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I partner, i locali: DIAGONAL LOFT CLUB

diagonal1Al Diagonal Loft Club hanno suonato tra gli altri: Matt Elliott, The Dub Sync, Little Dragon, Subsonica, Marco Parente, Gala Drop, Paolo Benvegnù, Like a Stuntman, Oh No Ono, Manuel Agnelli, Le Luci della Centrale Elettrica. Ha una capienza di 200 posti e si trova in viale Salinatore 101 a Forlì. Per informazioni: info@diagonaloftclub.it – tel. 338.3269866.

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Paolo Spaccamonti live

“Il Diagonal Loft Club nasce nel dicembre del ‘95 da un pezzetto degli ‘attivisti’ che organizzavano le serate Ex-Machina a Forlì. Era una specie di collettivo informale in cerca di un luogo proprio. Così alcuni di questi ragazzi ristrutturarono e misero a norma gli spazi che ancora oggi sono quelli del Diagonal Loft Club. In origine la forma societaria era la cooperativa e il locale fu affiliato all’ARCI. Nonostante i parecchi cambiamenti di personale e di gestione avvenuti in quasi 17 anni di attività, il Diagonal Loft Club è sostanzialmente rimasto fedele alla visione (e missione) di allora”, ci dice con entusiasmo Davide Fabbri, che prosegue: “Dal punto di vista – diciamo così – oggettivo ci sono alcune caratteristiche del locale che limitano l’organico delle band a 4/5 persone e che scoraggiano dall’ospitare gruppi con eccessivo volume dal palco. Se a questo aggiungiamo la particolare predilezione dello staff per le sonorità elettroniche, viene fuori una programmazione orientata su piccole band con un’importante (ma non esclusiva) componente tecnologica/elettronica. Cerchiamo di portare sul nostro palco gruppi stranieri in tour in Italia, che molto spesso hanno le caratteristiche appena menzionate. Poi, ovvio, capita che ci innamoriamo anche di progetti folk particolari e altre situazioni più comuni”. Davide, dal canto suo, ha ovviamente una visione di cosa significhi ‘direzione artistica’: “è una questione delicata, direi che la vivo come un totale arbitrio dalla forte ricaduta politica. Posso affermare che reputo riuscita una scelta artistica quando tutti (band, pubblico, tecnici, baristi, ecc.) sono felici di quello che sta accadendo e nel modo in cui accade. Credo che la direzione artistica di un posto come il nostro abbia tanto a che fare con la diplomazia e la capacità di mediazione quanto con la visione e l’azzardo”. Una sua disamina sul mondo dei live è saldamente ancorata alla realtà: “Pensando in generale mi viene da dire che la proliferazione di band, booking, etichette e promoter abbia sfilacciato e livellato verso il basso tutta la questione, perlomeno per quanto riguarda spazi come il nostro. è molto bello avere a che fare con la musica in qualche modo, questo lo capisco bene, ma non è perché hai un indirizzario che sei un promoter, o perché ti prestano una stanza in un circolo che diventi un locale. Questo solo per dire che di situazioni a costo zero rette esclusivamente sulla buona volontà ne abbiamo viste nascere e morire parecchie. Quello chiamato il business dei live è una cosa complessa che va dalla dotazione tecnica ai permessi per gli spettacoli, passando naturalmente dal compenso degli artisti al biglietto d’ingresso (il Diagonal Loft Club è a ingresso gratuito da sempre), fino alla richiesta di finanziamenti. La questione strettamente economica invece è alquanto semplice, ci sono pochi soldi. E questo lo sanno tutti. Ma mettere gli artisti nelle condizioni di fare un bel live, avendo cura di loro può, in qualche modo, compensare quello che economicamente è venuto a mancare nel tempo”. Infine ci cita due locali degni di nota: “Starei in zona e dico Area Sismica e Clandestino”.

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Davide Fabbri

Un grande concerto è stato sicuramente quello dei portoghesi Gala Drop qualche mese fa, band incredibile, con tanto di sigarette accese sul palco (in Portogallo è ancora ammesso) e rimozione del furgone per divieto di sosta. Fu pessimo, invece, quando due artisti italiani più che navigati (non farò nomi) si lamentarono del chiacchiericcio del nostro pubblico, così poco “rispettoso” della loro maestria.

 

 

I partner, i locali: COVO CLUB

covo1Il Covo Club è in viale Zagabria 1 a Bologna. Ha una capienza di 270 spettatori e si può contattare alla pagina www.covoclub.it www.facebook.com/ilcovoclub. Tra gli artisti più importanti che hanno calcato il suo palco: The XX, Mumford & Sons, The Libertines, Gossip, Refused, Decemberists, Franz Ferdinand, Animal Collective, Mogwai, Black Lips, The Drums, Godspeed You Black Emperor, Trail Of Dead, Mars Volta, Afterhours, Subsonica, Broken Social Scene, Beach House, Teenage Fan Club, Superfurry Animals, Jay Reatard. I sold out più clamorosi, quelli in cui la gente ha iniziato ad arrivare dal pomeriggio, sono stati quelli di The XX, Blood Brothers, The Brian Jonestown Massacre, Baustelle, Le Luci della Centrale Elettrica, Shout Out Louds, Clap Your Hands Say Yeah, Franz Ferdinand, The Go Team, The Organ, Long Blondes, Xiu Xiu, Calla e recentemente la serata dedicata a Manchester con Peter Hook dei Joy Division/New Order e Mike Joyce dei The Smiths.

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Franz Ferdinand live

“Il Covo nasce nel 1980 come un ritrovo di ragazzi di un quartiere difficile, come era San Donato a Bologna. Si usciva dagli anni 70 e mentre si scopriva il punk rock, nella periferia si diffondeva anche l’eroina. Il Casalone diventò da subito un rifugio per un gruppo di ragazzi che pensava che c’era un modo migliore di ‘evadere’ dalla difficoltà della vita di periferia rispetto alla droga. Piano piano il ritrovo di quartiere ha cominciato a diventare una meta per tutti i creativi della città, poi una istituzione culturale di Bologna ed infine un club conosciuto in tutta Europa. Noi amiamo dire che il Covo esiste da più di trenta anni ed ha una gestione continuativa. Ancora oggi i due fondatori del Club, Yanez e Dedu, oltre ad essere dj residents, rimangono un punto di riferimento importante per noi che gestiamo il locale ora”, ci racconta il Comitato Direttivo del club, aggiungendo: “C’e un lavoro di ricerca continua, compriamo una marea di dischi e di riviste musicali di tutto il mondo e non ci stanchiamo mai di scoprire gruppi nuovi. Questo perché da sempre il Covo cerca di proporre il meglio della scena rock indipendente/alternativa e non possiamo non essere sempre super aggiornati. Solo in questo modo siamo riusciti a regalare al nostro pubblico alcune chicche, gruppi che hanno suonato da noi poco prima di esplodere in tutto il mondo come Mumford & Sons, The Libertines, Franz Ferdinand, Beach House, Gossip o Animal Collective. Tutto questo senza dimenticarsi che il nostro è un locale di dimensioni molto ridotte e tanti dei nostri concerti sono così diventati storici”. Sull’aspetto della direzione artistica ecco il loro pensiero: “Sappiamo che possiamo sembrare presuntuosi, ma più di trenta anni di storia pesano molto sulle nostre spalle. Per questo pensiamo che la direzione artistica di un locale come il Covo sia una responsabilità enorme”. Il Comitato è anche ben sicuro sul consiglio da dare ad un giovane artista che voglia suonare al Covo: “Esibirsi da noi è sicuramente un trampolino di lancio, ma anche un piccolo punto di arrivo. Quindi, quando si ha l’opportunità di suonare qui, ci vuole una proposta musicale valida, una grande motivazione e soprattutto una forte identità”. Sulle carenze del locale il Direttivo è unanime: “Al Covo manca almeno un metro di larghezza in più nella sala concerti… Ci fosse quello sfioreremmo la perfezione” e mentre sorridono ci consigliano anche altri club: “Una doverosa citazione per l’Estragon, con cui collaboriamo da anni, dove lavorano persone con un livello di professionalità davvero straordinario. Invece in Italia sono da citare lo Spazio 211 a Torino e il Circolo degli Artisti a Roma, dove spesso passano gruppi che fanno tappa anche da noi”. Infine scatta un paragone: “Sicuramente un locale come il Covo funzionerebbe meglio in città come Londra, Berlino, Parigi, New York o San Francisco. Potrebbe essere aperto sette giorni a settimana e permettersi una programmazione davvero unica. Ma onestamente siamo felici di essere a Bologna, che da un punto di vista musicale è sempre stata all’avanguardia e che non ha nulla da invidiare a città di pari dimensione nel resto del mondo”.

Richieste insolite ce ne sono state tante, ma onestamente niente di veramente incredibile… Forse perché con gli anni ci siamo abituati anche ai rider più inconsueti. Un episodio curioso è successo quando hanno suonato da noi i The Fall di Mark E. Smith. A quanto pare il giorno prima Mark litigò con il suo tour manager, che per scusarsi con il suo artista ci telefonò chiedendo di far trovare un mazzo di rose in camerino. Sul versante dei bei ricordi è bello rammentare due concerti storici come quelli di Teenage Fanclub e Spoon, gruppi che davvero, anche nel momento in cui hanno suonato qui, non era facile vedere in un locale così piccolo. Due concerti indimenticabili, con la sensazione di avere avuto davvero delle vere rockstar sul palco. Con dispiacere ne ricordiamo due che non ci sono mai stati, quelli di We Were Promised Jetpacks e di Leisure Society. Dovevano suonare al Covo nel weekend in cui abbiamo ricevuto la terrificante notizia della scomparsa del nostro socio Max, per anni anima di questo club.

I partner, i locali: CALAMITA

calamita1Il Calamita è ubicato in Via Tornara a Cavriago (RE), ha una capienza di circa 200 spettatori e per raggiungerlo, una volta arrivati in paese è sufficiente seguire le indicazioni per “La Cremeria”, che è il centro di formazione proprio di fianco al locale. Tra gli artisti che sono saliti sul suo palco è doveroso ricordare: Morgan dei Bluvertigo, Baustelle, Cristina Donà, Bugo, Offlaga Disco Pax, Marta Sui Tubi, Lydia Lunch, Faust, Howe Gelb, Teatro Degli Orrori, Dente, Diaframma e Malfunk. Tutti questi nomi hanno fatto il sold out, in particolare gli Offlaga nel 2010 e Cristina Donà nel 2003: in entrambi i casi non si riusciva a metter piede al Calamita dal fitto di gente che c’era.

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Paolo Benvegnù live

“Il Calamita nasce alla fine del 1997 su un’iniziativa di alcuni ragazzi con la passione per la musica, alcuni musicisti e altri semplicemente appassionati, che decidono di formare un circolo, questo grazie anche al comune di Cavriago che mise a disposizione lo spazio del centro giovani e all’appoggio della Pro Music di Vezzano s/c che portò le attrezzature per creare un circolo esclusivamente per musica dal vivo. Grazie alla passione mai diminuita, il Calamita è diventato, negli anni, un punto di riferimento per la musica dal vivo non solo per la provincia di Reggio, ma anche per la regione e non solo”, ci racconta con trasporto Davide Fontanili, che prosegue: “Gli artisti che sono in cartellone al Calamita sono scelti da un’apposita direzione artistica, in collaborazione con la webzine Kalporz.com. Da ormai 9 anni la programmazione si concentra su musica originale, quindi evitiamo le cover band e quelle che omaggiano un artista, concentrandoci sul panorama indie-rock italiano e straniero”. Davide alla domanda di cosa significhi direzione artistica è molto sintetico, a ragion veduta: “La direzione artistica del Calamita, una volta decisa la linea con il direttivo del circolo, seleziona le varie proposte che giungono copiose al locale”. Davide è anche disposto a dare un consiglio agli artisti che volessero proporsi come attrazione per una serata nel locale di Cavriago: “Innanzitutto devono fare musica originale, o al massimo cover molto personalizzate, oppure iscriversi al concorso ‘Premio A.Daolio’ che si tiene al Calamita da 18 anni grazie Comune di Cavriago e all’Arci provinciale” e poi con passione ci racconta che “Per noi non è mai stato un business, ma una vera e propria passione nei confronti della musica che ci ha spronato ad andare avanti anche quando il periodo, come negli ultimi anni, non è certamente dei migliori. Pensando a una mancanza del locale mi viene in mente subito la sua capienza, ma forse anche no. Ovvero il fatto di essere piccolo e intimo è uno dei suoi punti di forza, ma se ci fosse più capienza si potrebbero fare anche artisti che attualmente non possiamo permetterci per questioni di budget”. Davide ci tiene a consigliarci anche un paio di locali: “Un club come il Fuori Orario non si può non menzionare e consigliare e poi trovo molto interessante la programmazione di un circolo ARCI in provincia di Treviso, il New Age, che ha un calendario molto simile al nostro ma con alcuni artisti famosi in più”.

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Davide Fontanili

Lo storico gruppo tedesco di kraut-rock “Faust” è stato al Calamita nel 2007 e cosa buffa, ma anche preoccupante, durante il concerto ha acceso un flessibile tagliando della lamiera con una cascata di scintille che scendeva sul pubblico e sugli arredi del locale. Potete immaginare l’ansia che ci assalì tutti quanti ma fortunatamente non successe niente di tragico o drammatico. Tra i tantissimi concerti che sono passati per il Calamita, ne ricordo molti con piacere ed altri che non mi sono piaciuti per niente, ma evito di fare nomi.

 

 

 

I partner, i locali: OFF

Mr Muzik OffL’Associazione Culturale Stoff, composta da un gruppo di giovani ragazzi modenesi, si occupa di promuovere la diffusione di attività sociali e culturali svolgendo iniziative e organizzando servizi. Dal settembre 2008 gestisce il complesso Mr. Muzik, che comprende cinque sale prove e il locale Off, di cui l’associazione garantisce tutti i servizi, dalla custodia degli spazi all’organizzazione e produzione di concerti ed eventi. L’alto livello di questi ultimi ha portato velocemente il nome dell’Off all’interesse di stampa e addetti del settore.

 

Nato come luogo per ospitare attività culturali e in particolare spettacoli di musica dal vivo, l’Off fa parte di Mr Muzik, struttura del Comune di Modena che comprende anche 5 sale prova. Da circa 4 anni è sotto la gestione dell’associazione culturale Stoff: “La decisione di intraprendere quest’avventura è arrivata grazie ad una opportunità offertaci dal Centro Musica di Modena”, racconta Valerio Gilioli, a capo dell’associazione assieme a Filippo Stanzani, “Che ha visto in noi due figure professionali in grado di sviluppare un progetto credibile per rilanciare questa struttura, in particolare perché il fulcro delle iniziative da noi sviluppate all’interno del contenitore è la musica dal vivo, con un occhio di riguardo per le realtà locali e nazionali”. Dal 2009 il locale collabora con il progetto Sonda, anche se non è l’unico modo con cui la struttura contribuisce allo svilupparsi della scena di band emergenti: offrire ai giovani un palco importante, un club che abbia una reputazione e che quindi ospiti nomi di richiamo, ma anche dargli la possibilità di ascoltare e confrontarsi con artisti più avanti di loro professionalmente parlando è secondo gli organizzatori un modo per favorire la crescita dei musicisti modenesi.

Valerio Gilioli e Filippo Stanzani dell'Off
Valerio Gilioli e Filippo Stanzani dell’Off

“Mi piace pensare”, spiega Valerio, “che portare nomi di richiamo a Modena aiuti la nostra città stimolando sempre nuovi ragazzi a iniziare a suonare, o ad impegnarsi per raggiungere un traguardo importante”, obiettivo che fa da controparte alle tante difficoltà legate al tempo e al reperimento delle risorse, oltre al crescente aumento della burocrazia e delle limitazioni imposte ad associazioni come Stoff, ma che è compensato dalle tante soddisfazioni che questo impegno porta con sé, soprattutto quando Filippo racconta che “grazie al mio lavoro di fonico, che mi vede ospite di altri live club lungo tutta la penisola, sento che l’Off è conosciuto e considerato come uno dei locali più attivi in Italia, e mi rendo conto di quante siano le persone che ormai vedono nel locale una seconda casa, o meglio una tana dove rifugiarsi. Infatti negli anni abbiamo ospitato la produzione e l’allestimento di parecchi tour, con artisti come Marta Sui Tubi, Dente, Bugo, Immanuel Casto e Offlaga Disco Pax”. Quattro anni in crescita, dunque, che hanno permesso ai due soci di Stoff di farsi un’idea abbastanza chiara sullo stato della musica dal vivo nel nostro Paese, un ambiente in cui le cose più importanti per andare avanti sono secondo loro umiltà e spirito di sacrificio. Sia nella gestione di un locale, sia nell’ottica di una band emergente è importante “essere pronti a mettere in discussione il proprio lavoro e a ricominciare ogni giorno, non fossilizzarsi su idee che non funzionano e non avere paura di sbagliare” almeno tanto quanto “crearsi una buona cultura musicale, ascoltando e andando a vedere concerti perché sono momenti di confronto e crescita. Il vero valore aggiunto di Sonda è infatti che segue le band proponendo incontri e collaborazioni con professionisti di tutti gli ambiti legati alla musica, cosa che un artista difficilmente può fare da solo”.

 

Di episodi ne sono successi veramente tanti, e anche se non ci è capitato nessuno che mangiasse un pipistrello sul palco ci siamo fatti delle risate: artisti che hanno fatto commenti sulle ragazze (ignorando fossero le nostre), band che ci chiedono da bere sul palco tisane calde messe in bottiglie che le facciano sembrare bevande da duri, rider faraonici e un cantautore americano che viaggiava in tour senza telefonino e navigatore sostenendo che il bello di viaggiare è il perdersi. Le altre “avventure” è meglio che rimangano un piccolo segreto.

 

I partner, i festival: NODE

node festivalNel corso degli ultimi quattro anni Node è diventato una manifestazione di grande importanza, capace di attirare nei prestigiosi spazi della Galleria Civica migliaia di persone provenienti da Modena e da tutta Italia. Con un ricco programma di eventi, spettacoli e workshop, il festival vuole essere per la città un’occasione sperimentare forme di espressione riempiendo spazi con nuovi suoni e nuove immagini. Negli anni Node ha ospitato, fra gli altri: Alva Noto, Ryoichi Kurokawa, Rafael Anton Irisarri, Oval, Leafcutter John, Shigeto, Baths, Anenon, Shlohmo, Salva, Soosh.

 

Risale al mese di giugno 2008 – dopo quasi un anno passato tra le difficoltà proprie dei primi passi e il confronto con i vari interlocutori in campo – la prima edizione di Node, festival modenese dedicato all’incontro delle arti visive con la musica, il cinema e le nuove tecnologie, che ha portato in Italia alcuni tra i progetti più interessanti e ricercati della scena mondiale. “L’idea di fare un festival di musica elettronica è nata un po’ per passione e un po’ per il desiderio di riuscire a creare un momento in cui la ricerca musicale e le arti performative contemporanee trovassero un punto di contatto comune, in un luogo non deputato alla musica come la Galleria Civica di Modena.

NODE, Ryoichi Kurokawa (ph Simona Silvestri)
NODE, Ryoichi Kurokawa (ph Simona Silvestri)

Mischiare le carte, insomma”, dice di Node uno dei suoi fondatori, Fabio Bonetti. Punto forte del festival è certamente la scelta degli artisti, realizzata ricercando costantemente la qualità musicale e la costruzione di un filo logico in grado di unire le esibizioni dei performer, con l’obiettivo di valorizzare al meglio ogni singolo progetto (oltre che l’intera rassegna). Un discorso armonico, quindi, che si svincola dalla semplice presenza di artisti noti e che negli anni ha anzi cercato in ogni modo proporre live artisti poco conosciuti, destinati dopo non molto tempo a calcare le scene dei migliori festival europei e non solo. Un traguardo, però, raggiunto non senza poca fatica. “Penso che la difficoltà principale sia il riuscire a trovare i finanziamenti necessari per realizzare il festival. A chi volesse intraprendere una strada del genere consiglierei di armarsi di pazienza, determinazione e una buona dose di elasticità”. Un mondo duro quello della musica dal vivo, anche se, prosegue Bonetti: “Le soddisfazioni? Sono tante, quelle più grandi direi siano la presenza di un pubblico sempre crescente ad ogni edizione, e il clima sereno e disteso che si instaura tra gli artisti e lo staff nei giorni del festival”. Ma cosa deve avere un artista, oltre a un prodotto musicale valido, per partecipare a Node? Una performance ben definita, chiara, che vada oltre alla semplice idea di “live”. Si, perché il punto di arrivo che da sempre Node si ripropone di raggiungere è l’unione fra la musica e le arti, un legame difficile da creare ma impossibile da sciogliere: il festival non è infatti solo musica, ma anche installazioni interattive, creazioni di video-maker e sound-designer, è incontro, scambio, un’intersezione (appunto) fra diverse forme artistiche. Ed è forse anche in quest’ottica che Node è entrato a far parte dei partner di Sonda nel nuovo triennio del progetto, una sfida affrontata con la curiosità di scoprire se tra tante band rock iscritte al progetto si nascondano anche artisti interessati alle nuove frontiere della sperimentazione con la musica elettronica.

 

Fabio Bonetti, NODE Festival
Fabio Bonetti, NODE Festival

 

“Vedendo passare tanti artisti, di episodi e richieste assurde ce ne sono stati diversi, ma sicuramente nella top ten c’è l’insistente richiesta – alle 4 del mattino – di andare in un night club… Imbarazzante”.

 

 

 

 

I partner, i festival: MEI

MEIIl Meeting delle Etichette Indipendenti nasce nel 1997 ad opera di Giordano Sangiorgi e un gruppo di organizzatori modenesi, e raduna tutte le produzioni discografiche indipendenti italiane alla Fiera e al Palazzo delle Esposizioni di Faenza. Nel 2009 si arriva a oltre 30 000 presenze, con 300 espositori e più di 400 artisti che si sono esibiti dal vivo, mentre dal 2011 il MEI si trasferisce all’interno del Medimex di Bari (Fiera delle Musiche del Mediterraneo) mentre a nel centro di Faenza organizza il festival per artisti emergenti Supersound.

 

Seconda metà degli anni ’90. Le etichette discografiche indipendenti, per lo più quelle aderenti ad AudioCoop, occupavano il 3% del mercato e puntavano ad allargarsi sempre più, scalzando quote alle multinazionali del disco. Come fare, però? Un vecchio proverbio dice che l’unione fa la forza: proprio quella fu la strada intrapresa con la nascita del Mei (Meeting delle Etichette Indipendenti), una strada che ha portato la Fiera a diventare punto di incontro per tutto un comparto arrivato a coprire il 25% dell’intero mercato discografico nazionale. Giordano Sangiorgi, patron della manifestazione, ha ben chiara la linea artistica della propria creatura, nonché le ragioni del suo successo: “Non scelgo mai da solo, ma sempre sulla base delle proposte che mi arrivano dai produttori discografici o dai festival. Poi lavoro sempre affinché i nuovi talenti siano in qualche modo presenti, anche perché uno dei motivi principali di crescita e sviluppo del Mei è che negli anni ha proposto al 90% artisti sconosciuti al grande pubblico, oltre ad avere condiviso le scelte con tanti altri. Non una direzione artistica unica ma una rete, un network di proposte artistiche, in questo modo si costruisce il futuro della musica del nostro Paese, anziché lasciarlo in mano alle major del disco o al sistema dei talent”. Un impegno progettuale non facile da sostenere, però, data la difficoltà – racconta sempre Sangiorgi – nel reperire fondi e risorse in un contesto in cui la musica non è riconosciuta a livello nazionale come un elemento di crescita culturale, lontana quindi dalla certezza del sostegno pubblico e quindi impossibilitata a fare progetti sul lungo termine. “Credo che la musica in Italia meriterebbe di avere ogni anno, come accade per il cinema e per altri settori, una vera e propria vetrina ufficiale dei suoi prodotti nuovi”, prosegue Sangiorgi, “Bisogna fare un ragionamento per salvare il circuito dei live degli artisti indipendenti che fanno innovazione e ricerca: se non vi sarà sostegno a questi circuiti, si rischia di ritrovarsi solo con il mercato del live del lusso a prezzi stratosferici oppure con il discount della musica: piano bar, karaoke e cover band a costo zero nelle birrerie”. In quest’ottica si inserisce anche la partecipazione del Mei al progetto Sonda, per creare sinergia in un territorio emiliano romagnolo “da sempre in prima fila nella produzione di talenti musicali vecchi e nuovi, che meriterebbe ci fosse un piano di intervento che faccia diventare il settore culturale uno dei volani economici della regione”. Intanto anche il Mei è già cambiato, traslocando il Meeting vero e proprio all’interno del Medimex di Bari e mantenendo in terra faentina la sua ultima genesi: il Supersound – la cui prima edizione ha registrato oltre 20mila presenze – che nasce quindi anni dopo dagli stessi intenti, riunendo insieme alla Rete dei Festival la nuova musica italiana.

 

Giordano Sangiorgi, MEI
Giordano Sangiorgi, MEI

“Gli aneddoti sono tantissimi, ma ce n’è uno che mi piace ricordare: alla fine degli anni ’90 si iscrive per fare uno showcase acustico un artista che pochi anni dopo diventerà di gran moda, e io lo inserisco perché mi piace moltissimo, è stravagante e innovativo. Naturalmente all’epoca era sconosciuto, ma non ci potevamo aspettare che – con la fiera stracolma di gente – non lo sarebbe venuto a sentire nessuno. Imbarazzante. Lui senza battere ciglio prende la chitarra e attacca il suo showcase con me come unico spettatore, ma dopo appena trenta secondi mi cercano al cellulare per questioni di lavoro (ovvio, trovandomi al Mei) e mi tocca lasciarlo solo mentre continua imperterrito a suonare di fronte a nessuno. Un anno o due dopo vincerà un premio al Mei e avrà il palco sotto strapieno di gente, naturalmente stralunato come sempre ma felicissimo”.

 

I valutatori: intervista a Marcello Balestra

Marcello BalestraAutore e compositore, laureato in legge con una tesi sul Diritto d’autore. L’inizio della carriera di Marcello Balestra nell’industria musicale è legato a Lucio Dalla: Balestra è stato tour manager del cantautore bolognese nel periodo 86-88 poi nel tour mondiale Dalla-Morandi 88-89. Nello stesso anno diventa responsabile editoriale, artistico e legale dell’etichetta Pressing, sempre con Dalla, e delle Edizioni Assist. Fino al 2000 è docente universitario in Diritto d’autore e Discografia ESE, poi inizia a collaborare con la casa discografica CGD. Dal 2004 è in Warner Music Italia.

 

Tu rivesti il ruolo di A&R manager per la Warner Music. Come si diventa A&R di una multinazionale discografica?
“A mio parere non c’è un percorso standard per ricoprire questo ruolo. C’è chi ha fatto gavetta e chi ha imparato ricoprendone il ruolo anche per caso. La mia esperienza è stata varia ma sempre rivolta alla produzione di progetti artistici musicali e di ricerca sul repertorio. Occorre sicuramente essere immersi nella musica a 360° gradi, poiché l’A&R può e deve sviluppare progetti totalmente diversi tra loro, specie in una major”.

Quali sono le caratteristiche che deve avere un A&R per svolgere al meglio il suo lavoro?
“Un A&R manager deve avere il piacere, la curiosità, il bisogno, la voglia di ascoltare qualsiasi cosa gli sia proposta e poi con passione e determinazione, in base anche alle linee editoriali dell’azienda per cui opera, con serenità scegliere i progetti maturi per un pubblico che reputa potenzialmente pronto a capirli. Occorre anche tantissima umiltà e predisposizione all’arte altrui, senza quindi cercare di prevaricare artisti o produttori con la personale visione che si ha dei progetti, ma dando un contributo alla creatività già espressa”.

Come è cambiato il ruolo dell’A&R nel corso degli anni?
“Il ruolo è rimasto sempre legato alla progettualità e alle idee da sviluppare, oltre ai progetti obbligati da contratti, o da cadenze occasionali come il Festival di Sanremo. Da qualche anno l’A&R ha sempre più un ruolo trasversale e di ricerca anche in settori paralleli alla musica”.

Credi che si possa in qualche modo uscire dalla crisi che attanaglia la musica? Se sì, come?
“Cercando di non parlare solo del nostro settore ma di tutti i settori merceologici di beni ai quali si può rinunciare in momenti di crisi, direi che è possibile riconfigurare il ruolo della musica, specie per quella pop, e spostarlo da quasi sottofondo radiofonico a spazio culturale urbano. La musica può tornare protagonista e importante ad artisti e pubblico, soltanto allontanandosi dall’uso distratto che se n’è fatto negli ultimi anni, cercando invece di diventare un qualcosa da comunicare e non da somministrare: musica che serve a chi la ascolta e non a chi la produce. Solo guardando con più rispetto alla sensibilità di chi ascolta, si può trovare una soluzione diversa da quelle adottate fino ad ora, che assomigliano più alla vendita a peso che a quella di creatività emotiva”.

Nelle ultime stagioni i talent show hanno dato impulso al mercato discografico. è questa la strada da percorrere anche in futuro, o è stata una fortunata parentesi?
“Come previsto da tempo, anche il talent conferma il suo destino di programma tv che non riesce a sorprendere all’infinito. Il mercato è stato invaso da tanti nuovi nomi ma solo in pochi rimarranno. Ricordo che tre anni fa, quando cercai di porre l’attenzione sulle diverse intenzioni che ha un talent nei confronti di un partecipante, rispetto a quelle dello stesso partecipante, o di un eventuale produttore artistico e discografico, qualcuno disse che intanto coi talent si potevano far nascere nuovi talenti. Se pensiamo che i pochi giovani nuovi talenti sono il riassunto di centinaia di migliaia di partecipanti, c’è da riflettere sulle motivazioni prettamente televisive di un talent, ossia quelle giuste e primarie per chi fa televisione, di produrre uno show televisivo e non necessariamente di produrre talenti o costruire carriere. è sicuramente un bene che i talent abbiano dato a tanti giovani l’opportunità di imparare, migliorarsi e cimentarsi in programmi tv ma oggi rimangono spazi illusori”.

Cosa ti spinge a lavorare con un artista piuttosto che con un altro?
“Gli ingredienti di un artista sono tanti per capirli tutti al primo colpo e spesso ci si lascia coinvolgere dall’istinto più che da considerazioni tecniche. Aiuta molto la versatilità e la riconoscibilità oltre alla grande determinazione e all’intelligenza. Altri elementi fondamentali sono ovviamente lo stile, la scrittura e il modo di esprimere il tutto. Ultima cosa, comunque importante, è l’immagine, che deve essere coerente con ciò che esprime”.

Cosa ti aspetti dalla collaborazione con Sonda?
“Ogni volta che approccio nuovi spazi creativi, penso a nuove energie e a idee che s’incontrano. L’aspettativa è semplicemente questa, nella speranza di essere sorpreso da qualcosa di diverso, anche difficile da capire ma artisticamente e umanamente stimolante”.

Un tuo ricordo di Lucio Dalla.
“A Lucio devo tanto, lo ringrazierò sempre per avermi insegnato ad ascoltare e a dare!”.


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I valutatori: intervista a Giampiero Bigazzi

Produttore, editore, compositore, autore e musicologo, Giampiero Bigazzi ha cominciato a suonare nel 1968 e ha legato il suo nome a quello dell’etichetta Materiali Sonori. Più “organizzatore di suoni” che musicista, ha collaborato con importanti artisti e band fra i protagonisti della musica indipendente e di ricerca in Italia e nel mondo. Scrive, organizza festival, mette in scena spettacoli di narrazione e di teatro minimo musicale.

Tu sei musicista, produttore e discografico. Come si diventa produttore e discografico?
“Non c’è una scuola, un concorso, o un bando, c’è qualche meritevole corso, come quelli che organizza periodicamente il Centro Musica di Modena. Nella musica il ruolo del produttore corrisponde a quello del regista nel cinema e nel teatro. Un ruolo molto importante. Quindi è giusto che venga svolto da musicisti, persone che, come in una sorta di ‘chiamata’ si fanno produttori e poi anche discografici”.

Quali sono le caratteristiche che deve avere un produttore e un discografico per svolgere al meglio il suo lavoro?
“Nella musica il produttore non è l’uomo solo al comando, ma deve per forza interagire con i musicisti, creare e gestire la giusta miscela d’idee. E spesso è chi fa da ‘intermediario’ con il resto del mondo. Per fare il discografico bisogna avere sensibilità musicale, conoscenza della materia, delle tappe della sua realizzazione ed anche il senso degli affari”.

Come è cambiato il ruolo del produttore e del discografico nel corso degli anni?
“Non riesco a cogliere molti cambiamenti, soprattutto nel ruolo del produttore. Il regista del disco è sempre quello dagli anni ‘60. Capita che siano gli stessi titolari del progetto, i musicisti, a fare anche da produttori artistici e la cosa funziona ugualmente. Il ruolo del discografico invece è cambiato con l’esaurirsi della materia prima. Vendere dischi è sempre più difficile. Una volta si facevano i concerti per promuovere i dischi, oggi si fanno i dischi per organizzare un tour. Però esistono ancora le etichette e quindi esiste ancora il discografico”.

Credi che si possa in qualche modo uscire dalla crisi che attanaglia la musica? Se sì, come?
“Intanto la crisi in cui vivacchia il mercato della musica sta dentro una crisi terribile di tutto il sistema occidentale e forse planetario. Quindi la resistenza è ancora più dura. Soprattutto in Italia, Paese che ha sempre avuto una classe dirigente avulsa dallo ‘sfruttamento’ della cultura ed in particolare della musica. Oggi ci vuole molta più creatività di qualche anno fa. Si deve lavorare su più fronti. è una dura battaglia, che per il momento ha collezionato solo sconfitte”.

E’ plausibile pensare che la musica possa ancora inventare qualcosa di nuovo nel 2012?
“Penso di sì. In fondo anche i Beatles s’ispiravano a un rock‘n’roll pre-esistente e lo mescolarono con un certo tipo di canzone inglese. Non s’inventa mai qualcosa di completamente nuovo. E anche oggi si può e si deve mescolare, ma è più difficile, perché la comunicazione totale e la circolazione della musica rischiano di rendere tutto una gigantesca marmellata. Inoltre c’è il rincorrersi di antiche e nuove suggestioni. Amici mi fanno ascoltare i Radical Face, che mi piacciono, ma mi sembra di sentire Simon & Garfunkel: le stesse armonie nelle voci, gli stessi accordi, gli stessi strumenti. Oppure mi consigliano The Tallest Man On Earth, interessante, ma è uguale al giovane Dylan! E poi tutte queste band che usano rock ed elettronica. Una volta ho fatto ascoltare un CD dei Tuxedomoon ad una giovane amica, appassionata di elettronica, dicendole che avevo ricevuto questo demo da una band di Zurigo, per farne un disco, è rimasta folgorata: ‘Senti che suoni! Che originalità! Fallo, il disco’. ‘Cribbio’, rispondo io, ‘ma sono registrazioni del ‘79!’. Per inventare qualcosa di nuovo, ci vuole anche l’humus culturale e sociale adatto”.

Cosa ti spinge a lavorare con un artista piuttosto che con un altro?
“Per quanto riguarda la nostra storia, cioè quella più che trentennale della Materiali Sonori, i meccanismi sono stati per lo più casuali! Diciamo una specie di ‘meccanismo a incastro’. Noi siamo musicisti e quindi fin dall’inizio abbiamo suonato ed interagito con altri musicisti e questo ci ha portato a conoscerne altri ancora e quindi a creare una rete di collaborazioni e di proposte”.

Cosa pensi di Sonda?
“E’ un bel progetto, che fa onore non solo al Centro Musica di Modena che l’ha inventato, ma a tutti gli Enti che lo sostengono. è un modo per stare in sintonia con i ragazzi che fanno musica. Da parte mia, del Centro Musica e degli Enti, se lo vogliono, è un’occasione per avere sotto mano le tendenze contemporanee che animano la scena musicale e quindi è un mezzo per capire molte cose sulla cultura giovanile, non solo musicale”.

Sonda ti ha “dato” qualcosa in questi anni di collaborazione?
“Intanto devo ripetermi e dire che il Centro Musica di Modena è una delle esperienze più belle e utili per la musica in Italia. è una sorta di università dedicata alla musica popolare contemporanea. E per me è stato sempre un onore collaborarvi. Sonda mi ha permesso di venire a contatto, con serietà e continuità, con le produzioni musicali di un segmento importante della cultura musicale italiana. Per me è come una scuola, dove imparo a conoscere situazioni nuove, una specie di continuo corso di aggiornamento”.


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I partner, le etichette: Error Broadcast

Filippo-Aldovini
Filippo Aldovini, Error Broadcast

Error Broadcast nasce nel 2008 dal mio incontro con Sven Swift. Entrambi attivi con altri progetti discografici, con alle spalle le rispettive esperienze nella distribuzione digitale, abbiamo deciso da subito di utilizzare la rete come medium principale per individuare nuovi potenziali ascoltatori. Nonostante i diversi background musicali da cui proveniamo, la musica elettronica strumentale di matrice hip hop è stato il campo che abbiamo individuato come quello più interessante a livello di sperimentazione e di ricerca – infatti anche il mainstream trae sempre più ispirazione da questo tipo di contaminazioni – e, sfruttando al massimo la potenzialità della rete, è stato subito naturale ampliare il proprio raggio d’azione al di là dei confini nazionali (anche perché lavorando su un genere di ricerca guardare oltre l’Italia è stata una scelta obbligata). Da subito ci siamo caratterizzati come una label in grado di scoprire nuovi talenti (vedi il caso Shlomo, ndr), e spesso ci è capitato di lavorare con artisti dal grande potenziale, ma bisognosi di una figura guida: infatti anche se il concetto del DIY oggi si estende a molti fronti extra-musicali come il marketing, la comunicazione o la gestione delle vendite, un’etichetta discografica rimane una risorsa fondamentale per supportare e affiancare un arista nel proprio percorso di crescita. Un percorso che è di crescita anche per noi, perché quello che ricerchiamo è un approccio innovativo al suono elettronico. Per quel che riguarda il mio ruolo cerco infatti sempre di creare un contatto umano con l’artista, diventando così parte attiva nel processo creativo: coordinando il progetto ne curo ogni minimo dettaglio in prima persona, dalla direzione artistica al lavoro di comunicazione, dalla promozione on-line al rapporto con gli artisti. Ed è in quest’ottica che abbiamo deciso di partecipare a Sonda, perché siamo sempre interessati a scoprire i nuovi talenti e penso che tramite il progetto potremo intercettare artisti dal grande potenziale. In fondo l’Emilia Romagna è stata culla della cultura elettronica in Italia, basti pensare a realtà seminali come il Link di Bologna e il Maffia di Reggio Emilia dove molti addetti ai lavori – me incluso – si sono formati. Dovessi consigliare un artista su come pubblicare la propria musica, gli direi innanzitutto di ricercare il più possibile uno stile personale tenendo sempre a mente che al giorno d’oggi il fare musica deve essere accompagnato dalla conoscenza dei nuovi media di comunicazione, senza i quali è davvero difficile per un’artista emergere. Ormai i guadagni ottenuti tramite la vendita diretta di musica non sono più quelli di una volta per cui capita spesso di privilegiare la ‘viralità’ del free-download in particolare per artisti emergenti. Nel caso invece si decida di investire sulla stampa noi privilegiamo il vinile, perché mette in risalto il packaging, ha una una grande qualità sonora e mantiene un fascino senza tempo. Ovviamente alla base di tutto deve esserci un prodotto di qualità. Perché la competizione è durissima, e senza frontiere.

 

shlohmo, shlo-fi

L’album più significativo della discografia di Error Broadcast è sicuramente “Shlo-fi” (2009), il debutto di Shlohmo, produttore losangelino ora considerato tra i principali esponenti della new wave elettronica americana. Pubblicato inizialmente in download gratuito, sull’onda del grande successo ottenuto è stato ristampato su doppio vinile nel 2011 ed è andato sold out in poco più di un mese. “Shlo-fi” rappresenta al meglio l’inclinazione di Error Broadcast a scoprire e produrre nuovi talenti, con assoluta priorità alla qualità delle produzioni e al loro carattere innovativo.

 

I partner, le etichette: Unhip Records

Mattia Boscolo
Mattia Boscolo, Unhip Records

Unhip Records è nata nel 2001 grazie a Giovanni Gandolfi, con l’idea di pubblicare split in vinile di artisti internazionali e successivamente anche di gruppi italiani – come Disco Drive, Settlefish e The Death Of Anna Karina – oltre a curare la versione in vinile dei lavori di Afterhours, Offlaga Disco Pax, Massimo Volume, Le Luci Della Centrale Elettrica. Ogni nostra pubblicazione ha una storia diversa, e nonostante spulciamo una quantità infinita di materiale e vediamo una vagonata di concerti (perché è là che si capisce se un gruppo merita o no) quello che rimane fondamentale per noi è la componente umana, l’unico vero comune denominatore è che pubblichiamo solo chi ci piace moltissimo, e i gruppi che ci piacciono moltissimo non sono poi così tanti. Per nostra fortuna la scena bolognese è sempre molto attiva e ricettiva verso le novità, anche se (come è naturale che sia) molto è cambiato rispetto a qualche tempo fa. Abbiamo visto evolversi gruppi, locali, molte situazioni diverse. Alcune resistono, altre si sono esaurite, e anche da questo fermento è nata Unhip. Che poi ci sia stata una flessione è vero, ma è un fenomeno che ha coinvolto tutto il circuito a livello nazionale, in parte anche come conseguenza di internet e della diffusione dei social network, perché hanno favorito il proliferare di gruppi e di musica nuova illudendo forse agli artisti di avere i mezzi e le competenze per promuoversi da soli. Le etichette che hanno lavorato bene in questi anni sono quelle che hanno capito il ruolo che deve avere una label ora, ovvero dare tutto quel supporto di cui un gruppo ha bisogno per non perdersi nel mare magnum del sottobosco musicale. Lo sviluppo della rete ha poi cambiato drasticamente il mondo musicale: se da una parte ha facilitato le relazioni e la diffusione della musica, dall’altra ha affossato alcune realtà (come Hausmusik, che distribuiva i nostri dischi in tutto il mondo e che è fallita nel 2008) e per questo bisogna essere più oculati se si vuole pubblicare un disco, valutare attentamente come spendere le proprie risorse. Dal momento che sta diventando sempre più decisivo il modo in cui un disco viene presentato e promosso, piuttosto che la sua qualità sonora, bisogna essere più recettivi ai cambiamenti, bisogna cercare nuove strade. Unhip infatti è molto cambiata rispetto a dieci anni fa, anche se mantiene sempre una identità abbastanza riconoscibile nel modus operandi. Un esempio è quello della campagna “Become An Unhipster”, un abbonamento all’etichetta con durata annuale, nato dal desiderio di creare un legame continuo con chi ci ha supportato in questi dieci anni: spedendo dei pezzi inediti (b-sides, estratti da concerti, a volte anche dei provini dei nostri gruppi chiedendo un feedback), recapitando in anticipo le nostre produzioni, creando uno spin-off del catalogo dedicato agli Unhipsters, agevolando l’acquisto del back catalogue e regalando degli ingressi per i concerti. Questo è stato l’anno zero, che ci è servito a capire come far funzionare il meccanismo al meglio, ora siamo già carichissimi per la prossima stagione, anche perché è un’attività che da una parte facilita il contatto con chi in fin dei conti permette all’etichetta di sopravvivere, ovvero chi compra la nostra musica, dall’altra permette anche di dar sfogo ad una certa creatività, cosa che solitamente non avviene compilando i moduli della SIAE.

 

Drink To Me, S“S” dei Drink To Me è l’ultimo album uscito per Unhip, a marzo 2012. È un disco a cui siamo molto legati, perché ci ha stregato fin dalla prima volta che abbiamo ascoltato i provini, e che ci sta dando molte soddisfazioni. Il merito va ai Drink To Me, capaci di tirar fuori un album spaziale, che unisce una marcata attitudine pop a una ricerca in continua evoluzione, sempre fresca, sempre nuova. E’ eclettico, a tratti disturbato, e dal vivo suona una meraviglia. Il fatto che sia considerato uno dei migliori dischi usciti quest’anno, ci rende particolarmente orgogliosi.