subsonica, Dente, Le Luci della Centrale Elettrica, Il Teatro degli Orrori… L’importante certo è che un artista nel momento in cui comincia a lavorare con le majors non inizi immediatamente a parlar male di quello che si è fatto fino a quel momento”.

Quale consiglio ti sentiresti di dare ad un giovane musicista che vuole arrivare a una major?

“L’unico consiglio che mi sento di dare è di darsi da fare per trovare un pubblico, perché solo quando hai già un pubblico, un tuo seguito, una major può essere coinvolta. Una volta era la major a occuparsi di “trovare” il pubblico a un artista, ora purtroppo non è più così”.

Quindi normalmente come entri in contatto con i nuovi artisti con cui lavori?

“Spesso mi capita di leggerne bene sulle riviste specializzate o sui Social Network, vado a verificare cosa trovo in rete e dopo aver ascoltato del materiale, se condivido i giudizi positivi che ho letto, mi metto direttamente in contatto con loro”.

Nel fare il discografico senti una sorta di responsabilità, come se stessi contribuendo a scrivere la storia della musica, o è una roba da film sul rock anni ’70?

“Beh, io in particolare questa responsabilità la sento e infatti cerco di non spingere mai cose che non approvo. In realtà però ormai il pubblico reale conta, per fortuna, molto più delle major e di chi lavora al loro interno quindi diciamo che la mia è una responsabilità limitata…”.

Lancio il sasso e nascondo la mano: da editore, se puoi, un commento sulla SIAE. Giusto perché nella sua storia più recente non è stata esente da scandali, moltissimi artisti soprattutto giovani iniziano a vederla sempre più come un monopolio opprimente piuttosto che come una fonte di tutela della propria opera.

“Mi limito a commentare che, diversamente da come pensano molti artisti, una SIAE funzionante sarebbe estremamente preziosa per tutti… Purtroppo però non sempre si ha la sensazione che riesca a sviluppare tutte le sue enormi potenzialità”.


Roberto Trinci
Laureatosi nel 1991 con il massimo dei voti ed una tesi sull’utilizzo delle perversioni sessuali nel marketing discografico, consegue un Master in Business Comunication presso Cà Foscari e dal ’94 inizia a lavorare come band manager per Elio e le Storie Tese e label manager di Casi Umani, Psycho Records, Casasonica. Head of A&R in BMG Music Publishing dal 1997, nel 2005 diventa Direttore Artistico di EMI Publishing Italia, oggi Sony/emi Publishing. Ha firmato e scoperto, tra gli altri: TARM, Subsonica, Baustelle, Dente, Zen Circus, Il Pan del Diavolo, Perturbazione.

Le parole dei valutatori: Carlo Bertotti

untitled“Tricarico qualche anno fa ha scritto che la musica lo aveva salvato.

Ecco, in qualche modo potrei dire la stessa cosa: negli anni in cui la politica era ancora un ideale, quando indossare certi capi di vestiario o frequentare un certo locale determinava la tua appartenenza ad una data “tribù” la musica mi ha salvato. Dalle botte, dalla noia, dalla famiglia, dal conformismo.

Il concetto di “fare musica” negli ultimi decenni è cambiato radicalmente. Fino alla fine degli anni ‘80 si scriveva musica e si suonava, con un gruppo o da soli, in sala prove o in cantine umide.

Amplificatori, chitarre e synth si avvicendavano a seconda dei generi e i punti di riferimento erano artisti che hanno fatto la storia della musica e non intuizioni da un album e via come spesso accade nel terzo millennio.

La musica si comprava, non si rubava. Un album in uscita di un artista di cui eri fan lo assaporavi settimane prima e quando lo avevi tra le mani consumavi la copertina rileggendoti i crediti e guardandoti le foto a loop.

Dai novanta in poi la tecnologia ha determinato una frattura: da una parte chi ha continuato a fare musica come prima, dall’altra chi ha cominciato a usare le infinite possibilità di computer e campionatori per emanciparsi e creare in autonomia il proprio progetto. Tutto normale: qualcuno direbbe evoluzione della specie anche perché questa nuova impostazione di lavoro ha permesso l’affermazione di artisti di caratura mondiale.

Peccato però che le derive di questa “democrazia tecnologica” abbiano portato alla nascita di una modalità di fare musica del tutto differente. Quando ho cominciato a sentir dire a giovincelli trendy che la sera andavano a “suonare” in un locale armati di una borsa piena di cd e un paio di vinili ho capito che c’era un problema.

Faccio un distinguo: i deejay non sono una categoria da mettere all’indice. Qualche pezzo che senti alla radio non è neanche malaccio, per carità. Ma non venitemi a dire che un cappellino da baseball calcato all’incontrario sulla capoccia, un paio di tatuaggi, un mixerino e la borsa di cd che ti porti a tracolla fanno di te un musicista. Perché non è così, la musica è altro, scrivere musica è altro. Caparezza ha scritto “più stratocaster e meno dj”. Ecco, appunto.

Un giorno, nei primi anni ‘90 un mio caro amico discografico mi raccontò che un membro di un importante gruppo della mia stessa etichetta (gente che vendeva ai tempi parecchi album) gli aveva detto che avrebbe voluto scrivere una colonna sonora. Figo. Peccato che non sapeva neanche cosa fosse una nota, il suo mestiere nel gruppo presso cui militava consisteva nel far girare cd su cui l’altro tipo rappava. Ha anche tentato in seguito una carriera solista durata lo spazio di una stagione, forse meno. Mi sono sempre chiesto perché qualcuno avesse tirato fuori soldi per una minchiata epocale come quella, ma in questo Paese funziona così, anzi funzionava così perché adesso hanno finito i soldi.

Ho cominciato a seguire giovani artisti quando ho smesso di stare su un palco, ci si scrive, si confrontano idee e si danno consigli. Poi ognuno segue il suo istinto.

Ma a chi vuole fare musica oggi, a chi crede che la cosa lo faccia stare bene suggerisco un’unica cosa: prendete quello che vi serve, vestiti, strumenti, un po’ di soldi. Salutate a casa e prendete il primo aereo con destinazione a piacere. Il nord Europa, l’Australia, gli Usa, dove c…. volete ma andatevene di qui.

In Italia non si può fare. Non esiste la benché minima possibilità che ce la possiate fare. Potete avere il talento più cristallino, le idee più innovative, un carisma monumentale ma nulla vi salverà dall’indifferenza e dalla frustrazione ma soprattutto dall’insipienza di chi la Musica la dovrebbe proteggere e far crescere. Guardatevi da discografici, manager, direttori “artistici”, impresari, da chi lavora nelle radio, dai pennivendoli e imbrattacarte di chi scrive di musica e non ne sa nulla.

Quelli bravi hanno smesso da tempo oppure hanno lasciato da parte entusiasmi e ideali e pensano che dopotutto c’è ancora un mutuo da pagare o una ex moglie da mantenere.

Io non credo in un Paese dove le etichette più importanti investono ormai quasi unicamente su chi esce da un talent show.

Non credo a promoter che propongono date a rimborsi spese ridicoli o spesso inesistenti.

Non credo alle radio che fatturano cifre da capogiro grazie alla pubblicità e trasmettono musica da rincoglioniti.

Non credo più ad un Paese che non protegge un bene fondamentale come la cultura.

Pochi giorni fa una mia amica mi ha detto che gli hipster sono i mod del nuovo millennio. Volevo ammazzarmi perché probabilmente aveva ragione e questo spiega tutto.

Ma per questa volta metto da parte i barbiturici e soprassiedo: ho un mutuo da pagare e una ex moglie da mantenere anche io.

Ps: rileggendo queste righe sembra abbia un conto aperto con rap e hip hop. Niente di più sbagliato. Dai De la Soul ai Beastie boys la lista di chi fa bene questo mestiere è lunga. Anche in Italia. Un esempio: Salmo.

Una spanna sopra tutti”.


Carlo Bertotti
Autore, produttore e musicista, inizia la propria attività nei primi anni ’90 come compositore di musiche per cortometraggi e pubblicità. Nel 1996 fonda i Delta V insieme a Flavio Ferri, formazione con cui scrive e produce 6 album durante il decennio successivo. Parallelamente ha scritto e remixato brani per molti artisti italiani (Ornella Vanoni, Garbo, Alex Baroni, Baustelle, Angela Baraldi), e ha collaborato con Neil Maclellan (produttore di Prodigy e Nine Inch Nails), JC001 (Nitin Sawhney, Le Peuple de l’Herbe), Roberto Vernetti (La Crus, Elisa, Ustmamò).

Sonda Live: le aperture nei locali partner 2015/2016

Ecco le aperture confermate con gli artisti di Sonda per questa quarta stagione di collaborazione con live club e festival dell’Emilia Romagna:

LOCOMOTIV CLUB
– 28 ottobre: Malascena in apertura a Bachi da Pietra
– 26 novembre: Cabrera
in apertura a Todo Modo

OFF
– 12 marzo: Palco Numero Cinque (vincitori del Concorso Libera la Musica) in apertura a Diaframma
– 1 aprile: Taste of Cindy 
in apertura a Kutso
– 2 aprile: Ferormoni 
in apertura a Garbo

DIAGONAL
– 30 marzo: Indi Go in apertura a Exchampion

 

Incontri con i valutatori 2016

Il Centro Musica ripropone quest’anno gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri, rivolti principalmente e musicisti e gruppi musicali, sono aperti a tutti.
Si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; tutti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.

• sabato 20 febbraio 2016, dalle 14 alle 18

Incontro con Marcello Balestra (produttore-editore musicale); Marco Bertoni (produttore, musicista); Giampiero Bigazzi (produttore discografico, musicista); Daniele Rumori (direttore artistico Covo Club).

• sabato 2 aprile 2016, dalle 14 alle 18

Incontro con Carlo Bertotti (produttore e autore); Gabriele Minelli (A&R manager di Universal Music Italia); Roberto Trinci (direttore artistico Sony/Emi Music Publishing).

Gli incontri si terranno presso l’Off all’interno del nuovo polo 71MusicHub (Via Morandi 71 – Modena) dalle 14 alle 18.
Ingresso gratuito.

I Live di Sonda visti da voi: Natan Rondelli

NATAN RONDELLI

Estragon, 22/02/2014 – main guest Anna Calvi

Natan-Rondelli-Band-@-Estragon-Club-2014---francesca-sara-cauli-_01-OKNatan Rondelli (da Bologna) ha giocato in casa, presentandosi insieme alla sua band per aprire un concerto organizzato dal Covo Club presso l’Estragon. L’headliner era Anna Calvi, cantante inglese di successo internazionale. Natan si è, infatti, esibito davanti ad un Estragon bello pieno, lasciando negli spettatori belle emozioni e un dubbio che ci racconterà lui stesso. “Ovviamente conoscevo l’Estragon, locale nel quale avevo già assistito a vari concerti, ma non ci avevo mai suonato. Sapevo chi era Anna Calvi ma l’occasione di aprire un suo concerto mi ha spinto ad ascoltare le sue canzoni in maniera più approfondita, pensando che la sua musica e di conseguenza il suo concerto potevano essere molto in linea con il nostro. Gli organizzatori sono stati fin dal nostro arrivo assai disponibili nei nostri confronti. Con Anna Calvi e i suoi musicisti ci siamo salutati sul palco nella fretta del soundcheck. Il pubblico dell’Estragon ha risposto molto bene alle nostre canzoni, anche perché credo che fosse la platea e il locale giusto per la nostra musica. Questo aspetto di Sonda, la possibilità di aprire ad artisti più affermati, è un’iniziativa molto importante per “spingere” gli artisti emergenti in un locale o evento nel quale non hanno ancora potuto mettere piede, con tutto quello che può comportare in termini di esperienza, nuove conoscenze e visibilità. Non ci sono particolari aneddoti sulla serata. Se non che per un paio di canzoni ho lasciato il dubbio nel pubblico di essere arrivato direttamente con il pullman nero e con i vetri neri di Anna, ringraziando in inglese. Per noi rockers i chilometri percorsi per arrivare al concerto portano sempre qualche applauso in più”.

Le Parole dei Valutatori: Marco Bertoni

marco-bertoniokChe cosa significa fare il produttore artistico?

“Fare il produttore artistico per me significa affiancare l’artista nella fase di realizzazione del suo prodotto. Cioè passare dall’idea originale dell’artista a qualcosa di organizzato, definito e messo a fuoco per meglio comunicare/vendere le intenzioni dell’artista”.

Com’è cambiato il tuo mestiere in questi anni?

“A livello tecnico è cambiato ovviamente con l’utilizzo massiccio del computer. Quindi il passaggio dall’analogico al digitale. Per poi tornare al giorno d’oggi dove si usano insieme oramai ambedue le tecnologie. Nel mio studio cablato con pro tools ho un mixer del 1975. I microfoni sono del ‘72. A causa dei budget sempre più bassi, se una volta il produttore era affiancato da un fonico e da un assistente fonico, adesso molte produzioni le seguo interamente io anche come fonico, dalla sala prove al mastering finale. Con il dissolvimento della vecchia industria discografica, nella filiera della produzione musicale il ruolo del produttore artistico ha resistito. Cioè serve ancora un professionista che sappia fare realizzare all’artista il suo prodotto sia tecnicamente sia artisticamente. Se una volta erano le case discografiche a ingaggiarmi ora sono le collaborazioni con gli artisti che mi permettono di essere pagato per quello che faccio”.

Come trovi gli artisti con cui lavori?

“A dire il vero sono loro che trovano me. Però devo dire che sono molto felice che alcune delle ultime cose che ho realizzato le ho fatte insieme a artisti conosciuti grazie a “Sonda” (e anche noi ne siamo felici N.d.R.). Un giorno mentre registravo il cd di un artista di nome Megahertz, è entrato in studio un suo conoscente, uno strano ragazzo, curioso e volenteroso di conoscermi, sarebbe diventato Bob Rifo aka Bloody Beetroots. I Motel Connection mi telefonarono”.

Cosa ti deve colpire al primo ascolto?

“La volontà di esistere”.

Le nuove tecnologie (social network, MP3, ecc.) aiutano l’artista? Se sì, come credi che debbano essere utilizzate?

“In generale aiutano l’artista tanto quanto aiutano tutti noi. Sono degli strumenti che ci mettono in contatto con il mondo e questo da un punto di vista anche professionale è utile. Dal punto di vista artistico è uno strumento ancora poco utilizzato a livello creativo. Se però si pensa che grazie a internet possano uscire nuove star musicali siamo parecchio lontani”.

Come vedi il futuro della musica (in generale) e di quella registrata (nello specifico)?

“La musica in generale come suono e suono prodotto dall’uomo non ha bisogno di futuro, fa parte di noi e della nostra natura e sempre ci accompagnerà. Se si parla di musica commerciata, stiamo vivendo un momento abbastanza stagnante. Rimane il fatto che registrare musica è una cosa entusiasmante, quasi magica. Ma che la musica possa ancora veicolare energia fresca ho qualche dubbio”.

Che cosa deve spingere una persona a fare musica? Tu perché hai deciso di iniziare?

“Io ho iniziato perché da piccolo ho visto alcuni concerti che mi entusiasmarono e mi fecero sentire che succedeva qualcosa suonando. Come dicevo prima la musica è parte della nostra natura, e ci sta che qualcuno di noi trovi un suo modo creativo ed espressivo suonando”.

Ha senso pubblicare un supporto discografico (anche sottoforma di file) in questo periodo storico?

“Ha senso per i collezionisti di vinili (il vinile) e per i banchetti dei concerti (il cd). In generale è proprio la parola “pubblicare” che ha cambiato significato pratico, no?”.

Che cosa deve trasmettere una canzone?

“Quello che l’ascoltatore ritrova di sé, e da lì portarlo da qualche parte”.

Un tempo l’esigenza di fare musica sembrava legata a un bisogno interiore dell’artista, oggi sembra più legato all’aspetto “figo” del fare musica e all’eventuale successo.

“L’aspetto “figo” del fare musica è sottolineato anche dalle musiche di tanti gruppi, molto più attenti a sembrare qualcosa piuttosto che a cercare qualcosa. Il successo per come lo intendi tu a mio parere non esiste più, anche “l’essere famoso” ha cambiato abbastanza valore. Rispetto al “bisogno interiore”, ogni musica ha una funzione: se devo far ballare, faccio musica che è una danza e se la gente balla vuole dire che l’ho fatta bene, ma questo è creare qualcosa con uno scopo pratico, non per soddisfare una necessità interiore”.

Perché il mercato discografico si è così contratto negli anni? La colpa di chi è?

“Napster? 🙂 In generale il mercato è sempre tale, solo che non è più discografico. I soldi li fanno/hanno i produttori di hardware. L’ultimo disco degli U2 “distribuito” e “regalato” da Apple mi sembra un ottimo riassunto”.

Per scrivere una hit esiste una formula magica?

“Non credo. Secondo Casadei ha scritto “Romagna mia” che è la canzone italiana con più introiti SIAE nel mondo. L’aveva chiamata “Casetta mia” ed era una canzone come le altre, per lui”.

marco-bertoniokNato a Bologna nel 1961, inizia a 16 anni a suonare fondando il Confusional Quartet, gruppo storico della “new wave italiana”. Dopo quell’esperienza inizia a lavorare a progetti di musica contemporanea (uno su tutti il lavoro di ricerca sulla voce umana, che coinvolge le voci di Carmelo Bene, Kathy Berberian e Demetrio Stratos) e di musica leggera (con Lucio Dalla, Gianni Morandi, Angela Baraldi, Bracco di Graci, Gianna Nannini). Produce poi Motel Connection, Maccaroni Circus, il primo lavoro di Bob Rifo, collabora con diversi top dj e cura remix per artisti come Morgan, Jovanotti, The Simple Minds, Raiz, Subsonica. Ha collaborato, infine, come arrangiatore per lo Zecchino d’Oro e ha scritto colonne sonore per il cinema, la tv e la radio. Oltre all’attività con il Confusional Quartet, continua oggi il lavoro di produttore musicale nel suo studio.