La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.
E’ strano scrivere degli effetti della pandemia in un momento (scrivo a fine luglio, in Italia i numeri per fortuna sono molto bassi, ricominciano i primi tour in luoghi particolari) in cui non si sa se il peggio è passato o se invece deve ancora arrivare, magari a ottobre.
Non essendo il mago Otelma scriverò di quello che vedo e Adesso e Qui il peggio sembra passato.
Le prospettive per la discografia stando così le cose non cambiano poi di molto, un po’ di ritardi ma niente di che. Se parliamo del mercato musicale invece è chiaro che tutto il mondo della musica live dovrà rivedere conti e prospettive (i costi si alzano, i profitti calano) per cui ci saranno grandi problemi e probabilmente sarà necessaria anche una vera e propria ristrutturazione di tutto il comparto in Italia.
La ripartenza dopo il lockdown è più lenta del previsto per noi editori che, dalla morte del disco in poi, basiamo molti dei nostri introiti sulla musica dal vivo. Per fortuna restano gli introiti derivanti da radio e tv (visto che purtroppo anche il cinema è bloccato). Lo streaming che non ha risentito molto del lockdown purtroppo non è – incredibilmente! – ancora una voce significativa per gli editori.
Per quel che riguarda il lavoro a distanza in SonyATV è sembrato funzionare e sta ancora andando avanti ma mi sembra di poter dire che non ha superato pienamente la prova. Manca lo spirito aziendale e il lavoro di gruppo tra reparti diversi e per chi come me lavora direttamente con gli autori e gli artisti il contatto fisico, l’incontro vero e proprio, non è sostituibile con telefonate o videoconferenze (che peraltro io odio, ma questo è un problema mio…).
Se avessi una formula di business che potrebbe sostituire il “live” sarei l’uomo più ricco dello show-business. Purtroppo non è così ed inoltre penso che, a parte la questione economica. la musica live non potrà mai essere sostituita da un surrogato. Andare in un posto (magari bello) con persone (magari simpatiche) a vedere un artista che ti piace o con cui sei cresciuto non è una esperienza sostituibile e prima o poi dovrà tornare!
Chiaramente dal punto di vista economico l’unica possibilità per non subire il calo degli introiti della musica live sarà di aumentare e razionalizzare gli introiti derivanti dal digitale. La discografia in questo (tra youtube e spotify) è già più avanti e i ritardi accumulati dal mondo dell’editoria musicale vanno assolutamente recuperati o perlomeno ridotti. Non è possibile che nel 2020 per un editore musicale rappresentino una entrata economica più importante la vendita di vinili e cd che tutta la musica che passa da youtube…
Non mi sembra che siano uscite cose superflue da eliminare durante questa pandemia. Le cose, a mio avviso, superflue (tipo gran parte della promozione digitale) lo erano prima e lo resteranno poi.
E’ ovvio che le richieste di molti artisti andranno ridimensionate e questo purtroppo porterà ad allargare ancora di più il solco (già molto, troppo, grande) tra chi ha successo e chi non ce l’ha. La sparizione della “classe media” nel mondo della musica è un fenomeno che era già iniziato da anni e questa pandemia l’ha senz’altro peggiorata.
Voglio però chiudere con una nota positiva. Secondo me questa pandemia ha dimostrato che la musica (come il cinema, la letteratura, il teatro) non sono un semplice passatempo ma il tessuto stesso che va a formare le nostre vite che senza di esse si ridurrebbero ad una semplice alternanza tra lavoro e riposo. Penso che il dover fare a meno di concerti, festival, nuove uscite abbia fatto capire alla gente che la vita varrebbe meno (o sarebbe senz’altro molto meno divertente) senza questi “passatempi”.