Niko Albano: SONDAinONDA
Niko è un giovane cantautore campano, bolognese d’adozione, che si ispira prevalentemente ad artisti britannici come James Morrison e Paolo Nutini. Nel 2018 pubblica il primo singolo autoprodotto Forget Your Touch per poi passare alla lingua italiana con i successivi Volersi Liberi e Non Serve Domani.
Ascolta Non Serve Domani che Niko ha suonato per SONDAinONDA in coda all’intervista
Telegraph Tehran: SONDAinONDA
Telegraph Tehran è un progetto musicale synth-electro pop che nasce a Bologna. Le sonorità rock-shoegaze del primo album vengono abbandonate dopo un cambio di organico che porta alla pubblicazione dell’ep Marea del 2018. La band sta ultimando le registrazioni del nuovo disco che uscirà entro fine anno.
Ascolta il brano Box Ten in versione semi-acustica che i Telegraph Tehran ci hanno lasciato in coda all’intervista.
SONDA NIGHT. 13 settembre, Giardini Ducali – Modena
Sonda Night, una serata con le band di Sonda all’interno della manifestazione Giardini d’Estate presso i Giardini Ducali di Modena.
Sul palco, a partire dalle 21.30:
– Track Chase
– Natan Rondelli
– The Glan
– Particles
Sonda Tour: le aperture nei locali partner 2018/2019
Ecco le prime aperture confermate con gli artisti di Sonda per questa stagione di collaborazione con live club e festival dell’Emilia Romagna:
COVO CLUB
– 12 ottobre: SILKI + CADORI in apertura a Molly Nilsson + Generic Animal
– 23 febbraio: OAKS FOR RENT in apertura a Trail of Dead
BRONSON
– 12 ottobre: DELLA + BY.LL in apertura a Santii
OFF
– 16 novembre: IL CORPO DOCENTI in apertura a Matteo Borghi dj
– 7 dicembre: COLLECTIN’S SPARKS in apertura a Matteo Borghi dj
– 22 dicembre: LUDWIG MIRAK in apertura a La Municipal
– 26 gennaio: FUXIMILE, SAPONE INTIMO, ROADHOGS in apertura a Passerotto dj
LA TENDA
– 12 ottobre: GIVE VENT in apertura a Fine Before You Came
– 16 febbraio: LE ZAMPE DI ZOE + ELIA in apertura a Colombre
– 7 marzo: GIACK BAZZ in apertura a Fast Animals and Slow Kids
– 21 marzo: BARONE LAMBERTO in apertura a Willie Peyote
– 11 aprile: IL GRANDE GALLO NERO in apertura a Maria Antonietta
SPLINTER CLUB
– 12 ottobre: OVERTOUGHT + IL CORPO DOCENTI in apertura a Scarda
– 1 febbraio: MESSIA in apertura a Cor Veleno
– 5 maggio: BINGE DRINKERS in apertura a Little Villains
LOCOMOTIV CLUB
– 1 marzo: MESSIA in apertura a Dutch Nazari
– 2 marzo: LUCA MARIA BALDINI in apertura a Giardini di Mirò
– 4 aprile: ONE GLASS EYE in apertura a Fil Bo Riva
– 23 maggio: GIACK BAZZ in apertura a The Messthetics
FESTA DELLA MUSICA DI NONANTOLA (MO)
– 14 giugno: FUNNETS in apertura a Rumba de Bodas
FESTA DELLA MUSICA DI MODENA
– 21 giugno: GIACK BAZZ, MEDICAMENTOSA, DAVIDE AMATI in apertura a Dutch Nazari e Giorgio Poi
GODOT FESTIVAL
– 6 settembre: ANDRE VELENO + FUCKING COOKIES in apertura a Auroro Borealo
– 7 settembre: HYGGE in apertura a Venerus + Lo Straniero
I pensieri dei valutatori: Marcello Balestra
Nuovi negozi di dischi stanno aprendo un po’ dovunque. Il vinile è tornato ad essere un supporto amato ed acquistato. Ai concerti si registrano sold-out ad un ritmo vertiginoso, mentre i talent e il Festival di Sanremo macinano share da capogiro. Sono segnali di una ripresa o di una imminente apocalisse? Ecco cosa ne pensano i valutatori di Sonda.
IL TALENTO È FUORI DAL TALENT CHE PRODUCE SOLO
“L’ISTANT SHOW”!
(lettera da Casartista, un luogo fuori tempo)
Se in Italia e nel mondo nel 2019 si parla ancora di talent, è perché la noia mista alla pigrizia ci pervadono a tal punto che, tanto vale vedersi chi va al talent……al posto nostro.
Sì, in fondo lo specchio del talent è talmente pulito e chiaro, che non facciamo altro che rivedere noi stessi, al posto di chi prova a salire sul palco per il suo “istant-show”, quello della performance canora sul suo cavallo di battaglia “a dondolo”! Sì, oramai anche i cavalli non sono più da battaglia, visto che le battaglie a cavallo esistono solo nella finzione del cinema o dal vivo in qualche gara clandestina della periferia italiana. L’Italia dei cantanti e dei navigatori, ma che oramai navigano solo in rete, come i cantanti cantano solo per un istante e poi ciao a tutti, baci, foto, selfie e a casa, a vedere chi canta per l’istante successivo!
Istagram è esattamente in linea con i talent, il tempo di una “storia” e non esisti più! Ma allora che dire nel 2019 sui talent? Che sono il palco della fanteria musicale, che con rispetto per ogni fanteria ha la dignità di partecipare al programma, sapendo che sarà la prima a cadere o a morire, a sparire per fare da massa critica per la cavalleria che segue e per i carri armati, quelli che a volte hanno la stoffa per colpire, per difendersi e per dare sicurezza al popolo, ops al pubblico. Sì, oramai sopravvivono solo i super-armati di qualità e di forza fisica e mediatica, ma in fondo solo quelli armati di capacità di coinvolgimento con il suono della voce, con la coerenza tra arte e persona, con la sincerità e trasparenza di chi è risolto nella vita e nella musica, con l’intensità di chi ha veramente bisogno di comunicare qualcosa, come se non ci fosse l’attimo dopo, così come il destino del popolo che partecipa ai talent, senza alcun peso specifico artistico e comunicativo!
Ma immaginiamo per un attimo se ai talent ci fossero solo i tank e non le pecorelle smarrite, magicamente non li guarderebbe nessuno, perché sarebbe come vedere un programma su Real time di sollevamento pesi, per cui nessuno a casa si sentirebbe rappresentato, nella sua mollezza e magrezza, da certi omoni muscolosi e rudi. Ecco allora che i talent finiscono per raccogliere sempre più persone molli, fuori tema, per dar luce e sostenere come regia chi è l’opposto e quindi mediamente dotato, per renderlo poi ancora più visibile, fino a sposarne il destino, proclamandolo vincitore del momento mediatico.
Finisce ancora così il talent nel 2019? Se è ancora così, vuol dire che il talent è solo e sempre rivolto a chi ama partecipare con gioia ignorante alla mattanza, ad essere giustiziato in massa, senza avere nemmeno capito perché o per cosa sia defunto, senza nemmeno aver detto chi fosse veramente. E il problema è solo questo, al talent ci si va per mentire anche a noi stessi, per mostrarci nella finzione della partecipazione, dell’emozionarci, del provarci, del canticchiare, del cercare la telecamera che ci aiuti a parlare ai genitori o a chi ci dovrebbe amare, che non sanno nulla di noi figli, che non hanno capito nulla della tv e che sperano di provare emozioni grazie al suicidio televisivo dei figli, che proprio in quel momento di coraggio imposto dal meccanismo mediatico, provano a chiedere scusa a se stessi per non aver avuto il coraggio di dire di no a tutti quelli che direttamente o indirettamente li hanno portati lì, lasciandoli soli a vivere un istante di vera finzione televisiva.
Il talent come tutta la tv è normalmente onesto e cinico, il partecipante è sempre incosciente, è una papera di plastica da pescare al luna park, che presto cambierà città. Il talento? Quello non basta, anzi non esiste o non si vede, se non si ha il coraggio di accettarlo come dono, di mostrarlo quindi in modo naturale e libero, anche cantando le solite canzoni utili agli ascolti televisivi, finché la tv saprà tenersi lo spazio che ha.
Ma allora cos’è, dov’è e chi ha talento? Talento è il vino che ci piace bere, il luogo dove andare al mare, il piatto che mangiamo con gioia, ossia sono le cose che sono in grado di emozionarci tutti i giorni, anche se non sono le più acclamate o famose. Ecco che chi ha qualcosa da dire, utilizza la rete per mostrare coraggio, bisogno di comunicare le sue novità, per poi dare appuntamento dal vivo ai curiosi e agli appassionati del nuovo artista di turno. Cantautori o band di apparente nicchia oggi scorazzano tra rete e concerti, totalmente incuranti del non essere così visibili, ma presenti nei sentimenti del pubblico che ascolta le loro storie, fatte di curiosità e normalità di quest’epoca, dove i veri fenomeni se non utilizzano brani commestibili, rimangono nell’ombra e dove i semplici autori cantanti possono colpire al cuore, per convinzione e semplicità narrativa, così come il pubblico mai sazio riesce a riconoscere, rivivendo in loro sentimenti costanti e comunque rassicuranti.
La curiosità oramai è fuori dalla tv, il talento non è di quest’epoca, ma almeno si esce per ascoltare, per sentirsi ascoltati come pubblico di sentimento e non solo come fan da evento di massa o conseguenza di un focus televisivo. Viva chi si confronta con lo standard della tv, chi riesce a usarla per dare al suo pubblico assaggi pop, in pensieri e musiche utili al sentimento collettivo quotidiano.
I pensieri dei valutatori: Marco Bertoni
Nuovi negozi di dischi stanno aprendo un po’ dovunque. Il vinile è tornato ad essere un supporto amato ed acquistato. Ai concerti si registrano sold-out ad un ritmo vertiginoso, mentre i talent e il Festival di Sanremo macinano share da capogiro. Sono segnali di una ripresa o di una imminente apocalisse? Ecco cosa ne pensano i valutatori di Sonda.
Da
molti anni faccio il produttore musicale e mi trovo spesso ad
affiancare professionalmente giovani artisti che vogliono
concretizzare il loro lavoro e che vogliono proporsi all’attenzione
del pubblico e degli addetti ai lavori.
Ho quindi la possibilità
di vedere le due facce della medaglia: chi fa le cose e chi prova poi
a venderle.
In questi ultimi tempi le praterie lasciate libere dal
declino dell’industria discografica sono state invase da altri
soggetti commerciali, più adatti a rendersi protagonisti del
mercato.
Esempi di questi soggetti sono Nicola Cani, Bomba
Dischi, Maciste Dischi, 42Records.
Questi non sono rivoluzionari,
non hanno soppiantato nulla.
Hanno colmato spazi imprenditoriali
lasciati vuoti dalle majors che si sono ridimensionate e che ora si
occupano d’altro (molto spesso però collaborando con loro per
alcuni segmenti della filiera).
• I
giovani artisti esordienti non sanno di quanto si è ridimensionato
il lavoro in termini economici se paragonato a 20 anni fa quando una
hit ti cambiava la vita, non sono figli del declino ma costituiscono
la generazione dopo il declino che, anche dal punto di vista
artistico, non subisce pesantezze o depressioni.
Una generazione
che non deve portare testimonianza di alcunché ma può e vuole
essere solo di intrattenimento, più o meno leggero.
• Il
declino può essere individuato come coincidente con l’epoca
televisiva, i lunghi anni di televisione commerciale, un buio
culturale.
La ripresa è paradossalmente individuabile con la
nascita del web (o per meglio dire con l’inizio di un uso specifico
del web dato dai suoi tempi e dai suoi linguaggi) che ha di certo
generato la grande crisi industriale della vendita dei supporti (cd,
film, giornali), ma ha anche poi generato nuove procedure e
opportunità promozionali e nuovi mercati per nuove generazioni di
artisti e di consumatori.
Chi è vecchio o hipster e ama gli
oggetti, la musica la compera volentieri in vinile, di cui osserviamo
una ripresa commerciale oramai consolidata.
Chi è giovane la
musica non la compra, la ascolta e basta, dalla rete.
•
Parallelamente, gli eventi live tornano ad affermare la loro
importanza come momento sia popolare, sia economico.
È
impossibile immaginare un prodotto musicale odierno che non abbia una
valenza live, senza la quale tale prodotto non sarebbe utile a
generare consensi popolari e incassi.
• In termini artistici chi
costituisce la scena indipendente è passato dall’essere
“protagonista perché antagonista” all’essere “protagonista”
e basta. Cioè se prima essere “contro” aveva una valenza
rappresentante una precisa collocazione sia culturale che di mercato,
ora non vi è più “alternativa”: la scena indipendente è
diventata tutt’uno con la scena mainstream, a parte qualche rivolo
di risulta dai vecchi tempi.
Culturalmente sono stati sdoganati,
digeriti e superati tanti aspetti e tanti tabù che hanno irrigidito
e reso disperata e per certi versi snob per molto tempo la musica
indipendente italiana.
La musica definita indipendente o
alternativa è oggi diventata in breve tempo mainstream e popolare,
trovandosi già adatta e pronta per quell’uso.
Vedere oggi il cast
di Sanremo mescolarsi al cast del Primo Maggio non deve apparire
strano.
• Senza problemi i nuovi cantautori e autori di
canzonette rifanno (in parte) il verso a voci e a melodie considerate
fino a poco tempo fa inavvicinabili (echi di Venditti, Dalla,
Battisti ecc), e così sentiamo delle nuove canzoni, che possiamo
cantare tutti insieme, con melodie e testi contemporanei.
Escono
sul mercato nuovi nomi che muovono interessi e soldi, e questo per
l’Italia è un dato positivo per tutta la scena.
Le estati
tornano ad avere le canzoni di successo, dopo anni di oblio delle
canzonette.
Il juke box degli anni 60 e 70 adesso è dentro ogni
telefono.
E rimbalza sulle radio e nelle TV.
Il click, il
passaggio, è avvenuto durante l’apertura di Radio DeeJay alle
musiche di Cosmo e di Brunori SAS, è avvenuto con l’uscita di
Calcutta, con l’uscita di Motta, con la crescita mainstream de Lo
Stato Sociale, la conferma stilistica de I Cani.
Intendiamoci, non
è che si sono aperte le porte del paradiso a cani e porci: le forche
caudine della qualità del linguaggio, di cosa funziona e cosa no, ci
sono sempre.
I progetti sopra scritti hanno avuto anni di
incubazione, crescita, gavetta.
Può cambiare l’attitudine, ma
c’è sempre bisogno di essere a fuoco come prodotto, di lavorare
tanto, di avere un ruolo attivo soprattutto in una scena germinale
live, vero banco di prova per la selezione e la crescita dei
prodotti.
• Adesso per chi ci prova c’è la concreta
consapevolezza (non più solo la speranza), che se si è adatti al
mondo della comunicazione e del mercato ci sono delle possibilità di
uscire fuori e di farsi notare, di segnalare la propria
esistenza.
Intorno agli esordienti non vi è più il deserto che
costringeva noi produttori a dover spiegare ai gruppi ed agli artisti
che, parallelamente alla produzione di un progetto, ci si doveva
occupare in proprio di mettere in fila – se non sostituire – tutti o
quasi tutti i pezzi di una filiera ‘discografica’ e ‘manageriale’
che era sempre più estemporanea disperata e agonizzante.
Fino a
pochi anni fa si auspicava una forzata autarchia che oggi pare non
più necessaria in modo così disperante.
• La generazione del
dopo declino non sente il peso ed il fardello culturale del fare
musica ereditato dagli anni 60/70.
Per la maggioranza degli
artisti alternativi non si è più degli “antagonisti con la voglia
di fare soldi”, ma si è dentro e parte della macchinetta dello
spettacolo.
Si è, finalmente e consapevolmente,
“intrattenimento”.
Intrattenimento è una parola utile per
spiegare la leggerezza l’energia e la differenza di come vengono
sentiti il fare il vendere e il consumare musica oggi, rispetto
alle generazioni precedenti.
Gli autori di Sanremo attenti ad
accontentare ogni possibile ascoltatore, da decenni riservavano una
casella alla musica indipendente italiana.
Subsonica, Blu
Vertigo, Afterhours…
Oggi quella casella si è parecchio
allargata e, il tentativo di “partecipare provocatoriamente per
valorizzare la propria differenza e contrapposizione”, da
attitudine è mutato in naturale ammiccamento e voglia e piacere di
vincere.
• Ridefinito il “nuovo mainstream” molti
individuano nella musica trap l’odierna tendenza “ribelle” e
“contro”.
Per tutte le cose scritte più sopra non credo sia
applicabile una definizione e soprattutto una analisi simile; trovo
interessante però osservare che la trap da un punto di vista
commerciale e comunicativo utilizza esclusivamente il web per quanto
riguarda la diffusione e la promozione.
È musica che gira solo
nei telefonini, nelle playlist e nei passaparola.
Poi, come ogni
corrente alternativa, travasa alcuni progetti nel mondo mainstream.
•
A livello planetario il comparto entertainment ha davanti a sè
ancora una bella prospettiva di crescita (la nostra società per come
è e per come sarà richiede e richiederà valvole di decompressione,
momenti di realtà virtuale dove la gente possa utilizzare il “tempo
libero”).
Quindi c’è e ci sarà richiesta di musica che ci
tenga compagnia.
I pensieri dei valutatori: Carlo Bertotti
Nuovi negozi di dischi stanno aprendo un po’ dovunque. Il vinile è tornato ad essere un supporto amato ed acquistato. Ai concerti si registrano sold-out ad un ritmo vertiginoso, mentre i talent e il Festival di Sanremo macinano share da capogiro. Sono segnali di una ripresa o di una imminente apocalisse? Ecco cosa ne pensano i valutatori di Sonda.
Avevo 14 anni e studiavo in collegio. L’anno prima ero stato bocciato e i miei avevano pensato bene di spedirmi a Lodi in un istituto gestito dai Barnabiti: secondo mio padre lì avrei potuto riflettere meglio sulle conseguenze di un anno ”buttato nel cesso”.
In collegio vestivamo tutti di blu, chi aveva i capelli lunghi se li doveva tagliare e se ti comportavi bene durante la settimana, il weekend potevi tornartene a casa.
Una piccola Alcatraz per studenti “problematici” o ragazzi provenienti da famiglie divise.
Per fortuna accanto alla palestra c’era una specie di sala musica con ampli, giradischi e un discreto impianto. Con una decina di altri convittori (ci chiamavano così) passavamo i nostri pomeriggi ascoltando le decine di vinili che di settimana in settimana ci portavamo da casa. Con tre di quei compagni ho formato la prima band in cui ho suonato.
In quel periodo ascoltavo punk inglese: gli Uk Subs, i Damned e gli Undertones i miei gruppi preferiti. Ma fu in mezzo a quelle pile di dischi che scoprii album come Outlandos d’Amour, Remain in Light o Systems of Romance, solo alcuni dei vinili che ho letteralmente consumato in quei mesi.
Quando ritornavo a casa per il weekend passavo il sabato pomeriggio da Buscemi o al New Kary in via Torino. Due negozi di dischi dove ho comprato decine di vinili: ricordo che in quel periodo (primi anni 80) costavano 7000 lire, al netto di Istat e adeguamenti vari stiamo parlando di meno di 4 euro…
Ho ancora la maggior parte di quegli album, e il fatto di vedere oggi negli scaffali della Feltrinelli o della Mondadori sempre più 33 giri non può che strapparmi sorrisi anche se in realtà non so quanto questa tendenza possa significare qualcosa di sostanziale per il mercato discografico.
Però mi piace pensare che in mezzo a un panorama musicale così precario e in affanno, il ritorno del vinile possa rappresentare una piccola svolta, un’indefinita forma di cospirazione, una presa di posizione di chi alla musica ha voluto e continua a voler bene.
È un periodo buio questo, in cui sentirsi rappresentati è impresa complicata. E questa politica e questa società dovrebbero indurre a profonde riflessioni o portare a scelte nette, anche in musica, perché si possono dire tante cose con i suoni e le parole e per chi ci crede, i musicisti sono tutti un po’ come Dan Aykroyd e John Belushi, in missione per conto di Dio.
P.S.
Personalmente ho ripreso a suonare in questo periodo dopo 10 anni di stop volontario e consapevole. L’ho fatto al netto dei casini (professionali, economici, etc) che questa scelta avrebbe e sta comportando.
E insieme a un nuovo basso e a un vocoder di seconda mano, in casa è rientrato anche un giradischi (si lo so, dovrei dire piatto ma mi perdonerete, sono solo un piccolo cospiratore).
I pensieri dei valutatori: Giampiero Bigazzi
Nuovi negozi di dischi stanno aprendo un po’ dovunque. Il vinile è tornato ad essere un supporto amato ed acquistato. Ai concerti si registrano sold-out ad un ritmo vertiginoso, mentre i talent e il Festival di Sanremo macinano share da capogiro. Sono segnali di una ripresa o di una imminente apocalisse? Ecco cosa ne pensano i valutatori di Sonda.
È finita la crisi dell’industria della musica? Non so. E dal mio piccolo angolino indipendente e radicale m’interessa il giusto. Certo la sua produzione e la sua diffusione sono cambiate ormai da diversi anni e non torneranno mai come prima. Come d’altra parte son cambiati i modi di ascoltare la musica e di “consumarla”.
E certo non è “finita”, la musica. Anzi, mai come adesso è difficile trovare l’intervallo (avrebbe detto Gillo Dorfles), quel giusto silenzio che è il senso stesso di ogni forma musicale, dentro il mare di suoni, di ritmi, di voci che circondano la nostra vita.
La musica si adatta. Come è sempre stato: i musicisti (con i suoni che sanno inventare) hanno sempre trovato il modo di esistere e di creare, modellando la loro arte agli strumenti di diffusione che la “tecnologia” dell’epoca offriva e spesso, proprio con la musica, proponendo tracce per trovarne di nuovi.
I meccanismi di circolazione, e di vendita, oggi sono diversificati. Si sa: non c’è più un supporto dominante. Si possono fare le classifiche che vogliamo, ma il panorama è vasto e variabile: oggi si rilanciano gli antichi vinili, ci sono lo streaming e il downloading, il CD, le USB, gli smartphone di ogni tipo, le molte radio, e i diversi canali TV, c’è Youtube (che a mio avviso resta il mezzo predominante e più comodo di ascolto e di conoscenza), volendo anche i vecchi registratori a nastro di vario tipo, e ci sono ancora perfino le musicassette (in uno snobbistico revival che batte, per piglio massimalista, la stessa rinascita del LP).
Proprio nel 2018, fra i tanti anniversari, si è celebrato anche quello dell’ellepì così come si conosce ancora oggi. Nel giugno del 1948 la Columbia lanciò il formato che avrebbe rivoluzionato (ma fu solo la prima di tante rivoluzioni) la storia della musica. Per inciso (termine quanto mai adatto): il primo LP messo in commercio fu il “Concerto per violino in mi minore” di Mendelssohn. Quel padellone nero in cloruro di polivinile, con la copertina colorata e invitante che ha da sempre identificato, in base all’immagine scelta, il titolare dell’opera discografica, adesso è tornato. Il suo dissolversi fu veloce e riempì di malinconia gli appassionati. Il gelido CD ci sembrò eterno e indistruttibile. Le collezioni di vinili e il loro ascolto (e compravendita fra collezionisti) è restato per alcuni decenni appannaggio di pochi estremisti, catalogabili decisamente un po’ fuori del tempo. Poi sono tornate le fabbriche (pur poche e lentissime), i giradischi, le produzioni. Una sorta di controtendenza, un sussulto che ha il sapore quasi perverso della rivincita. Bene. Ben tornato vinile! Ma a me piacevano più i CD, belli compatti, mini supporti dal relativo ingombro, quindi trasportabili con facilità, vicini all’idea di libro, ascoltabili facilmente ovunque, senza scricchiolii, dove entrava tanta musica.
La (rin)corsa al vinile ha ormai preso tutti gli operatori. Tanto che le edicole (visto che vendono ormai poca carta stampata) sono ritornate sulla breccia come luogo di commercio musicale. E speriamo che anche il vinile non faccia la fine, grazie in parte alle edicole, che fece il CD quando diverse case editrici (le solite sigle che oggi si sono buttate sul giornalesco ellepì) inondarono i chioschi di ristampe (spesso bruttine), di compilation e novità a prezzi bassissimi e non pagando l’iva come i rivenditori specializzati.
In questo contesto, è interessante riflettere su come sta cambiando l’ideazione e la produzione di un lavoro musicale multiplo. Lo chiamo così perché il termine “disco”, al quale sono comunque affezionato, mi fa oggi un po’ impressione e mi sembra ormai limitante. Si parte dalla soglia di attenzione degli ascoltatori ormai ai minimi storici e ci siamo allontanati dall’idea di quanta musica invece può raccogliere un CD (fino a ottanta minuti circa). Anche facendo i conti con il digitale ci si riadatta alla cultura del vinile, che era ed è soprattutto “costrizione tecnica”. La brevità, e quindi l’essenzialità, possono essere una virtuosa soluzione all’affollamento di suoni. Quindi si è tornati a produzioni lunghe poco più di venti minuti con 6 o 7 brani. Una scelta che facilita anche l’odierna soglia di attenzione dell’ascoltatore. Oggi, come abbiamo visto, le possibilità di imbattersi in un brano musicale sono infinite, ma, avendo ormai superato l’idea del disco come formato, ci si sta comodamente adattando a una nuova essenziale brevità creativa. Scelta che conferma la perdita di centralità dell’opera musicale registrata e che, dal punto di vista della fantasia, può essere una virtù, una risposta – se viene salvaguardata la qualità – agli ingorghi sonori dei nostri tempi.
Gli “album”, pur brevi, rimangono il biglietto da visita degli artisti e lo start per la musica dal vivo che resta oggi, in questo sconfinato oceano di suoni, l’elemento vincente. Le difficoltà sono tante (basta pensare alla cosiddetta “sicurezza”) e arranca la curiosità per il nuovo e il non “famoso” (non solo da parte del pubblico ingessato, ma soprattutto da parte di promoter e organizzatori che non vogliono mai “rischiare”), ma la musica suonata “per davvero” e ”davanti alle persone” resta vitale. Sporca o raffinatissima, è sempre difficile clonarla.
I pensieri dei valutatori: Luca Fantacone
Nuovi negozi di dischi stanno aprendo un po’ dovunque. Il vinile è tornato ad essere un supporto amato ed acquistato. Ai concerti si registrano sold-out ad un ritmo vertiginoso, mentre i talent e il Festival di Sanremo macinano share da capogiro. Sono segnali di una ripresa o di una imminente apocalisse? Ecco cosa ne pensano i valutatori di Sonda.
CAMBIARE A TEMPO DI MUSICA
Ho cominciato questo lavoro nel 1991, quando l’industria discografica produceva e vendeva essenzialmente formati fisici: CD, cassette, vinili. In Italia in particolar modo cassette, più ancora dei cd, come evidente conseguenza della “febbre” per i car stereo e i mega impianti “tamarri” per la macchina. Era tutto molto semplice: un solo formato (fisico), tre sole configurazioni, pochi media (stampa, TV, radio), un solo luogo di acquisizione della musica registrata (il negozio, specializzato o generalista che dir si voglia), un contesto principale di aggregazione intorno alla musica (il live, il tour) che si articolava in tour non frequenti come ora ma in un numero di music live club/pub molto maggiore di ora.
Anche vendere era molto semplice e rapido: il marketing era più basico, il pubblico molto più propenso ad acquistare musica e a dare valore alla musica sia come contenuto che oggetto da possedere, gli artisti mediamente molto più disponibili efficaci nella promozione, i media più aperti e pronti a “scommettere” sulla musica soprattutto quella nuova. Maggiore curiosità, entusiasmo, propensione al rischio, guasconeria, visionarietà, sia nella comunità artistica che nella discografia.
Già allora però stavano prendendo forma i presupposti di quella che sarebbe stata la celeberrima “rivoluzione digitale” di fine anni 90/inizio 2000 (tenete conto che l’Italia, come altri paesi, risente sempre di un certo ritardo fisiologico nell’accogliere e sviluppare correnti di cambiamento che in altri paesi nascono e quindi giungono a maturazione prima): i mega consumi di anni 80 e 90 cominciano a diminuire, i prezzi salgono, il vinile vacilla, il cd è sempre di più percepito come “un pezzo di plastica”…quindi compare il supporto digitale. L’mp3 e con lui Napster scardinano tutto il modello fino ad allora imperante.
Da quel momento in poi tutto il mondo della creazione, della produzione e della fruizione musicale subisce un’accelerazione verso una serie di cambiamenti sempre più frequenti, rapidi e profondi: iTunes, myspace, youtube, i cellulari, le suonerie, gli smartphone, i social e le loro stesse trasformazioni/acquisizioni/fusioni, i forum, le communities, i talent show, gli influencers, gli youtubers, etc.etc…fino al cambio più recente e, forse fino ad ora, più profondo: lo streaming come modalità principale di consumo della musica e il non possesso come alternativa definitiva al possesso prima fisico e poi digitale. Dal cd sulle mensole di casa, al file nell’hard disc all’accesso illimitato attraverso un micro concentrato di tecnologia portatile. Di conseguenza, la musica diventa più mobile, più diffusa, più replicabile, ma anche più piatta, più simile a se stessa e meno unica, mentre l’esperienza live, di riflesso, diventa quella realmente unica ed irripetibile.
Come in realtà è sempre stata, ma ora sempre di più.
Tutti questi cambiamenti ovviamente riflettono un profondo cambiamento della società, della cultura, nelle abitudini quotidiane, direttamente operato dall’enorme e indubitabile impatto della tecnologia nella nostra vita quotidiana: rispetto a 15/20 anni fa TUTTO è cambiato per tutti noi, e dato che la musica è una forma di espressione del vivere anch’essa è diversa ancor di più lo sarà.
E per tornare all’argomento di questo mio intervento, anche il lavoro sulla musica è cambiato, profondamente e inevitabilmente. Sono cambiati i modi, i tempi, i ruoli, le strutture, il mercato, il modo di interpretare gli effetti della musica, le modalità di produzione e comunicazione della musica, il suo consumo.
Chi come me lavora nella musica da tanto tempo ha cercato di capire queste continue rivoluzioni. E chi (come me) ha deciso che lavorare su, con e per la musica è un imperativo categorico, ha affrontato tutto ciò con la voglia e l’entusiasmo di cambiare continuamente, di mettersi in discussione sempre e comunque, e in ultima analisi di divertire e divertirsi.
Quindi: certamente il mio lavoro è cambiato, mille volte. E continuerà a farlo, senza sosta.
In particolare, lo streaming business model ha imposto regole e dinamiche che hanno fatto diventare il mio lavoro “un altro sport”, un’altra “disciplina”: strumenti di comunicazione e di analisi dei risultati che prima non esistevano, una produzione musicale eccezionalmente più affollata che in passato, cicli di vita di un progetto molto più rapidi, carriere molto più brevi, “progetti” che sempre più spesso sono singole tracce.
In questo momento storico si assiste ad un mercato ormai decisamente in crescita grazie all’esplosione dello streaming business, ad un mercato fisico in calo (come sempre nell’ultimo decennio) mitigato però da un consolidamento progressivo del mercato dei vinili (che però rimangono una nicchia) e da un calo molto più marcato e rapido del download, destinato probabilmente a morire. Il CD è spesso diventato un “feticcio”, il supporto da comprare perché poi “me lo faccio firmare dal mio artista preferito”.
Si è anche accentuata progressivamente la “normalità” della musica: sia per una omologazione produttiva a volte difficile da sopportare, ma anche perché la musica contemporanea scorre in un flusso infinito senza spesso realmente incidere nella vita della gente. Innanzitutto acquisire la musica non implica più una scelta e un gesto precisi (scelgo questo disco, esco di casa e vado a comprarmelo) mentre le uniche due esperienze realmente irripetibili sono appunto il concerto e il meet n greet (l’incontro con l’artista) in tutte le sue forme (dai meet n greet pagati a caro prezzo insieme al biglietto del concerto ai cosiddetti “firmacopie”).
Come conseguenza di questa “normalità”, la produzione e l’acquisto di “edizioni speciali” è ormai più che consolidato: il pubblico cerca qualcosa di unico anche nel supporto, laddove soprattutto l’adesione ad un artista è totale.
Come potete capire, questo è un contesto a volte disorientante, molto differente da quanto affrontavo 27 anni fa quando iniziai a lavorare, ma al tempo stesso estremamente eccitante a mio parere, perché ti sfida, ti costringe a non smettere mai di imparare e anche a ridefinire o a contraddire quello che avevi imparato anche pochi mesi prima. Faticoso certo, ma volete mettere quanto noioso sarebbe stato lavorare per quasi 30 anni allo stesso modo?
E poi: gli scenari cambiano certo, ma alcuni elementi di base rimangono gli stessi: quando la musica parla un linguaggio chiaro e forte (soprattutto se unico e diverso da tutto il resto) trova sempre un pubblico pronto a scommetterci. E in un contesto come quello attuale dove il pubblico ha tutta la musica che vuole a disposizione, è più probabile che il pubblico stesso si impossessi della musica che in quel momento lo conquista, senza dover aspettare che i media tradizionali o altri intermediari gliela propongano.
Perché la musica è come l’acqua, trova sempre la sua via.
I pensieri dei valutatori: Gabriele Minelli
Nuovi negozi di dischi stanno aprendo un po’ dovunque. Il vinile è tornato ad essere un supporto amato ed acquistato. Ai concerti si registrano sold-out ad un ritmo vertiginoso, mentre i talent e il Festival di Sanremo macinano share da capogiro. Sono segnali di una ripresa o di una imminente apocalisse? Ecco cosa ne pensano i valutatori di Sonda.
SHAKE IT LIKE A POLAROID PICTURE: UNO SGUARDO AL MUSIC BIZ
È davvero difficile sintetizzare in poche parole il momento di grande cambiamento che sta attraversando il business della musica, in Italia e nel mondo.
Gli ultimi due anni hanno sicuramente stravolto molte delle convinzioni, radicate da almeno un decennio, che costituivano l’ossatura del lavoro nel nostro settore: digitale e fisico che convivevano in parallelo, la ‘supremazia’ dell’album come formato rispetto al singolo, il fatto che gli artisti davvero da classifica fossero in realtà pochi e raramente frutto dell’exploit di un momento, e che i generi musicali più vicini al pubblico giovane fossero quasi intrinsecamente da ritenersi inadatti ai grandi numeri e al pubblico mainstream.
Oggi più che mai il ribaltamento è in atto: stiamo vivendo un’epoca di grande entropia, che sicuramente offre tante opportunità, sia agli artisti che agli operatori del settore. Al tempo stesso, però, bisognerà attendere il consolidamento di alcuni fattori, come per esempio la penetrazione dei player del digitale nei singoli mercati, per arrivare a una definizione migliore della situazione.
O semplicemente bisognerà abituarsi a uno stato di continuo movimento del mercato e dei suoi fattori, e valori: una condizione di perenne velocità nella quale i ruoli cruciali verranno ricoperti, presumibilmente, dai dispositivi sui quali si ascolterà la musica, e dal pubblico, dalle scelte del consumatore.
Come A&R siamo, in qualche maniera, il principio della filiera musicale. Non siamo certamente gli unici o i principali protagonisti, noi delle major. Ma il nostro lavoro resta quello di intercettare le tendenze e i talenti, con il massimo anticipo e la migliore visione, o previsione, possibile.
In questo senso il nostro approccio al mercato non è cambiato: il mutamento riguarda forse due elementi e cioè la verticalità dei generi e la predominanza, o meglio, l’importanza, dei singoli.
Se il secondo punto è sicuramente più evidente, con il primo mi riferisco al fatto che, nel momento in cui un artista comincia a generare numeri importanti, la tendenza è divenuta quella di “risalire la corrente” e andare a contattare tutti gli altri interpreti dello stesso genere musicale.
Una pratica, questa, in voga da sempre nel music biz: ma che, grazie appunto al digitale e al dominio dello streaming, ha assunto oggi forme e metodi piuttosto esacerbati.
È inevitabile che ci venga chiesto anche questo: firmare chi propone la musica più richiesta dal mercato, anche a costo di fallire.
A volte ci muoviamo direttamente, più spesso invece ci interfacciamo con chi sul territorio (e nelle cantine, nei locali, nelle camerette…) è più presente: piccole label, realtà locali, manager.
Lentamente le grandi etichette multinazionali operano meno come incubatori in grado di sviluppare un progetto da zero, e funzionano sempre di più come amplificatori di qualcosa che già sta accadendo: un improvviso successo, l’inizio di una carriera, l’esplosione di un genere.
In realtà il momento, a mio avviso, ci sta offrendo forse l’opportunità migliore degli ultimi anni, perlomeno in Italia.
La dinamicità del mercato ha infatti indebolito altri pattern promozionali più tradizionali, quali la necessità di conquistare le radio commerciali, o l’importanza di partire dall’album (fisico) per costruirsi un pubblico o una fanbase.
Per questo motivo tornano finalmente ad essere fondamentali due elementi, che hanno sempre rappresentato il mio personale mantra lavorativo quotidiano.
Le canzoni, e l’unicità dell’artista.
E, sinceramente, io ora mi sento davvero libero: in Virgin Records (una delle tre label di Universal Italia) stiamo sperimentando, osando e rischiando per costruire un roster di artisti diversi l’uno dall’altro.
Un caleidoscopio che sia lo specchio dei tempi e che incarni il DNA di un’etichetta da sempre eclettica, internazionale e visionaria.
Ovviamente cerchiamo sia i numeri, che di creare una scuderia completa dai nomi più importanti fino a quelli davvero emergenti. Ma le linee guida sono sempre di più quelle di costruire una diversità da cui possa scaturire la forza della nostra proposta, sia nel ventaglio degli stili che dal punto di vista della ricerca musicale ed estetica.
Credo perciò che questo sia l’insegnamento migliore e più importante che ho ricevuto da questo grande momento di cambiamento.
Come ho imparato dalle parole di un grande manager, è nella differenza che risiede la possibilità di essere vincenti.
Da ogni grande crisi nascono, si dice, grandi opportunità: e ciò che ora dobbiamo fare è saper cogliere questa possibilità e gettare i semi di quelle che, speriamo, possono essere le future luminose, e lunghe, carriere, dei prossimi grandi artisti della musica italiana.