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MARBLE HOUSE: Underscore
I Marble House si lanciano da una parte all’altra del crepaccio di genere, calcolando la distanza e il rischio, ben certi di atterrare su due piedi senza sprofondare nella fenditura del terreno. E se da un lato c’è l’impronta progressive anni 70, dall’altro troviamo territori inesplorati e inediti per la band, che scruta all’orizzonte ambientazioni modulari, svolte acustiche e lunghi strascichi vocali, scavando solchi nell’ascoltatore. In questo paesaggio a tratti solenne, a tratti giocoso, trova spazio una produzione a regola d’arte, che miscela sapientemente gli elementi più disparati, sottolineando l’ottimo interplay della band e incoraggiando l’ascolto dal vivo. D’altronde si tratta di un gruppo che da otto anni è attivo sul territorio bolognese e non solo, con diversi live alle spalle e una lunga preparazione dei lavori in studio. “Underscore” è un disco di sette brani, quaranta minuti e un’eterogeneità che catturerà dal fan dei Radiohead a quello dei Tool, passando per i nostalgici del progressive dell’era Peter Gabriel. La riconferma di una band poliedrica che dovrebbe meritare la vostra attenzione. Se questo non bastasse, potete riscoprire il loro album del 2018 “Embers” e il nuovo lavoro “More Human Than Me”, una demo rilasciata nel maggio 2020 solamente su Bandcamp.
(Autoprodotto) Digitale
MARBLE HOUSE: Embers
Ogni genere musicale vive dentro le sue regole. Se il primo album dei Circle Jerks (gruppo hardcore punk americano) durava 15 minuti e 40 secondi, la sola canzone che chiude l’ep di debutto dei bolognesi Marble House è lunga 24 minuti e 43 secondi. Una suite che può essere apprezzata da tutti coloro che amano il prog e le sonorità di band come Porcupine Tree o Genesis, per citare il passato e il quasi presente. Non per niente l’uso di strumenti quali Hammond, Farfisa o Mellotron sono pura formalità per i Marble House, che si divertono un mondo a passare da momenti di furore strumentale a delicati passaggi vocali. In questo ep che dura come un album, energia e irrequietezza vanno di pari passo, equilibrio e spaesamento si danno la mano, mentre la band è intenta a portare a segno un risultato strabiliante. “Embers” è un disco anni ’70 calato nell’attualità dell’oggi. I Marble House dovrebbero espatriare e cercare fortuna all’estero. Dimostrare a tutti quanti che dall’Italia possono arrivare band degne di sedersi accanto ai nomi internazionali altisonanti. I Marble House sono i nostri King Crimson. Può bastare o abbiamo esagerato?
(Lizard Records) CD