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GROUND CONTROL: Untied

Tanta energia da incanalare nel modo giusto per mettere a fuoco lo scatto perfetto. Sferzate chitarristiche glaciali, distorsioni e ritmi serrati. Una commistione di stoner, hardcore e psichedelia, una voce rabbiosa, a tratti rancorosa, a tratti rassegnata. Questi sono i Ground Control, che con il debut album “Untied” partono dalle sonorità di Bowie e Reed per approdare a territori ben lontani, tra Queens of the Stone Age e Nine Inch Nails. Nonostante i paragoni internazionali, suggeriti dalla band stessa, troviamo la produzione molto vicina a quella di una scena post hardcore emiliana, ancora florida e attiva, dalla quale il quartetto reggiano potrebbe cogliere a piene mani. Di tanto in tanto la band sorprende con accostamenti spiazzanti, quando una mitragliata post rock sfuma in un riff blues (First Fire), oppure quando il basso segue la batteria in ritmiche a tratti math rock, con gusto e affiatamento (Italiani Brava gente). La presenza della lingua inglese, tutto sommato un plus trascurabile, non stona con il cantato in italiano, lirico, affannato, che quasi fa desiderare una maggiore sguaiatezza. Nota di merito per i campionamenti vocali, che incorniciano e impreziosiscono un ottimo primo lavoro.

(Autoprodotto) CD

GROOVE CONNECTIONS: FreeGo

Rock is dead, punk is dead: i proclami sulla morte di questo o quel genere musicale guarda caso non hai mai toccato il funk, che come le braci ancora accese sotto alla cenere continua a sopravvivere in un sottobosco musicale di musicofili e appassionati. Perché alla fine, come ci hanno insegnato Pharrell e i Daft Punk qualche anno fa, all’uomo della strada battere il piedino e muovere i fianchi piace, sempre e comunque. E lo sanno bene i Groove Connection, formazione modenese che nel funk ha sempre creduto, portandolo in lungo e in largo nei locali della provincia (e non solo). Il pregio di questo ensemble è però anche il suo limite, ovvero quello di essere una jam band, e di fare brani solamente strumentali. Insomma, questo primo EP “FreeGo” è bello, ma non riesce ad essere più che la fotografia di una jam session, o un prodotto per gli amanti del genere. Sicuramente, e forse è anche il suo intento, si tratta però di un ottimo biglietto da visita per convincervi ad andarli a vedere dal vivo, o a chiamarli nel vostro locale.

(Autoprodotto) CD / Digitale

THE GLAN: Fuss

I The Glan costruiscono il loro suono partendo dagli anni 80, sino ad arrivare ai giorni nostri, proponendo una formula contemporanea ed immediata.
“Fuss” è un disco post punk nell’attitudine e indie nelle sonorità.
Pare quasi che, inizialmente, gli arrangiamenti sfiorino a tratti i Bloc Party di Silent Alarm, per poi convincere particolarmente quando virano su dissonanze cupe, atmosfere dark e aperture post rock. Basta un primo ascolto per capire che questo disco è fatto per essere ascoltato dal vivo, avvolti dal muro di suono (Hide Your Weapon), trascinati da cori da stadio emozionanti (Stormy Weather) e da un senso di “liberazione” da sé stessi che permea l’intera musica dei The Glan.
Questo perché “Fuss” è un disco che parla di nuovi inizi, fiducia, insicurezza e coraggio.
“Le cose non vanno sempre come abbiamo pianificato, l’importante è reagire con appropriate contromisure…perché da ogni nube trapela un contorno argentato”.

(Autoprodotto) CD

GIVE VENT: Days like years

Il modenese Marcello Donadelli è Give Vent (dare sfogo) e noi chiediamo venia se siamo arrivati un po’ lunghi a recensire il suo album d’esordio ma così è. Give Vent è un cantautore che esprime il suo “disagio” con testi in inglese e ascoltando il suo disco sembra di trovarci di fronte ad un artista folk rock di Minneapolis o di Manchester, che ha attinto a piene mani dal punk (attitudine), dalla lezione di gente come Billy Bragg e dalla nuova scena che ha i suoi punti di riferimento anche nei Mumford and Sons. Il disco parte in sordina per poi esplodere con “More than a self destruction”, tutta da canticchiare e godersi, per poi tornare a sonorità più intime e riesplodere con “Times to wait”. In tutto otto brani da cucirsi addosso come un guanto di pelle stretto stretto. Per coloro che amano la musica cantautorale americana, la scena poetica inglese, Give Vent è il loro artista. Complimenti anche per la veste grafica. Il cd è racchiuso in un booklet di grande formato con i testi, ma dentro la busta potete trovare anche una mini fotografia ed una stampa che cambiano (suppongo) ad ogni copia. Grande ed impegnativo lavoro. “The winter will have an end” potrebbe diventare la colonna sonora delle vostre giornate. Fateci un pensierino.

(diNotte Records) CD

GIACK BAZZ: Giack Bazz is not famous

Federico Giacobazzi, Giack Bazz, è bravo. Forse anche troppo. Il suo ultimo lavoro si presenta racchiuso in un foglio di quotidiano che contiene il cd, due 45 giri, un adesivo, una copertina ed il download su bandcamp. Esistono tre versioni diverse di questo pacchetto che cambiano per il colore dei vinili e per la copertina che li contiene. Insomma un grande lavoro non solo musicale ma anche grafico/concettuale. Arrivando, invece, alla musica vera e propria bisogna prendere per buone le parole con le quali Giack si presenta: “Musicista professionista e creatore di mondi e parole (wor(l)ds)”, perché in questo lavoro c’è un pianeta brulicante di persone che fanno cose, che amano o si disperano, che vorrebbero raccontare o essere raccontate. C’è Devembra Barnhhart e la sua Jaguar vintage, c’è James White, c’è l’America sterminata, ci sono i social network, la brexit, ci sono le fake news, la fama, il successo, c’è la stanchezza mentale dopo una opera rock, c’è Federico che con la musica esorcizza i suoi demoni. Bazz non è famoso ma forse un giorno potrebbe diventarlo. Noi glielo auguriamo. Con tutto il cuore.

(Autoprodotto) CD + DOPPIO 45

FERORMONI: Un segno più forte

Ferormoni è un duo, un progetto artistico nato nel 2014 dall’incontro fra Tommaso Crisci (musicista e compositore) e Monica Marini (autrice di testi musicali e poesie), che in quattro anni di sperimentazioni sonore e poetiche hanno dato vita a questo esordio “Un segno più forte”, titolo quanto mai identificativo della passione con cui affrontano la materia musicale. Il disco, nel complesso, è scuro e marcatamente elettronico come i riferimenti che delineano, nelle parole dei due stessi autori, il loro background artistico: Nick Cave, Garbo, Subsonica, Sylvia Plath, Tuxedomoon, Cure. Bisogna essere ben chiari, la musica di Ferormoni non è quasi mai orecchiabile, facile, piacevole… ma d’altra parte si tratta di musica di ricerca, non potrebbe essere altrimenti. È espressione artistica, e come tale non ricerca il consenso a tutti i costi. Quello che è certo che è i due, pur lavorando spesso a distanza, sono riusciti a creare un mondo musicale ben definito e personale, il che non è poco.

(Autoprodotto) CD

FAKIR THONGS: Lupex

I Fakir Thongs sono giunti al nuovo album, “Lupex” e confermano, anche se non ce n’era bisogno, la loro bravura ed intensità. I Fakir Thongs sono il rock anni 70 che vive nel 2018 e se ne frega di cosa sta succedendo nel mondo della musica (la trap per esempio), perché loro sono stoner rock fino al midollo, sono blues nel sangue, sono progressive quel tanto che basta. In “Lupex” il trio/quartetto non cerca di compiacere con il ritornello furbetto, la melodia zuccherosa ma piuttosto cerca di coinvolgere (e ce la fa) con ritmi spigolosi, incedere lento e funambolico ed una vena psichedelica che ti fa girare la testa. Dentro “Lupex” c’è il rock che trasuda dopo un tirato concerto in uno sperduto locale di periferia, ci sono i Fakir Thongs che mi immagino in sala prove a suonare e risuonare un brano fino a farsi sanguinare le dita. Per certo uno di loro è padre di famiglia ma il rock non si ferma neanche davanti al proprio pargolo. Ascoltate senza remore, mettetevi in cuffia “No tears”, inginocchiatevi davanti alle casse mentre suonano “Pen strokes”, fatevi un panino durante i sette minuti di “Hormiga bite” e poi digerite con “Lady bell”. I Fakir Thongs saranno la mia colonna sonora per le prossime settimane. Si vive una volta sola, dicono.

(Music For People Distribution) CD

ARCADIA MECCANICA: Arcadia Meccanica

Ambient, elettronica, lounge. Una formazione composta da flauto, sassofono, basso, tastiere e voce recitante. Dalla loro pagina Facebook si scopre ben poco, ma già dal nome e dai simboli all’interno del libretto si capisce che davanti a questo album omonimo degli Arcadia Meccanica ci si trova al cospetto di un rituale, più che di un semplice disco. Un insieme di 10 brani strumentali ben realizzati, dalle atmosfere cinematiche che fondono basi elettroniche a strumenti a fiato e a corda, a cui si aggiunge in più episodi la voce che recita poesie piuttosto che testi di canzoni. Ed è proprio in questa unione tra parole e musica che qualcosa non funziona, non perché uno dei due elementi manchi di qualcosa, ma perché non riescono a compenetrarsi e scorrono a loro modo su due binari paralleli. Un matrimonio non del tutto riuscito, purtroppo, che rappresenta però il margine di miglioramento su cui il trio, che su disco diventa quartetto, ha spazio per lavorare e mettere meglio a fuoco il progetto.

(Autoprodotto) CD

BOB: Km299

Il secondo album dei modenesi BOB segna è un nuovo inizio. Tanto per cominciare è il primo lavoro scritto interamente dalla nuova formazione, composta ora dai due elementi storici Mattia Malavasi (voce) e Matteo Cariani (batteria) e dalle new entry Mauro Siviero (chitarra) e Carlo Cench (basso); in più è il primo album della band che si possa considerare tale, dato che il precedente “La caduta del Re” era più che altro una raccolta di registrazioni già contenute in vari EP. La matrice musicale del quartetto è quella del rock italiano nella sua forma più classica, quello di Litfiba, Vasco, Ligabue, ma che non disdegna anche le atmosfere più dure e le batterie quadrate di matrice americana, con AC/DC e Black Sabbath in testa. Un disco ben scritto, nel suo genere, ma che negli episodi più leggeri (“A22”, “Venerdì”, “Tu”) palesa troppo la ricerca del singolo e del ritornello facile, ammansendo la carica rock di brani come “Ho visto il Diavolo” e “La notte di Anita” e componendo così una tracklist varia ma anche discontinua.

(Autoprodotto) CD / Digitale

DAVIDE BOSI: Don’t Try

Non fosse per il nome, schiacciando play su questo album d’esordio di Davide Bosi non si penserebbe che questo ragazzo sia di Cesena. Magari di Nashville, o di qualche paesino sperduto nel ventre degli Stati Uniti. La sua proposta musicale è un folk-indie leggero nei suoni ma denso nei contenuti, realizzato sempre in punta di piedi e con il minimo della strumentazione necessaria per portare il brano a compimento, con una voce leggera, sussurrata, che esce quasi di soppiatto dalle casse dello stereo. Quello scelto da Davide è un genere tosto con cui cimentarsi, dato che ci vuole un attimo a fare paragoni illustri e ritrovarsi sulla bilancia assieme a giganti come Nick Drake e Elliott Smith, o ai più recenti Kurt Vile e The War On Drugs. Con i suoi limiti, però, questo giovane cantautore riesce a portare a casa il risultato e a confezionare un disco scritto molto bene, anche se complessivamente un po’ piatto. C’è da lavorare per trovare un guizzo, magari una vocalità più caratteristica, ma il solco è segnato e siamo certi che il seguito sarà ancora migliore.

(Autoprodotto) CD / Digitale