La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.
Mentre sto scrivendo questo articolo sono passati quasi 9 mesi dall’inizio dell’emergenza sanitaria che, tra le altre cose, ha devastato il nostro settore. E dopo nove mesi siamo ancora da capo: non abbiamo nessuna certezza sul nostro futuro. Non sappiamo né quando potremo ricominciare, né con quali regole. Dopo aver passato mesi a ragionare con i miei soci sul futuro del nostro amato Covo e su come ripartire, ora siamo concentrati soprattutto sul presente: bisogna trovare un modo di sopravvivere.
A metà febbraio 2020, dalle parti di Viale Zagabria 1 a Bologna si poteva percepire un clima di assoluto entusiasmo. Eravamo reduci dal meraviglioso concerto sold out degli Explosions In The Sky al Teatro Duse, da lì a poche settimane avremmo ospitato di nuovo i nostri amati Ash tra le mura del Covo, ed il finale di stagione si prospettava come uno dei migliori di sempre grazie anche a concerti come Ezra Furman, Italia 90, Boy Harsher e soprattutto Mark Lanegan. Non solo, piano piano stava prendendo forma quello su cui stavamo lavorando già da più un anno: un festival autunnale per festeggiare i primi 40 anni del Covo Club. Con un 50% di artisti confermati, proprio in quei giorni stavamo scegliendo il logo e cercando di capire quando sarebbe stato opportuno iniziare a fare i primi annunci.
Tutto questo fino al 23 Febbraio, giorno in cui, con un’ordinanza regionale, sono stati sospesi gli eventi musicali al chiuso. In quel momento, la nostra preoccupazione più grande era, banalmente, che saltavano gli Ash già sold out. Solo dopo qualche settimana avremmo capito che la nostra vita sarebbe cambiata radicalmente.
In questi nove mesi abbiamo:
• spostato, ri-spostato e spesso cancellato decine e decine di concerti.
• partecipato a mille tavole rotonde virtuali dove abbiamo provato a confrontarci con altri operatori ed anche con la politica. Spesso, purtroppo, con scarsi risultati.
• sentito le stesse persone dirci ad aprile che “il settore culturale andava completamente riformato perché nulla sarà come prima”, e poi a giugno che “in autunno si tornerà alla normalità e tutto sarà come prima, basterà indossare la mascherina nei luoghi al chiuso”.
• constatato di avere un governo che sul nostro settore ci ha capito poco o nulla.
• provato a ripartire seguendo rigidissimi protocolli, portando la nostra capienza a 46 persone sedute. Abbiamo comprato le sedie e fatto i lavori per permettere la giusta areazione dei locali. Abbiamo messo insieme una programmazione grazie ad artisti “amici” (che tanto ci fanno divertire), disponibili a suonare anche per una manciata persone. Non è bastato, ci siamo dovuti fermare di nuovo, una settimana prima di riaprire.
Al di là di tutto quello fatto o non fatto, abbiamo capito una cosa: in questa strana epoca non si può fare nessun programma, perché ogni giorno possono cambiare le regole. Ecco, PROGRAMMARE è l’essenza del nostro lavoro. Oggi è diventato impossibile farlo.
Quindi? Che si fa? Prima o poi si dovrà ripartire, e quando sarà il momento sarà necessario ripartire dal basso, dagli artisti locali, dalle bands di quartiere e delle scuole. Dovremo essere capaci di creare nuove scene musicali. Dobbiamo provare a vederla come una grande opportunità per porre le basi per un nuovo futuro della musica indipendente nel nostro paese.
Inoltre, voglio pensare che si ripartirà dalla voglia di stare insieme delle persone. I live club, che negli ultimi anni avevano un po’ perso il loro ruolo di centri di aggregazione, potrebbero tornare ad essere protagonisti della vita sociale delle persone.
Quanto ci vorrà non lo so, nel frattempo faremo quello che noi italiani sappiamo fare meglio: improvviseremo e cercheremo di sopravvivere.