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Yeah! Mutation: Ri(e)voluzioni

Yeah-MutationOKNascono nell’agosto del 2013 gli Yeah! Mutation, band tutta modenese che da subito decide di produrre musica propria fondendo suoni elettronici e rock: il primo risultato ottenuto dal quartetto è questo EP “Ri(e)voluzioni”, registrato e mixato presso il 2D studio di Carpi (MO) sotto la direzione di Simone Prandi, e pubblicato a marzo 2015. Quattro tracce che in realtà anticipano un concept album dallo stesso titolo, previsto per il 2016. Pretesto narrativo è il diario di una giovane donna inserita in una società che trae liberamente ispirazione dalle opere di Orwell e Bradbury, in cui la libertà di pensiero e di opinione è un lusso per pochissimi, contesto che permette agli Yeah! Mutation di affrontare tematiche difficili come la guerra e la repressione fisica e psicologica dell’individuo. Le coordinate musicali di questa narrazione, impossibile da giudicare per incompletezza (per quello bisognerà aspettare il full length), sono quelle dei generi rock storicamente più “adatti” al racconto, uno fra tutto il progressive rock di matrice italiana (Banco del Mutuo Soccorso, PFM).

(Autoprodotto) CD

The Waiters: The Waiters

the-waitersOKNome: The Waiters. Anno di formazione: 2012. Località: Modena. Componenti: Gianluca Re (batteria), Andrea Addabbo (basso), Gianmarco Marchetti (voce e chitarra), Gabriele Ravera (chitarra, tastiera). Liriche: inglese e italiano. Genere: rock pop molto british. Influenze: la bellezza di Justin Bieber senza ombra di dubbio (da leggere la presentazione del gruppo scritta sulla pagina di Facebook) e sicuramente buona parte dei gruppi che spaziano dai Coldplay ai Negramaro. Consigli: i due brani in italiano hanno una marcia in più e le liriche nella lingua di Dante sono da coltivare amorevolmente. Suggerimenti: suonate dal vivo a più non posso e fatevi le ossa sui palchi, create una fan base solida e pronta a tutto. Non preoccupatevi se non ci sono le condizioni tecniche migliori attaccate i vostri strumenti e suonate. Giudizio: questo ep dimostra che ci sono buone basi su cui lavorare, i semi sono stati gettati, ora bisogna annaffiare costantemente e ripetutamente. I The Waiters hanno dalla loro parte la giovane età e la voglia di suonare.

(Autoprodotto) Digitale

Smegma: Un caz t’amaza

smegmaOKLo Smegma è un prodotto di secrezione dei genitali maschili e femminili a cui si sommano cellule epiteali esfoliate delle mucose, sebo e materia umida proveniente dall’urina. Questo dovrebbe bastare per comprendere le coordinate di movimento della band. Dalla loro biografia si evince che il combo si è congelato per 16 anni, per poi decidere di riformarsi e pubblicare un album. Gli Smegma hanno deciso di fare le cose alla grande. Nell’album figurano dieci brani mai pubblicati ma eseguiti dal vivo da tempo immemore e la versione rimasterizzata dei vecchi cavalli di battaglia del 1996. All’ascolto del disco, un rock a volte che sfocia in uno ska assolutamente demenziale, si capisce che il gruppo si diverte un sacco a suonare e cantare. Qui le parolacce sono di casa, come le storie di vita quotidiana viste e raccontate con un piglio ironico. Dentro a “Un caz t’amaza” c’è il rock ma anche il roll, c’è il punk ma anche il reggae, c’è il metal ma anche il liscio, c’è il pop ma anche il dark, c’è l’hardcore ma anche lo ska. Ci sono gli Smegma con titoli di brani che sono un programma e una scelta di scaletta che la dice lunga. Divertimento allo stato solido.

(Maranello Paranoia) CD

River: River

riverOKRiver è Francesco Federico Pedrelli, giovane cantautore carpigiano che si è già tolto lo sfizio di vincere il Premio Daolio. River è un progetto solista nato dall’esigenza di Federico di confrontarsi in solitaria con i suoi demoni (i testi) e le sue paure (le musiche). L’omonimo ep di debutto, contenente cinque tracce, è uno spaccato sofferente del mondo di River, dove le pene d’amore assumono diverse sembianze. River si trova a suo agio tra il buio di un folk che sembra non voglia trovare l’uscita dal tunnel dell’inferno. River canta in maniera struggente, la chitarra lo accompagna in modo altrettanto sofferente, i testi, in inglese, escono dalla sua gola contorti in una valle di lacrime. River è “She runs” ma anche “Darker”, o “Who knows”. River è ad un passo dal gettarsi dal tetto più alto della città ma la musica lo salverà e tutti quanti si abbracceranno al suo prossimo concerto, tra chi è ancora alla ricerca dell’amore in un uomo barbuto, o chi l’amore lo ha già trovato in una donna incontrata a una serata di filosofia. River è bravo. Veramente bravo.

(Autoprodotto) CD-R

Reverie: Rerum

reverieOKI Reverie sono una band molto giovane ma con le idee ben chiare. “Rerum” è il loro album di debutto, dieci canzoni di stoner rock, progressive e noise registrate al Dudemusic studio di Correggio alla fine del 2014. “Rerum” è figlio degli anni 90 (grunge), degli anni 70 (progressive), dei suoni che si attorcigliano ai testi in italiano. Riff pesanti, un violino impazzito, graffi di chitarra, sezione ritmica cattiva, tutti elementi che fanno dei Reverie un gruppo con un preciso obiettivo, quello di scuotere l’ascoltatore. “Rerum” è la percezione di sentire gli Alice In Chains (“Ascolta il muto”) ma è solo un attimo, perché si è subito trascinati dentro ad un vortice che ti risucchia fino a farti mancare il fiato. I Reverie hanno debuttato con le idee ben chiare, citano i King Crimson tra le influenze e questo gioca sicuramente a loro favore. Il violino di Fausto Cigarini è quel tocco che porta la band verso altri lidi, lidi bagnati dall’irruenza giovanile, dagli Area (“Nubi negli occhi”) e dalla certezza di fare la cosa giusta. I Reverie sanguinano e noi sanguiniamo con loro.

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Red Atomic Elephants: Cosmic Travel

Red-Atomic-ElephantsOKÈ un funk rock bello compatto e convincente quello dei Red Atomic Elephants, quintetto nato a cavallo tra le province di Mantova e Modena. A qualche anno di distanza dall’omonimo EP, la band torna con questo nuovo “Cosmic Travel”, un mini album di sei tracce che conferma l’attitudine del gruppo: radici ben salde nel funky senza ricadere troppo negli stilemi di genere e senza perdere l’anima rock, in una miscela acida che si rifà come sound ai primi lavori dei Red Hot Chili Peppers, tra una sezione ritmica sostenuta, chitarre saltellanti e tappeti sonori sintetici. Un vero e proprio “viaggio cosmico”, che trascina l’ascoltatore da un’altra parte per una mezz’ora buona, a cui manca solo l’appiglio per rimanere fisso in testa, il ritornello accattivante, insomma: il singolo (a dirla brutta). Sicuramente una conseguenza della scelta di non lasciare troppo spazio alla voce e alla melodia, unico elemento mancante per completare e dare maggior respiro a un progetto già di per sé molto interessante.

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Ordinary Frank: Sukkino

ordinary-frankOKDalla provincia di Modena con un carico di rock vagamente demenziale, loro si chiamano Ordinary Frank e sono nati nel 2010 dalla voglia del cantante Alan Carraro di mettere in musica alcune idee che frullavano da qualche tempo nella sua crapa. Trovati Ballot (chitarra), Lode (basso) e Dema (batteria), gli Ordinary Frank erano pronti per registrare il primo album, “Esco nudo”, pubblicato nel 2013. I dodici brani dell’album permettono ai nostri di esibirsi e farsi conoscere. Oggi è giunto il momento di un nuovo lavoro, “Sukkino”, sette canzoni di demenza giovanile che spaziano dal rock alla disco music, passando attraverso testi acuti come “La batteria”, o “Venditori di case”, pure e semplici verità che nessuno ha il coraggio di ammettere. Gli Ordinary Frank amano definirsi un gruppo serio ma non troppo e questa descrizione dice tutto sulle intenzioni della band. Mettete a tutto volume “Odio” perché sicuramente dentro ci siete anche voi, oppure lasciatevi tentare da “Disko musik” e cercate di non ridere di gusto ascoltando “La batteria”. Gli Ordinary Frank con “Sukkino” mettono un altro sigillo al rock demenziale.

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Old Scratchiness: No shape

old-scratchinessOKUn po’ come l’Araba Fenice, i pavullesi Old Scratchiness risorgono dalle proprie ceneri con questo “No Shape”: scioltisi nel 2013 dopo la pubblicazione dell’EP “Negativity”, il quartetto si riforma ad inizio 2014 e subito riprende il lavoro su brani inediti, che sfociano in questo nuovo lavoro registrato nei primi mesi del 2015 presso il Kaze Studio. A prendere in mano l’abum viene il dubbio che sia un EP piuttosto che un full lenght, dato l’esiguo numero di brani al suo interno, ma non appena si inserisce nel lettore le cose cambiano parecchio: “No Shape” infatti non manca certo di respiro o lunghezza, dato che molti brani superano abbondantemente i cinque minuti, addirittura la finale “The Room of 1000 Clocks” trascina l’ascoltatore in giro per quasi seicento secondi. Le radici degli Old Scratchiness sono sicuramente nel primo grunge, quello dei Kyuss per intenderci, embrione della corrente stoner sviluppatasi nell’ultimo ventennio, un’eredità particolarmente evidente nel brano “Shapeshifter”: ritmiche quadrate, chitarre affilate e una produzione scarna al punto giusto, elementi che fanno di “No Shape” un buon punto di partenza per una band in crescita.

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Na Isna: Un dio furioso

naisnaOK“Un dio furioso” è il debutto dei Na Isna. Un debutto denso, impregnato di musica e parole profonde. I Na Isna sono un quintetto che ha deciso di entrare in punta di piedi negli anfratti del cantautorato italiano, quello dei Paolo Benvegnù, Umberto Maria Giardini, Brunori, tanto per citare qualche nome. I Na Isna hanno radici profonde come l’albero disegnato da Marino Neri, radici che sono ancorate al proprio passato e che si protendono verso il futuro. Musica greve, che sembra appoggiare sul nostro stomaco un bilico di cemento armato, con parole che come martelli pneumatici ci fanno sanguinare a ogni sillaba. “Un dio furioso” è un disco di confronti e di confronto, non importa se sono i cori, o le parole sussurrate a ricordarci le continue sfide della vita, quello che conta è il flusso che emana questo disco. Un flusso di pace interiore. I Na Isna potrebbero giocare al fantacalcio delle canzoni e tutti cercherebbero di avere nella propria squadra le loro composizioni. Unico appunto. Se non si è i The Beatles, Prince o i Metallica, in copertina il nome del gruppo ci può anche stare.

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Monolith: Even more

monolithOKÈ passato un anno dal primo ep dei Monolith e la band è già pronta per farci ascoltare il seguito, “Even more”. L’album, registrato a Bologna nello studio del produttore Marco Bertoni, accentua tutto quello che si era intuito in “Louder”. Nei nove brani in scaletta il grunge e lo stoner la fanno da padrone, anche se qualche richiamo alla psichedelia affiora qua e là. I Monolith sono un concentrato di rock dal peso specifico elevatissimo, la lezione dei vari Soundgarden, Alice In Chains è stata metabolizzata dagli emiliani e fatta propria. Non mancano, come giusto che sia, riferimenti ai Queens Of The Stone Age (e family), come non mancano episodi di sano furore hard rock. I Monolith dimostrano, con la nuova prova discografica, il loro valore assoluto. Adesso devono solo pensare seriamente a espatriare, perché la loro musica merita il rispetto e la fama che dalle nostre parti è sempre più difficile ottenere. Da segnalare il brano d’apertura “Overload”, “Even more”, “Intro” e “Untitled” (sul versante titoli i ragazzi devono ancora lavorare alacremente).

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