Home » Posts tagged 'marcello balestra'

Tag Archives: marcello balestra

I pensieri dei valutatori: Marcello Balestra

La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.

Che prospettive vedi per la discografia nel futuro?
Premetto che la discografia che ho vissuto, major o indipendente di qualità, quella della ricerca, della produzione, dell’investimento e del sostegno di progetti artistici, non esiste più da qualche anno. Si è trasformata in acquisizione e veicolazione di progetti già in corsa, grazie al pubblico acquisito in rete o nei live. C’è comunque ancora un mondo fatto di persone e etichette appassionate e piene di energia, competenza e altruismo, che in varie forme anche in questi ultimi anni ha dato luce ad artisti nuovi, seguendoli passo dopo passo, per portarli a rompere lo schema del sistema di notorietà derivante dalla rete e cavalcato poi dalle major di oggi. Togliendo la parola “disco” ma anche “grafia”, posso dire che le “cliniche” specializzate per nuove forme d’arte e nuovi artisti di musica e progetti vari, saranno come i ristoranti di oggi, mixati con aree d’acquisto di abbigliamento o bici o telefonia, ossia agenzie che fanno o faranno principalmente altro, ossia propongono altre tipologie di progetti o prodotti da vendere, oltre a musica e ad artisti come contorno. Per cui vedo persone e aziende di altre aree merceologiche o di settori di marketing o di comunicazione, occuparsi della gestione del prodotto “musica” in sinergia con i propri prodotti e altri business da abbinare. Il lockdown è stato solo occasionalmente responsabile di un cambiamento già da tempo in atto, ma ignorato dalla pigrizia del settore ex discografico. Ora a mio parere è solo possibile la commistione e non più la separazione di prodotti, artisti e altri business, cosa già in atto adesso, ma in futuro sarà un binomio o un trinomio naturale.

Il lockdown è terminato: come sta andando la ripartenza?
Diciamo che per “lockdown” abbiamo definito il limite massimo alle nostre azioni fisiche e sociali quotidiane, ma non social. Terminato il primo lockdown della nostra storia, utile a farci capire cosa sia un lockdown e come potrebbe essere la vita di ogni giorno in caso di un suo ritorno, la ripartenza, quella del settore musica non c’è stata.
Abbiamo preso coscienza che anche gli artisti di chiara fama, al momento si sono dimostrati tutti decisamente poco influencer, tanto da rimanere chiusi in casa a fare esercizi di presenza social. Parlo di attività social e di pubblicazioni sul tema covid o nel periodo di lockdown, decisamente inferiori per qualità ed efficacia alle loro gesta precedenti, come se da soli e senza il supporto di staff produttivi, promozionali e strategici, non fossero più in grado di produrre un pensiero artistico, probabilmente timorosi di prendere posizioni vere o di sentirsi soli o incompresi nel farlo. La ripartenza quella che si misura solitamente con produzione e vendita è praticamente pari a zero. Il momento è ahinoi drammatico non per i numeri, ma per la mancanza di vere idee di ripartenza del settore o di idee rivoluzionarie in positivo. Abbiamo visto kermesse di artisti in Arena a Verona proporre ancora una volta loro stessi, come esempio di ripartenza, per ripartire da loro, ma in toni dimessi e decisamente dipendenti dalla realtà, quella della mancanza del pubblico ovunque, anche al supermercato mentre fanno la spesa. La fine del primo lockdown e il suo durante, ci hanno restituito la normalità delle persone dello show-business, la loro impotenza nel prendere posizioni o nel proporre soluzioni, tutti legati a doppio filo con un sistema che è crollato, facendo crollare anche la loro posizione, in attesa di un ritorno ad una normalità che è oramai del passato e non certo del futuro. Per cui se una ripartenza visibile la si può considerare nei settori percepiti come fondamentali dalla società civile, nella musica la fine del primo lockdown ha tolto anche quel poco di presenza social, di artisti che li hanno utilizzati in prima persona per “farsi vivi” ad un pubblico, che si sta abituando all’assenza di contatto, ma anche di dipendenza come fan.

Considerando che molte cose sono cambiate – forse temporaneamente, forse no – è concepibile per te trasformare permanentemente parte del tuo lavoro in lavoro a distanza?
Il lavoro in questo settore ha cambiato pelle, cuore e anima. Prima ci si vedeva e basta, ora ci si vede a pillole e quando ciò avviene è per riuscire a completare lavori che a distanza hanno preso il via e che senza vedersi almeno una volta a progetto, risulta impossibile chiuderli al meglio. Vero è che ad esempio i producer di ieri e di oggi hanno l’abitudine di lavorare a distanza, rintanati nei loro bunker creativi, nei quali montano voci di ogni artista su beat o strumenti suonati da remoto, fino a produrre progetti a distanza senza problemi. Io vivo gli incontri come scambio di energia e non solo come momento di lavoro. Per cui ove possibile ci si vede o faccio di tutto per incontrare le persone dal vivo, almeno per dare insieme un forte senso di intensità a ciò che progetto con artisti, autori e produttori. Ma tutto cambia e dopo la palestra del lockdown, ho imparato comunque a muovermi molto meno per lavoro e solo quando necessario, utilizzando al meglio i metodi di riunione a distanza, seguendo le novità da remoto, salvo comunque ambire a riprendere la vita “in giro” verso nuovi progetti, specialmente all’aria aperta.

La discografia è sempre più legata ai live: in assenza di live o con introiti più bassi che giungono dai concerti bisognerà inventarsi, per i prossimi anni, una formula di business diverso?
No dal mio punto di vista la discografia non è legata al live, sono gli artisti che oggi hanno bisogno del live per vivere o per completare il percorso promozionale o di notorietà acquisita con progetti artistici e discografici. La discografia in genere, salvo rari esempi, non vive di live e non si alimenta dal live ma di diritti connessi. Il live è uno strumento di business di agenzie, di management, di ticketing e di gestori di spazi fisici, oltre che degli artisti quotati. Una gran parte dei live era propedeutica alla consacrazione più o meno reale di diversi artisti in uscita con nuovi progetti, ma riferito alla discografia, il live ha giovato solo alla discografia e all’editoria musicale con grandi cataloghi. Intendo dire che live e discografia sono da sempre entità separate per interessi e tipologia di guadagni, con strapotere economico degli attori dei live a dispetto di una discografia che ancora oggi non ha una contrattualistica che gli consenta di ottenere introiti importanti dai propri artisti in concerto. Come dicevo sopra, salvo casi di agenzie collegate a case discografiche in termini di partecipazioni societarie, la discografia si affida al diritto connesso e ad esempio allo streaming che con i soli introiti da Spotify, consentono alle stesse major, di sostenersi senza la vendita di musica. La formula di business che sostituisca il live è sicuramente in corso di ricerca e verifica, come avviene per ricerca e sviluppo dei vaccini anti covid. La rete con le formule adottate attualmente per la musica live a distanza, non è certo la risposta utile a sopperire all’impossibilità di vivere veri e propri concerti da parte di artisti e pubblico, ma in termini di business le agenzie, i management, i gestori di spazi ecc, dovranno sforzarsi per intuire come le persone, noi cittadini, fan ecc, accetteremo di vivere gli artisti in nuove formule, affrontando costi che garantiscano al pubblico vere emozioni ed appartenenza allo show del futuro.

Secondo te l’epidemia ha portato a galla nella filiera musicale il superfluo che può essere eliminato? Se sì cosa?
Il covid ha creato un vuoto totale nella musica e nello spettacolo, portando a termine una rottura del sistema filiera musicale irreversibile. Il superfluo rimane presente e chiede spazio per continuare a darsi un ruolo, cercando di giustificare la necessità di servizi e attività oramai fini a se stessi. Parlo di ruoli promozionali classici, di processi di masterizzazione, di attività social e di uffici stampa tradizionali, di editoria e scouting classici, attività che erano già superate in era pre covid e oggi sono totalmente inutili, se non supportate da nuove strategie di collocazione di ogni singolo progetto nel suo ambiente comunicativo ed empatico. Parlo anche di ogni attore della filiera legato a mondi musicali e sonori privi di qualsiasi attualità, ma generalmente l’evoluzione cancella le ere precedenti anche senza pandemie!

Pensi che le richieste di artisti, management, ecc… dovranno per forza di cose essere ridimensionate?
Credo che il valore di alcuni artisti rimanga quello di prima, anche se spostato al futuro. Ovviamente se anche nel 2021 non si riuscisse a riprendere una serie di attività redditizie per queste categorie, per mantenere le richieste dovranno inventarsi nuove forme di spettacolo supportabili con sponsor mirati e coerenti, per compensare la mancanza di una parte di pubblico che oramai ha deciso di stare comunque lontano da situazioni di grande afflusso.

A nostro avviso è emerso un dato: il mondo dell’arte (musica, cinema, teatro, ecc…) durante la pandemia e anche successivamente è concepito come un passatempo e non come qualcosa di economicamente rilevante. Sei d’accordo? Se sì, pensi sia possibile fare qualcosa per cambiare questo stato di cose?
Chi è parte di questi settori inevitabilmente sente la mancanza di rispetto verso il proprio prodotto e il proprio lavoro! E’ sempre stato così, questi settori piacciono a tutti, sembrano i più affascinanti e liberi, capaci di creare grandissima visibilità a chi li sostiene, come sponsor o come network. Il fatto che oggi i social e la rete sfornino personaggi di ogni genere, capaci di comunicare in modo rapido, attuale e preciso ogni loro attività comunicativa, ha reso gli artisti della musica, cinema, teatro ecc. sempre legati a produzioni più ampie dell’home-made, meno capaci di attrarre pubblico solo con la parte artistica, senza interagire con il pubblico, quasi restando ancorati al vecchio mito dell’artista famoso e quindi necessario. Ecco che il rispetto delle istituzioni al gioco della musica è sfumato, per la perdita di magia del prodotto medio e del suo essere comunque necessario ad un pubblico. In fondo la musica più che lo spettacolo, pur avendo un ruolo sociale fondamentale, rimane un mondo considerato solo dal punto di vista culturale e non come area di lavoro del presente e del futuro.
In ogni caso le economie del settore e dell’indotto possono tornare degne di rilevanza se supportate dalla politica, da nuove forme di live e da sponsorizzazioni, per dimostrarsi interessanti anche in termini di pil.

Incontri con i valutatori 2020

Il Centro Musica ripropone quest’anno gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; i partecipanti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.

Gli incontri 2020, nel rispetto delle normative igieniche legate all’emergenza Covid, avranno una modalità di accesso leggermente diversa.
Potranno partecipare al massimo 30 persone per ciascun incontro (di conseguenza chiediamo alle band di mandare un solo componente) registrandosi attraverso un modulo on line (il login dovrà essere effettuato con un account Google/Youtube/Gmail).
Unitamente ai dati occorrerà inviare il brano che verrà ascoltato durante l’incontro. In questo modo eviteremo il passaggio di cd, chiavette usb, ecc…
Coloro che si iscriveranno riceveranno l’eventuale conferma di partecipazione via email all’indirizzo indicato, compatibilmente con il numero di posti disponibili.
E’ richiesto a tutti i partecipanti di essere presenti dall’inizio dell’incontro alle ore 14.
Chiediamo di comunicarci tempestivamente eventuali rinunce in modo da consentire ad altri di partecipare

Gli incontri del 7 e 28 novembre sono stati entrambi rimandati come da disposizioni del DPCM del 24/10/2020 e verranno riprogrammati appena possibile.

SONDAinPILLOLE

Questo è il periodo in cui di solito si tengono i Sonda Camp, gli incontri con i valutatori.
L’emergenza sanitaria ci ha costretto a rimandarli quindi per rimanere in contatto, per riannodare i fili di Sonda che in questo periodo sono un po’ laschi, abbiamo fatto ai valutatori un paio di domande:
• come si sviluppa la giornata di un produttore (di un musicista, di un editore, di un discografico, di un direttore di live club…) in queste giornate di quarantena?
• come vedi il tuo lavoro – e il mondo della musica in generale – dopo questa epidemia?

Ecco le loro risposte.


SONDAinPILLOLE: Carlo Bertotti


SONDAinPILLOLE: Roberto Trinci


SONDAinPILLOLE: Nicola Manzan


SONDAinPILLOLE: Giampiero Bigazzi


SONDAinPILLOLE: Luca Fantacone


SONDAinPILLOLE: Marcello Balestra


SONDAinPILLOLE: Marco Bertoni


I pensieri dei valutatori: Marcello Balestra

Se nella tua vita sei diventato un produttore, musicista, direttore artistico, editore, discografico, talent scout, manager qual è stata la tua formazione musicale negli anni dell’adolescenza?
Una semplice domanda che nasconde una profonda risposta. Scopriamo insieme cosa ascoltavano e cosa leggevano i valutatori di Sonda.

Mi affido solo all’anima vera di musica e artisti
Quando ero ragazzino e incontravo qualcuno per la prima volta, una delle prime domande reciproche era: “Ma tu che musica ascolti?” Era la fine degli anni 70, ma così anche negli anni 80 e primi 90, anni nei quali si dava per scontato che la musica si ascoltasse con attenzione, come la lettura di libri o la visione di film d’essai. E in effetti era così, la musica era l’argomento per conoscersi e per partire ad elencare gli ultimi dischi comprati, le cassettine registrate dalla radio e i concerti vissuti. Ci si scambiava la musica, prestandosi vinili sperando di riaverli indietro in buono stato. Ricordo che si parlava ore ed ore di ogni genere e specie musicale, senza esporre trofei o scoperte, ma parlando di emozioni e della qualità di canzoni, di artisti e di musicisti. Oggi se non ascolti musica sei considerato come minimo un retrogrado, un pirla, ma se devi dire cosa ascolti diventi in un attimo la Treccani delle sigle, dei nomi, di canzoni orfane di album, ossia di singoli e singoli che sono come zattere per artisti in mezzo all’oceano della musica globale.
Poi fatto l’elenco di sigle e di nomi della musica di oggi, ti accorgi che nessuno approfondisce, nessuno dà un valore emozionale ai brani o agli artisti, tutto perché le stesse piattaforme di streaming ci portano a sentire di tutto senza sosta e senza chiederci altro, se non di seguirli all’infinito, nel loro algoritmo ipnotico, amico e trappola. Una volta il mondo era “finito”, ossia aveva confini e c’erano le aree protette, dove si faceva musica, dove si viveva in musica, dalla cantina allo stadio, ma tutto questo ricordare a cosa serve? L’oggi si racconta con l’oggi, mentre l’altro ieri a mio parere si racconta con gli artisti e le canzoni che sono arrivati fino ad oggi, nonostante l’oggi. Ed ecco che se ti incontro oggi e siamo negli anni 70 ti rispondo che ascolto le canzoni facili come “Ramaya” e “Yuppi du” ma anche Beatles, Stones, Deep Purple, Ac/Dc, Queen, Pink Floyd, Carosone, Dalla, De Gregori, Daniele, Battiato, Bennato, Janis Joplin, Genesis, ossia tutta la musica che si ascoltava in casa Balestra e dintorni, ma ti direi che le mie canzoni preferite erano quelle orecchiabili, quelle che canticchiavo e fischiettavo.
Poi a cavallo degli anni 80 ti direi della passione per il cantautorato italiano, per Dylan, Peter Gabriel, U2, Dire Straits, Prince, Neil Young, Brian Eno, che hanno preso il sopravvento, ma sempre e principalmente per le loro canzoni o musiche più facili. Poi nell’83 nelle vesti di improbabile dj estivo ho preso gusto per la dance fine 70 e inizio anni 80, impazzivo per il funky e poi per la musica di Michael Jackson. Da lì ho iniziato a scegliere e a infilarmi anche in brani secondari, in quelli che devono dire qualcosa anche senza essere tanto pop o top. Salvo eccezioni ho sempre amato più le canzoni che gli artisti, credendo che un racconto vale più del narratore, anche se il narratore fa la differenza con il suo stile e lo riconosci in eterno tra milioni.
Quindi “mi sono fatto juke box” di migliaia di brani senza sposare album, salvo alcuni album che ho vissuto e consumato completamente ancora prima di iniziare a lavorare con Lucio Dalla e sono: “Foxtrot” dei Genesis, “Purple rain” e seguenti di Prince, “Off the wall” e seguenti di Michael Jackson, e “So” di Peter Gabriel, “Terra mia” di Pino Daniele, “Ci vuole orecchio” di Enzo Jannacci, “Zenyatta Mondatta” dei Police, “Making movies” dei Dire Straits, “Come è profondo il mare”, “Lucio Dalla”, “Dalla” e “Qdisc” di Dalla, tutti gli album di Mike Oldfield e dei Pink Floyd. Poi iniziando a lavorare nella musica a metà anni 80 ho approfondito la mia attenzione verso il repertorio italiano, sia pop che alternativo. Leggevo ogni rivista musicale e ascoltavo tutte le radio, ma non ho mai colto una tendenza o una linea editoriale, il mio interesse era per l’ascolto di canzoni e artisti. Ho assistito a concerti di ogni genere, ma quello che mi ha cambiato la vita e che ricordo con gioia e memoria palpitante è quello di Prince del 1987 a Milano. Da quel concerto che vidi insieme a Dalla, capii tante cose. La musica che ascolti è tutta utile alla crescita umana ed eventualmente professionale, ma le persone capaci di farti entrare nelle canzoni e nella musica che stanno vivendo, nel mood trascinante e definitivo dell’estasi che stanno provando e che puoi vivere attraverso la musica suonata e cantata con l’anima e il genio talentuoso che gli è stato donato, sono le uniche per le quali ho nel tempo capito e deciso che vale la pena di essere fan o discepolo. Da quel momento avendo a fianco, anzi essendo io a fianco di un mostro sacro come Dalla non facevo certo fatica ad accettare la straordinarietà del suo genio artistico, a subirne il carisma, come quello dei veri grandi della musica mondiale. Il problema era distinguere tra la bellezza e qualità tecnica del miglior repertorio di successo nazionale ed internazionale e la visceralità e la verità di canzoni e artisti di ogni genere e paese.
Anche a causa dell’avvicinarsi al successo di tanti artisti mediamente veri (mio parere), ho deciso di seguire solo le “persone” che facevano capire al pubblico il loro bisogno irrinunciabile di utilizzare le canzoni per raccontarsi per quello che erano, nonostante il business chiedesse loro di mantenere un livello di bellezza commerciale superiore alla verità da raccontare. Questo spiega la mia mancata vicinanza ad artisti intransigenti e puristi, alla ricerca dell’espressione dell’arte assoluta, ma spiega anche il mio amore assoluto per le persone-artisti che utilizzano o hanno utilizzato il linguaggio musicale, testuale, vocale, viscerale, fisico, emotivo, melodico ed umano per far arrivare al pubblico ciò che erano o sono veramente, utilizzando il mezzo musica o canzone per esprimere la loro costante e inarrestabile umanità, densa di tensioni e di intuizioni captate con le antenne di chi è collegato all’universo, ai segnali che arrivano a chi è in ascolto e quindi non solo per esigenze di status, di mercato e di popolarità. In fondo sono sempre stato il fan di nessuno, se non umile ascoltatore di musica e canzoni di chi ha le sembianze di donatore di umanità, di energia, di umiltà e di estro espressi per bisogno e per natura, ad ogni concerto e in ogni momento della loro esistenza. Sì, per lavoro ho ovviamente prodotto anche tanto pop di artisti “normali”, ma un conto è innamorarsi, altra cosa è scegliere per il pubblico, del quale per fortuna faccio parte e grazie a questo sono riuscito a parlare di musica con tutto il pubblico del mondo. Ho comunque imparato ad ascoltare fino all’ultima traccia di tutti, senza avere preferenze o pregiudizi, con l’ambizione di lasciarmi sorprendere dalla normalità e dalla genialità musicale comprensibile a tutti e non quella per pochi eletti in grado di decifrare codici e mondi musicali segreti.

Buona verità musicale a tutti.

I pensieri dei valutatori: Marcello Balestra

Nuovi negozi di dischi stanno aprendo un po’ dovunque. Il vinile è tornato ad essere un supporto amato ed acquistato. Ai concerti si registrano sold-out ad un ritmo vertiginoso, mentre i talent e il Festival di Sanremo macinano share da capogiro. Sono segnali di una ripresa o di una imminente apocalisse? Ecco cosa ne pensano i valutatori di Sonda.

IL TALENTO È FUORI DAL TALENT CHE PRODUCE SOLO
L’ISTANT SHOW”!
(lettera da Casartista, un luogo fuori tempo)

Se in Italia e nel mondo nel 2019 si parla ancora di talent, è perché la noia mista alla pigrizia ci pervadono a tal punto che, tanto vale vedersi chi va al talent……al posto nostro.

Sì, in fondo lo specchio del talent è talmente pulito e chiaro, che non facciamo altro che rivedere noi stessi, al posto di chi prova a salire sul palco per il suo “istant-show”, quello della performance canora sul suo cavallo di battaglia “a dondolo”! Sì, oramai anche i cavalli non sono più da battaglia, visto che le battaglie a cavallo esistono solo nella finzione del cinema o dal vivo in qualche gara clandestina della periferia italiana. L’Italia dei cantanti e dei navigatori, ma che oramai navigano solo in rete, come i cantanti cantano solo per un istante e poi ciao a tutti, baci, foto, selfie e a casa, a vedere chi canta per l’istante successivo!

Istagram è esattamente in linea con i talent, il tempo di una “storia” e non esisti più! Ma allora che dire nel 2019 sui talent? Che sono il palco della fanteria musicale, che con rispetto per ogni fanteria ha la dignità di partecipare al programma, sapendo che sarà la prima a cadere o a morire, a sparire per fare da massa critica per la cavalleria che segue e per i carri armati, quelli che a volte hanno la stoffa per colpire, per difendersi e per dare sicurezza al popolo, ops al pubblico. Sì, oramai sopravvivono solo i super-armati di qualità e di forza fisica e mediatica, ma in fondo solo quelli armati di capacità di coinvolgimento con il suono della voce, con la coerenza tra arte e persona, con la sincerità e trasparenza di chi è risolto nella vita e nella musica, con l’intensità di chi ha veramente bisogno di comunicare qualcosa, come se non ci fosse l’attimo dopo, così come il destino del popolo che partecipa ai talent, senza alcun peso specifico artistico e comunicativo!

Ma immaginiamo per un attimo se ai talent ci fossero solo i tank e non le pecorelle smarrite, magicamente non li guarderebbe nessuno, perché sarebbe come vedere un programma su Real time di sollevamento pesi, per cui nessuno a casa si sentirebbe rappresentato, nella sua mollezza e magrezza, da certi omoni muscolosi e rudi. Ecco allora che i talent finiscono per raccogliere sempre più persone molli, fuori tema, per dar luce e sostenere come regia chi è l’opposto e quindi mediamente dotato, per renderlo poi ancora più visibile, fino a sposarne il destino, proclamandolo vincitore del momento mediatico.

Finisce ancora così il talent nel 2019? Se è ancora così, vuol dire che il talent è solo e sempre rivolto a chi ama partecipare con gioia ignorante alla mattanza, ad essere giustiziato in massa, senza avere nemmeno capito perché o per cosa sia defunto, senza nemmeno aver detto chi fosse veramente. E il problema è solo questo, al talent ci si va per mentire anche a noi stessi, per mostrarci nella finzione della partecipazione, dell’emozionarci, del provarci, del canticchiare, del cercare la telecamera che ci aiuti a parlare ai genitori o a chi ci dovrebbe amare, che non sanno nulla di noi figli, che non hanno capito nulla della tv e che sperano di provare emozioni grazie al suicidio televisivo dei figli, che proprio in quel momento di coraggio imposto dal meccanismo mediatico, provano a chiedere scusa a se stessi per non aver avuto il coraggio di dire di no a tutti quelli che direttamente o indirettamente li hanno portati lì, lasciandoli soli a vivere un istante di vera finzione televisiva.

Il talent come tutta la tv è normalmente onesto e cinico, il partecipante è sempre incosciente, è una papera di plastica da pescare al luna park, che presto cambierà città. Il talento? Quello non basta, anzi non esiste o non si vede, se non si ha il coraggio di accettarlo come dono, di mostrarlo quindi in modo naturale e libero, anche cantando le solite canzoni utili agli ascolti televisivi, finché la tv saprà tenersi lo spazio che ha.

Ma allora cos’è, dov’è e chi ha talento? Talento è il vino che ci piace bere, il luogo dove andare al mare, il piatto che mangiamo con gioia, ossia sono le cose che sono in grado di emozionarci tutti i giorni, anche se non sono le più acclamate o famose. Ecco che chi ha qualcosa da dire, utilizza la rete per mostrare coraggio, bisogno di comunicare le sue novità, per poi dare appuntamento dal vivo ai curiosi e agli appassionati del nuovo artista di turno. Cantautori o band di apparente nicchia oggi scorazzano tra rete e concerti, totalmente incuranti del non essere così visibili, ma presenti nei sentimenti del pubblico che ascolta le loro storie, fatte di curiosità e normalità di quest’epoca, dove i veri fenomeni se non utilizzano brani commestibili, rimangono nell’ombra e dove i semplici autori cantanti possono colpire al cuore, per convinzione e semplicità narrativa, così come il pubblico mai sazio riesce a riconoscere, rivivendo in loro sentimenti costanti e comunque rassicuranti.

La curiosità oramai è fuori dalla tv, il talento non è di quest’epoca, ma almeno si esce per ascoltare, per sentirsi ascoltati come pubblico di sentimento e non solo come fan da evento di massa o conseguenza di un focus televisivo. Viva chi si confronta con lo standard della tv, chi riesce a usarla per dare al suo pubblico assaggi pop, in pensieri e musiche utili al sentimento collettivo quotidiano.

Incontri con i valutatori 2019

Il Centro Musica ripropone quest’anno gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri, rivolti principalmente e musicisti e gruppi musicali, sono aperti a tutti.
Si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; tutti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.

• sabato 16 marzo 2019, dalle 14 alle 18
Incontro con Daniele Rumori (direttore artistico Covo Club); 
Giampiero Bigazzi (produttore discografico), Carlo Bertotti (produttore, autore).


• sabato 13 aprile 2019, dalle 14 alle 18
Incontro con Roberto Trinci (direttore artistico Sony/Emi Music Publishing); Marco Bertoni (produttore, musicista); Gabriele Minelli (A&R manager di Universal Music Italia); Marcello Balestra (produttore-editore musicale).

Gli incontri si terranno presso La Torre all’interno del polo 71MusicHub (Via Morandi 71 – Modena) dalle 14 alle 18.
Ingresso gratuito.

Le scelte dei valutatori: Marcello Balestra

Marcello Balestra segnala alcuni degli iscritti a Sonda più interessanti tra quelli che sono stati lui attribuiti negli ultimi anni.

Iritmo
“Come se”
Il suono iniziale cattura e trasporta e appena arriva il testo insieme alla voce, il tutto prende una dimensione calda, colloquiale, essenziale. Un solo concetto, un momento di tensione emotiva da esprimere e poi tutto si ferma e forse lascia immaginare che ci sia un seguito, una risposta, un altro viaggio. Non importa se ci sarà o meno, l’importante pare sia lasciare il dubbio e la sensazione.
Per far arrivare il testo prima e in modo chiaro converrebbe tenere la voce “all’italiana”, per cui molto più fuori, in quanto in diversi momenti l’arrangiamento prevale e si perde l’intensità di ciò che si sta raccontando.

“Mi sento bene”
Brano che avvicina l’ascoltatore per poi tenerlo a distanza, sia per l’ermetismo del testo che, a parole appare semplice e chiaro, ma a mio parere lo è solo per chi lo scrive, nel senso che non riesce a catturare fino in fondo con un significato tangibile o trascinante. La parte melodica e la struttura aiutano, ma è come se tutto fosse costruito per fare arrivare l’inciso, che però non basta, in quanto l’inciso a mio parere è solo l’inizio di una canzone . Mancano troppi elementi utili per rendere il brano apprezzabile, mentre è apprezzabile lo sforzo di scrivere e di provare a dire qualcosa e a coinvolgere chi ascolta, in una storia ancora tutta da chiarire.
In definitiva lo stile del progetto è chiaro, fatto di brani che sembra lascino la curiosità di riascoltare, ma che rischiano di rimanere troppo poco chiari e non facili da vivere, per cui occorre fare uno sforzo creativo e trovare il modo di rendere più efficace il segnale e il modo di confezionarlo. Occorre fare un lavoro di identità della band, per poi esprimere al meglio ciò che risulti essere.

Roberto Aucello
“Parlami di te”
Brano che parte con convinzione e dolcezza. Ha un sapore apparentemente locale, periferico, non per i riferimenti citati, ma per lo stile di scrittura paesana, sana. Una bella sincerità di scrittura quindi, piena di semplicità, sia in voce che nel testo. L’efficacia della canzone è tutta nella sua natura onesta.

“Bella così”
Una canzone che sa di buono, di “canto quello che mi esce vivendo”, non si sente la scrittura cercata, anche se può sembrarlo, proprio per lo stile già “sentito”. Ci sono frasi forti a livello comunicativo, in un linguaggio elementare ma efficace. La vocalità e l’interpretazione fanno immaginare un bisogno di comunicare storie evidenti, dirette e dolci, senza timore di apparire sdolcinato.

Il suono dei brani e della voce, anche il modo di cantare ricordano tanto una scrittura di altri cantautori leggeri italiani, ma proprio per questo rendono l’ascolto più intrigante, ossia predisposto ad essere sorpresi.
Nell’insieme si percepisce come un progetto frutto di un autore cantante dalla buona sensibilità, rivolta però ad un solo argomento. Da capire come può essere il racconto di altri temi o di altre storie, non per forza d’amore o sentimentali. Comunque buona la costruzione in generale, alla quale può aggiungersi qualche arrotondamento in alcuni punti o qualche accorgimento autorale, utile ad aggiungere un po’ di mistero e di fascino.
Se ci fosse altro da sentire, lo ascolto volentieri.

Animarma
“Nell’Ade”
Una ruvidità di impatto piacevole e solida mi sorprende e mi coinvolge. Un testo che sicuramente vuole urlare ancora di più dell’interpretazione già molto intensa e densa di intenzione e di bisogno di raggiungere le persone e chi non ascolta quello che abbiamo attorno, almeno secondo chi scrive la canzone. Una grinta credibile, trascinante su suoni e affiatamento musicale doc.

“Invisibile”
Brano ancora più evocativo, più trasversale e cantabile nelle sue parole lapidarie e dirette. Buon equilibrio tra voce e ambiente sonoro. Energia da vendere dal primo all’ultimo secondo, trascinante e avvolgente, nonostante sia parte di espressività artistiche forse lontane dalla gente comune italiana.

La vocalità e il canto sono molto convincenti e portatori di messaggi chiari e ben espressi. Testi comunque alti e ambiziosi. Il mondo musicale ha il pregio di essere masticabile trasversalmente uscendo in parte dal genere, per andare verso chi non lo vive tutti i giorni o chi lo ignora. Un buon compromesso tra passato e realtà, con un unico consiglio di provare a rendere ancora più compatto il suono della base sonora, per dare ancora più libertà alla vocalità in ogni fase delle canzoni.
Complimenti e buona musica!!!

Kirayel
“Postcard”
Un fascino che subito coinvolge grazie alla vocalità intrigante, il brano si rende piacevole fino circa a metà percorso, ossia fino a che non rivela la mancanza di una meta narrativa melodica condivisibile o comunque chiara e appassionante. Il brano rischia di addormentarsi su se stesso, non per struttura o per elementi d’arrangiamento, ma per vaghezza probabilmente scambiata per libertà istintiva ed espressiva.

“Sunflower”
In questo brano si apprezza maggiormente la voglia di raccontare con ogni parte del suono , della voce e della melodia, intensità quindi narrativa che coinvolge maggiormente senza diventare lagnosa o troppo ambiziosa. C’è comunque un comunicare leggermente lamentoso, ma che fa genere e fa intensità e ricerca spirituale.

Nell’insieme apprezzo l’intenzione di dare il proprio tempo alla propria musica, al proprio sentire con un fascino di fondo curioso e intrigante, ma suggerisco di essere comunque più concreti in struttura e racconto, asciugando echi e reverberi in eccesso, senza eccedere in partenze e ripartenze, che possono far passare le canzoni di ricerca in genere e canzoni da sottofondo.

Hikari
Ripeto a tutti che non guardo le biografie per rimanere fedele all’ascolto dei brani proposti.

“Above the ground”
Un mondo cupo e ruvido, che alterna intensità volitiva a musica aspra, senza regola e senza curarsi troppo di chi ascolta, l’importante è dire e suonare ciò che si sente. Un brano crudo, non pastorizzato, vero e indomabile, senza targa e senza sosta, di quelli che li rimetti in loop perché non capirai mai se sia un episodio serio o solo un episodio di espressione onesta ma naif, con colori scuri, quasi neri. Il perché essere così elementari in un mondo fatto di ingegneria musicale e strumentale, non è certo facile capirlo se non immaginando che chi si esprime, con testo voce musica e strumenti non si chieda il perché, ma il perché no?

“Selfish”
In questo brano l’essenzialità procede tra accenni a mondi e stili ben precisi e riconoscibili, atti a comporre un disegno nuovo, sia sonoricamente che concettualmente. La sensazione di seguire un filo che non sai dove potrà portarti, troppe le indicazioni per direzioni anche opposte tra loro, ma che alla fine coincidono in un’unica realtà, quella della inconsapevolezza cosciente, di chi esprime senza tempo e senza regole, mondi imprendibili e rarefatti, dove può mancare solo la furbizia, la ricerca spasmodica di qualcosa che potrebbe piacere, che lascerebbe all’ascoltatore il nulla, ma che invece qui è sostituito dal “semplice e curioso”.

La piacevolezza e l’apparente patina ruspante, non nasconde i pregi di questo suonare e cantare quasi a caso, al quale può solo aggiungersi un po’ di facilità melodica e di qualche parola memorizzabile, del resto vale la pena proseguire con pochi compromessi, dando al proprio credo musicale, la precedenza e la profondità necessaria.
Buona divagazione musicale!

Safari Surround
“Migrazioni innaturali”
Parlare di energia può sembrare retorico e banale, ma è proprio l’energia che tiene alta l’attenzione sul significato del brano, che ha voglia di dire tante cose, di denunciare posizioni scomode, realtà forzate, condizioni innaturali, ma presenti. L’insistenza ritmica e ciclica del brano crea quasi un’ossessione, un vortice dentro al quale o si cade o si viene sputati fuori, come oggetti indesiderati, non previsti o non in grado di comprendere la missione o il problema. Tutto è parola e poi infine diventa slogan e melodia, poco spazio per chi ascolta, anche il tempo dall’inizio alla fine è lungo, fino a diventare un piccolo peso da non far ripartire, salvo tagliare qualcosa in coda.

“S.p.e.s.a.”
(Sotto pressione e stress ansia)
Brano coinvolgente dall’inizio alla fine, lo standard delle divisioni e del linguaggio tengono fino in fondo con decisione, ma senza inutili arroganze. Buono il binomio rock rap, la ferocia mansueta di entrambi, ma determinazione massima nel non lasciare il minimo spazio all’incertezza, al ripensamento, al vorrei dire ma dico, bella vocalità e buono l’ensemble. Di sicuro impatto live, con possibili interazioni con media vicini ai linguaggi decisi e qualitativi. Il titolo forse non è ciò che aiuta a memorizzare il brano.
Progetto attuale con l’onere di provare a creare sintesi e melodie di conforto per l’ascoltatore medio, mentre il fan di nicchia vorrà ancora più estremismo.

Incontri con i valutatori 2018

Il Centro Musica ripropone quest’anno gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri, rivolti principalmente e musicisti e gruppi musicali, sono aperti a tutti.
Si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; tutti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.

• sabato 24 febbraio 2018, dalle 14 alle 18
Incontro con Roberto Trinci (direttore artistico Sony/Emi Music Publishing); Luca Fantacone (direttore marketing Sony Music); Daniele Rumori (direttore artistico Covo Club); Marcello Balestra (produttore-editore musicale).


• sabato 24 marzo 2018, dalle 14 alle 18
Incontro con Giampiero Bigazzi (produttore discografico, musicista); Marco Bertoni (produttore, musicista); Gabriele Minelli (A&R manager di Universal Music Italia); Carlo Bertotti (produttore, autore).

Gli incontri si terranno presso l’Off all’interno del polo 71MusicHub (Via Morandi 71 – Modena) dalle 14 alle 18.
Ingresso gratuito.

Io voglio vivere di musica – Marcello Balestra

INGDMYFS0359Da oltre 30 anni incontrando, ascoltando, scoutizzando, producendo, gestendo chi fa musica, mi sono sentito dire migliaia di volte che lo scopo della vita del cantante, del musicista, dell’autore o del cantautore di turno era principalmente ed assolutamente quello di voler vivere di musica, ossia di voler rispondere, a chi sapeva che quella persona si dilettasse in musica e alla quale poneva la solita domanda: “Sì tu suoni ma di lavoro cosa fai?” , di dire con disinvoltura: “Io di lavoro faccio musica!”. Come si fa a non dare ragione alla passione, al bisogno inarrestabile ed incontenibile di chi ama la musica e vuole farne un lavoro a vita? Tutto giusto, viviamo di musica, ma come si fa e da dove s’inizia? Generalmente i più facilitati a vivere di musica attiva, ossia suonarla o cantarla o scriverla, sono di due categorie: 1) quelli che la scrivono o la eseguono come nessun altro, 2) quelli che prima di essere cantanti, sono comunicatori o personaggi. Grazie per l’ovvietà direte voi e io rispondo prego, prego per voi! Sì prego perché le categorie suddette sono privilegiate, in quanto trattasi di persone che hanno il DNA intriso con la musica e con la comunicazione, ossia sono diventati esseri speciali. Quindi vivere di musica per chi ha studiato lo strumento ed ha trovato in quello strumento il suo microfono, il prolungamento dell’anima, un’estensione della propria natura umana ed artistica, attraverso cui esprimere energia, passione, estro, cuore, credo e umanità, non è conseguenza della bravura o della capacità tecnica, ma di un flusso di energia che raggiunge pubblico, tecnici e addetti ai lavori, per cui diventa lavoro solo di conseguenza. Vero è che la fortuna e la capacità di mettersi in contatto con il mondo fa la differenza, ma di questi tempi chi ha qualcosa di diverso su una base tecnica di qualità, viene notato sempre e comunque, anche se nascosto dietro la telecamera del tablet. Venendo al secondo gruppo di eletti a poter tranquillamente vivere di musica, ossia a comunicatori e personaggi, è utile far notare o ricordare che molti artisti mondiali hanno come caratteristica principale e primaria quella di essere un mix tra comunicatore visivo e sonoro e personaggio, ai quali si è aggiunta la vena espressiva del cantante o la si è utilizzata come forma di comunicazione di tali personalità. Ma siamo sicuri che tutti questi privilegi appartengano solo a pochi eletti? A parte il fatto che ci sono paesi e culture che sostengono la musica a vita per chi la abbraccia, sia a livello di studio che come performer, nella normalità dei casi eletto è chi fa un percorso non solo di apprendimento e di miglioramento del proprio strumento personale (voce) o aggiunto, ma chi trasferisce la propria essenza naturale e ben definita in ciò che esprime come voce, strumento e scrittura. La conferma di questo assunto è nella riprova che chi vive di musica a vita, è chi è capace di lasciare un segno personale intenso ed inconfondibile in ogni cosa che realizza, esegue o esprime, aggiungendo al brano o all’esecuzione quel bisogno di stupire se stesso e chi ascolta, senza per forza dover strafare, comunicando semplicemente quello che ha accettato di essere come persona e quindi come artista o musicista. Non si tratta certo di accettare un ruolo, ma bensì di accettare definitivamente la propria persona per quella che è, alla quale consentire poi di esprimere con tecnica e personalità, quello che la persona libera può esprimere artisticamente. Sembra complicato, forse logico, forse banale, forse per privilegiati, ma in realtà è cosa per tanti, tantissimi, ossia per tutti coloro che anziché chiedere di essere ascoltati per ciò che fanno artisticamente, prima cerchino di farsi ascoltare come persone e poi come artisti. Nella mia lunga esperienza mi è capitato di vedere, come sarà capitato anche a voi, persone fortunate che hanno avuto successo occasionalmente o fortuitamente o inspiegabilmente, che poi si sono dovute accontentare di replicare la stessa cosa mille volte per poterci vivere, mentre ne ho viste altre che dopo aver messo a fuoco il proprio punto di forza personale ed artistico, hanno avuto la possibilità di instaurare un dialogo in perpetuo con un pubblico, che anche in base alla fortuna del repertorio, diventava più ampio, ma sempre fedele alla persona che si celava dietro l’artista! Ecco quindi la soluzione all’esigenza di vivere di musica, quella di trovare o ritrovare veramente il proprio canale unico espressivo, per poi cercare un pubblico da coinvolgere con le proprie storie, le proprie performance sia canore che strumentali. Chi non fa questo percorso personale (che sia autore, musicista o cantante) al di là delle qualità tecniche, esecutive o estetiche, difficilmente potrà trovare il modo di vivere di musica attiva, ossia da protagonista, salvo accontentarsi del ruolo dignitosissimo e molto spesso più sereno e regolare, di insegnante, tecnico, organizzatore, fonico, co-autore, animatore, intrattenitore-pianobarista, regista musicale, corista, turnista ecc. ossia un meraviglioso ruolo di contorno e di supporto al mondo della musica, che accoglie tutti coloro che accettano di ricoprire sinceramente e seriamente detti ruoli, ma mai come ripiego a qualcosa che avrebbero preferito fare o essere. Vivere di musica vuol dire amarla, rispettarla e condividerla, senza morire di invidia o da incompresi!

Buona musica a tutti, con affetto.

Incontri con i valutatori 2017

Il Centro Musica ripropone quest’anno gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri, rivolti principalmente e musicisti e gruppi musicali, sono aperti a tutti.
Si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; tutti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.

• sabato 18 marzo 2017, dalle 14 alle 18

Incontro con Carlo Bertotti (produttore e autore); Giampiero Bigazzi (produttore discografico, musicista); Luca Fantacone (direttore marketing Sony Music).

• sabato 25 febbraio 2017, dalle 14 alle 18

Incontro con Marcello Balestra (produttore-editore musicale); Marco Bertoni (produttore, musicista);  Daniele Rumori (direttore artistico Covo Club); Gabriele Minelli (A&R manager di Universal Music Italia).

Gli incontri si terranno presso l’Off all’interno del nuovo polo 71MusicHub (Via Morandi 71 – Modena) dalle 14 alle 18.
Ingresso gratuito.