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Hanno detto/hanno fatto/hanno smesso – Marco Bertoni
Interessante? Può essere interessante… E quello che segue è uno scritto volutamente confuso.
In fondo il finale sarebbe: noi vecchi che abbiamo suonato in un certo periodo, sentiamo con stupore che adesso non si suona più per slegare, ma per altro… E questo è sentito come un vuoto… Come qualcosa di più povero e minore.
La provincialità… Ahhhh la provincialità.
L’importanza delle radici e della consapevolezza delle radici, ahhhhh le radici.
Dal mio piccolo osservatorio di produttore “specializzato” nello svezzamento di giovani (nel tempo ho tirato l’elastico di Motel Connection, Angela Baraldi, Fiamma Fumana, Megahertz, Bracco di Graci, Bob Rifo, Simons, per poi tirare la fionda e vedere dove arrivava il sasso), è sempre molto interessante notare come le cose cambiano, avere delle percezioni, osservare.
Ad esempio una delle cose che non sono cambiate è: il gas che viene a chi “ce la fa”, a chi “ha successo”.
Telefonare a Lorenzo Bedini di Antenna Music Factory (ragazzo nato a Fronte del Palco, umile in Mescal per poter iniziare a lavorare una 15ina di anni fa) o a Matteo di Garrincha prima o durante l’esplosione de “Lo Stato Sociale”, e provarci adesso, può rendere già una prospettiva che fa sentire il gas, si può sentire un sapore che travalica le generazioni, quel sapore che ti fa percepire che le persone sono diventate diverse da come erano prima.
E’ interessante? Bah…
“Uè ce l’hanno fatta”. Hanno fatto il colpaccio e hanno trovato l’Eldorado.
E no, quello l’ha trovato Walter Mameli con Cesare Cremonini… Forse uno degli ultimi colpi di vero agio derivato dal mondo della musica leggera ai tempi della discografia.
Ai vecchi tempi della discografia, dove con una sola hit ti sistemavi finanziariamente.
Forse uno scritto a parte andrebbe fatto a parte sul pubblico.
Esiste?
Sì esiste, frammentato, zeppo di informazioni e in un certo qual modo (forse) inebetito e scarsamente motivato nei confronti della musica, che può solo trovarsi davanti proposte nel loro piccolo imposte e accettate nella misura in cui riempiono un breve spazio non più generazionale, ma serale.
Come dire, non facciamo più canzoni, facciamo altro, chi seguirà Lo Stato Sociale tra qualche anno?
Nota per i lettori, che non c’entra nulla ma va chiarita una volta per tutte: io suonavo e suono (quando ne abbiamo voglia e progetti che ci interessano) in un gruppo chiamato Confusional Quartet. Iniziammo alla fine degli anni ’70.
Ricordo che nei primi ’80 gente come i Diaframma erano degli sfigati, non so neanche se simpatici perché non ci siamo mai incrociati, ma il ricordo che ho di loro era che tutti li consideravano gli ultimi. Vedi vedi che in Italia a stare lì, non muoversi, continuare, alla fine qualcosa paga. Qualcosa. Cosa.
Altra cosa, alcune band che vennero dopo, tipo CCCP/CSI/PGR et similia ci hanno sempre fatto schifo. Diciamolo così, per simpaticamente volersi bene su delle basi di reciproca e disinteressata sincerità. Ricordo un bellissimo articolo della sua rubrica “carta vetrata” di Freak Antoni dove finalmente diceva proprio questo: mi fanno cagare. Mi associo, con calma e candore ma con fermezza.
Una band degli anni ’70/’80, i Gaznevada, beccarono (con un non piccolo aiuto da parte di musicisti turnisti in studio quali Bob Costa e Luca Orioli) un buon pezzo (IC love affaire), e poi non seppero più replicare tale successo.
OK.
Fine della prima parte.
Foolica inzio a conoscerla perché lavora bene a livello promozionale con Paletti, poi cresce, arrivano gli M+A poi arrivano Thegiornalisti, poi arriva in sostanza questa loro ricetta di una ipotesi di nuovo mainstream dove alcune consapevolezze(*) (anch’esse travalicanti le generazioni) vengono attuate e vengono molto bene lavorate per farle diventare in un qualche modo business.
Ripeto, imparagonabile al business di solo dieci anni fa, ma insomma qualcosa che dà il gas di cui sopra, dà del tempo in cui svaccarsi per bene tra birre, ragazze, studi, chitarre, tastiere, ecc. e poi in questo momento nessuno si sogna di comprarsi una barca con la musica.
Forse si sogna una paghetta. O magari scopare e divertirsi, tanto è tutto un delirio.
Queste consapevolezze(*) sono: la cassa in 4 si vende a livello internazionale e sopra ci sta bene la scritta “Made in Italy” (M+A), e la melodia dei cantautori e il modo di cantare dei cantautori anni ’90 sono sdoganate senza vergogna anche per il pubblico odierno che ama cantare (Thegiornalisti).
Dietro ai brani dei Thegiornalisti sento che c’è un lavoro e anche un perché, e qui la ricetta non è certo nuova, ma potrebbe funzionare e anzi ve n’è il bisogno.
Se c’è una cosa che dà piacere è cantare delle canzoni che sappiano di sincero e di fresco e allora Calcuttiamo.
Foolica (una sorta di Sugar in piccino) si muove anche bene: poche connections ma quelle “giuste” e i progetti crescono e si piazzano in 2 anni e possono esplodere.
Poi, molto bene crescere e lavorare a costi molto bassi per realizzare situazioni da piazzare dopo a labels o editori con soldi, e non andare prima a chiedere aiuto e un tozzo di pane; molto bene.
Ai primi giri dei Thegiornalisti i promoters dicevano , “boh…li faccio mi hanno detto che sono forti…”.
Questo “mi hanno detto” è una forza, una forza che impone accelerazione ad alcuni progetti.
In Inghilterra hanno l’ hype noi abbiamo l'”hanno detto”.
Questo “hanno detto” è un giro di poche persone, mediamente simpatiche, alcune giovani, altre vecchie.
Non è mai stato facile come ora diventare musicisti famosi in Italia.
Suono al Covo e intanto scrivo la hit per Carboni (il winner sino ad ora, voto a Carboni 10 e lode).
Poi lasciamo i vecchi critici o musicisti a dire che queste nuove cose fanno cagare, è sempre stato così, i vecchi a dire che le cose dei giovani sono già sentite, sono copiate, ma poi, se ho successo, chi se ne frega?
E vai di melodia, e poi, se ascoltate il primo disco di Carboni, sentite uno che copiava Vasco mica poco.
Quindi perché Thegiornalisti non possono fare Venditti, Dalla e non possono divertirsi nel riprendere le cose e digerirle per l’oggi?
Thegiornalisti vanno bene, li teniamo fermi e li facciamo uscire dal vivo a novembre, solo posti da 1000/2000 persone.
Però gli facciamo fare (gli facciamo fare) il Primo Maggio a Roma, e allora nell’occasione butto fuori un singolo, che vuole dire un video su YouTube e un po’ di FaceBook.
Poi il cantante va comunque al MIAMI – non si può perdere un giro – e fa Vasco Rossi.
Il singolo buttato fuori per il Primo Maggio non è proprio forte e che facciamo?
Siamo pazzi, siamo moderni e dopo un mese ne buttiamo fuori un altro… Qual è il problema? I costi del video? I costi di produzione e stampa?
La promozione? Se hai i canali giusti si può essere fighi a costo quasi zero.
Intanto Paletti sullo sfondo sfuma…
La cosa cresce, la Sugar indipendente e intelligente comincia a capire che i numeri li fanno (li possono, li potrebbero fare) gli artisti indipendenti (cosa che Roberto Trinci ha capito un milione di anni fa, è la coda lunga, piccoli numeri però continui nel tempo, e alla fine fanno fatturato) e quindi comincia a farsi tastare, comincia a spaciugare: Bob Rifo a San Remo, Paletti con contrattino, iniziano sinergie, ipotesi, simbiosi, c’è voglia di andare all’estero, c’è voglia di realizzare quello che non è mai riuscito con Elisa. Vediamo.
Forse gli M+A (con qualche soldo si scopre pure che si può suonare con gli stranieri nei propri dischi) possono farcela là fuori.
Cassa in 4, featuring di vocalist madrelingua e via. No probem.
E poi l’utilizzo finalmente intelligente di festival internazionali, che lanciano nomi italiani nel circuito europeo e anche nell’ignorante patria dove se sei stato allo Sziget, al Primavera, o a Glanstonbury (non importa a che ora hai suonato e se nelle foto non vedo mai il pubblico) è la notizia in sé che pompa e ti fa crescere l’hype, perché oltre a l’ “hanno detto” si somma anche l’ “hanno fatto” e forse cresce un poco pure il cachet.
Superbo il Marchetti (Vittorio), che è un ragazzo che sa suonare e ho visto che gli esce la musica dalle mani con tanta naturalezza, finisce con le Altre di B (il tour negli USA…) band carina ma hopeless nonostante Zoff, e fa una cosa che a parer mio andrebbe studiata.
Studiatela.
Nei giri con gli Obagevi e con Altre di B conosce tutti, ha sulla sua agenda la lista che un booking e un ufficio stampa avrebbe.
Quali caratteristiche deve avere un gruppo nuovo? Essere light, poca gente poca strumentazione, musicalmente ammiccante e adesso l’elettronica può esserlo.
Quindi vai: Osc2x. Il giro giusto di gente, “hanno detto”, poi per “hanno fatto” ci mettiamo dentro le semifinali di X Factor e i festival i cui contatti erano rimasti dalla volte che le Altre di B…
OK adesso aspettiamo le canzoni, ma senza discografia e se il live gira, a cosa servono in fondo? A qualche minuto di YouTube? Mutamenti e valori…
Descrivo queste cose immaginandomele, badate bene.
Sono solo mie personali congetture e supposizioni e giudizi forse utili per insegnarvi a leggere e a guardare alcune cose che accadono mentre accadono.
Per chi vuole entrare nel meccanismo sono forse interessanti non tanto le cose in sé (mie personali supposizioni ripeto) ma una abitudine a leggere cosa abbiamo intorno.
Per concludere, tornando alle cose che sono mutate e no, beh il provincialismo italiano è rimasto inalterato come prima.
Il sapore che si respira tra gli addetti ai lavori…
Cioè diciamo un buon 80% di super provincia che si fa il viaggio e un 20% di cose che sono fighe e rappresentano un momento di qualità allo stesso livello del resto del pianeta.
Il resto è una apparenza, un inganno dato dal fatto che non è cresciuto il nostro livello, causa crisi e miseria si è abbassato quello degli altri.
Per qualche sterlina a Londra vi trattano pure bene al giorno d’oggi.
Ecco io alla mia età questo lo sento come un vuoto.
La possibilità a volte realizzata che nel mainstream potesse entrare l’intelligenza, l’arte, la proposta alternativa adesso si è patinata, è diventata sega da farsi davanti a ProTools o una chimera per ultra ricchi.
Quindi onore a chi sogna cose sue e continua a farlo (sognare) e a farle (cose sue) (no, non sei tu che stai leggendo).
Incontri con i valutatori 2017
Il Centro Musica ripropone quest’anno gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri, rivolti principalmente e musicisti e gruppi musicali, sono aperti a tutti.
Si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; tutti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.
• sabato 18 marzo 2017, dalle 14 alle 18
Incontro con Carlo Bertotti (produttore e autore); Giampiero Bigazzi (produttore discografico, musicista); Luca Fantacone (direttore marketing Sony Music).
• sabato 25 febbraio 2017, dalle 14 alle 18
Incontro con Marcello Balestra (produttore-editore musicale); Marco Bertoni (produttore, musicista); Daniele Rumori (direttore artistico Covo Club); Gabriele Minelli (A&R manager di Universal Music Italia).
Gli incontri si terranno presso l’Off all’interno del nuovo polo 71MusicHub (Via Morandi 71 – Modena) dalle 14 alle 18.
Ingresso gratuito.
Il produttore artistico devo proprio chiamarlo? #1 (M.Bertoni)
Il produttore artistico è una figura avvolta nell’ombra, soprattutto negli ultimi anni, dove tutti possono esserlo (come possono essere allenatori della nazionale di calcio). In realtà, però, chi è o cosa fa un produttore artistico in un mondo fatto di sette note? Lo abbiamo chiesto a due musicisti (ci piace mettere per prima questa parola) e produttori: Marco Bertoni e Carlo Bertotti. Quest’ultimo ci ha inviato un suo scritto, Marco invece ha risposto alle nostre domande perché ci stiamo convincendo sempre di più che non tutti possono essere allenatori e produttori. “Una volta, ilproduttore artistico in ambito musicale, era quella figura professionale che funzionava da interfaccia tra l’artista e la struttura che commissionava il lavoro discografico. Quindi il produttore stava tra l’artista, aiutandolo a confezionare il suo lavoro, interpretando e recependo le sue idee artistiche, e la casa discografica. Cercava di rendere il prodotto il più commerciabile possibile, in un’ottica non solo d’immediato successo ma anche di carriera musicale dell’artista. Gli artisti erano legati alle case discografiche per almeno cinque anni con l’impegno di realizzare tre album e lavorare con loro voleva dire anche investire sulla loro crescita ‘spalmata’ nel tempo. Oggi il produttore artistico è quella figura professionale diversa, che aiuta sempre l’artista a realizzare e a mettere a fuoco il suo lavoro, ma si colloca tra lui e ‘il mondo’. L’artista è diventato nella maggior parte dei casi il committente di se stesso, cioè colui che investe tempo, energie e danaro nella produzione di brani, al fine di realizzare un master. Il master, anche se non vi è più l’industria discografica, resta comunque un importante asset sempre fondamentale per un progetto e in una strategia musicale. Oggi, che l’artista sia esordiente oppure no, il produttore artistico deve avere un’abilità di messa a fuoco del proprio lavoro, non solo dal punto di vista musicale, ma anche dal punto di vista di strategie, che incidano sull’identità del prodotto e sulla gestione dello stesso una volta realizzato per fare in modo che sia concretamente pubblicabile”, ci dice Marco Bertoni, facendo luce sul ruolo (nel) passato, presente e futuro di un produttore artistico. In un’epoca dove esisti solo in base ai “mi piace” che ottieni (per i motivi più disparati anche in campo musicale), dove la musica è un superfluo, quasi un peso da sopportare perché altrimenti non si giustificano i concerti, le comparsate televisive, le programmazioni radiofoniche, il ruolo del produttore artistico diventa fondamentale, invece, per tutti i musicisti che ancora scrivono canzoni con l’intenzione (seria) di farle ascoltare e dire qualcosa (il genere di appartenenza non conta, nella storia ci sono stati brani pop socialmente più rilevanti di elucubrazioni cantautorali). Quindi come lavora un produttore artistico all’interno di un mercato sempre più ristretto? Dalle parole di Marco: “Posso raccontare cosa faccio io, anche perché, per l’età che ho, la parte iniziale della mia carriera si è fondata su un know how maturato nel tempo in cui i committenti erano le case discografiche e in cui il prodotto era confezionato per il mercato discografico. Oggi produco artisti, soprattutto esordienti, che mi ‘ingaggiano’, proponendomi progetti. I progetti che ritengo interessanti e stimolanti e ‘buoni investimenti’, li curo iniziando dai provini, dalla sala prove e da tanti discorsi riguardanti la strategia di dove e a chi si vuole e si può proporre il lavoro. Quindi diciamo che la mia figura si è evoluta da un momento meramente tecnico e musicale (la confezione delle canzoni nelle varie fasi del lavoro e cioè le pre-produzione, l’arrangiamento, la produzione in studio di registrazione) a un processo lavorativo che aiuta e coadiuva l’artista nel realizzare qualcosa che sia adatto a una strategia che si è stabilita e costruita e che comprende cosa fare e come farlo, per giungere alla pubblicazione e alla promozione del lavoro: una continua disamina e ricerca di che cosa serve per l’inizio o la continuazione di una carriera”. La necessità di un produttore artistico diventa quasi indispensabile, come prosegue Bertoni: “Il bisogno di avere un produttore artistico risiede nel fatto che al di là della tecnologia, che oggi più facilmente aiuta nell’auto produzione, una persona che abbia competenze della tecnica musicale, della tecnica della produzione sonora, delle attuali forme di mercato e delle tecniche della comunicazione può realmente fornire più possibilità di alzare il livello del lavoro, dal punto di vista artistico, creativo e anche comunicativo. Inoltre un orecchio esterno ha un potere maggiore di manipolazione e di realizzazione di qualcosa di altro che parta dal materiale originale fornito dall’artista, ha una sicurezza dovuta sì all’esperienza e alle capacità, ma anche all’assenza di responsabilità e di identificazione con il prodotto che il produttore non ha creato, ma che deve, in maniera creativa, confezionare. Io sono anche musicista e devo dire che (quando mi è capitato) essere prodotti è per me il massimo, cioè io scrivo un pezzo, suono la mia parte in studio, poi di tutto il resto, i suoni, le scelte, i tagli… se ne occupa il produttore, non m’interessa. Tanto tempo fa mi colpì constatare che un grande artista come Lucio Dalla, dava il meglio di sé quando in studio era affiancato da un produttore, ad esempio come Mauro Malavasi, che lo sollevava dalle scelte e lo lasciava libero di creare senza preoccuparsi della confezione del lavoro. Ecco, il produttore può rendere il creativo libero di emanare idee, che poi sono selezionate, ottimizzate econfezionate per aumentarne le possibilità di comunicazione (e quindi di vendita)”. Insomma i social aiutano, la tecnologia aiuta, ma la mano di un produttore artistico è ancora indispensabile. Di persone che si credono produttori e allenatori ne è pieno il mondo. Basta non farli entrare in studio di registrazione o sul campo di gioco, cercando, invece, quelli col “patentino”.
Incontri con i valutatori 2016
Il Centro Musica ripropone quest’anno gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri, rivolti principalmente e musicisti e gruppi musicali, sono aperti a tutti.
Si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; tutti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.
• sabato 20 febbraio 2016, dalle 14 alle 18
Incontro con Marcello Balestra (produttore-editore musicale); Marco Bertoni (produttore, musicista); Giampiero Bigazzi (produttore discografico, musicista); Daniele Rumori (direttore artistico Covo Club).
• sabato 2 aprile 2016, dalle 14 alle 18
Incontro con Carlo Bertotti (produttore e autore); Gabriele Minelli (A&R manager di Universal Music Italia); Roberto Trinci (direttore artistico Sony/Emi Music Publishing).
Gli incontri si terranno presso l’Off all’interno del nuovo polo 71MusicHub (Via Morandi 71 – Modena) dalle 14 alle 18.
Ingresso gratuito.
Le Parole dei Valutatori: Marco Bertoni
Che cosa significa fare il produttore artistico?
“Fare il produttore artistico per me significa affiancare l’artista nella fase di realizzazione del suo prodotto. Cioè passare dall’idea originale dell’artista a qualcosa di organizzato, definito e messo a fuoco per meglio comunicare/vendere le intenzioni dell’artista”.
Com’è cambiato il tuo mestiere in questi anni?
“A livello tecnico è cambiato ovviamente con l’utilizzo massiccio del computer. Quindi il passaggio dall’analogico al digitale. Per poi tornare al giorno d’oggi dove si usano insieme oramai ambedue le tecnologie. Nel mio studio cablato con pro tools ho un mixer del 1975. I microfoni sono del ‘72. A causa dei budget sempre più bassi, se una volta il produttore era affiancato da un fonico e da un assistente fonico, adesso molte produzioni le seguo interamente io anche come fonico, dalla sala prove al mastering finale. Con il dissolvimento della vecchia industria discografica, nella filiera della produzione musicale il ruolo del produttore artistico ha resistito. Cioè serve ancora un professionista che sappia fare realizzare all’artista il suo prodotto sia tecnicamente sia artisticamente. Se una volta erano le case discografiche a ingaggiarmi ora sono le collaborazioni con gli artisti che mi permettono di essere pagato per quello che faccio”.
Come trovi gli artisti con cui lavori?
“A dire il vero sono loro che trovano me. Però devo dire che sono molto felice che alcune delle ultime cose che ho realizzato le ho fatte insieme a artisti conosciuti grazie a “Sonda” (e anche noi ne siamo felici N.d.R.). Un giorno mentre registravo il cd di un artista di nome Megahertz, è entrato in studio un suo conoscente, uno strano ragazzo, curioso e volenteroso di conoscermi, sarebbe diventato Bob Rifo aka Bloody Beetroots. I Motel Connection mi telefonarono”.
Cosa ti deve colpire al primo ascolto?
“La volontà di esistere”.
Le nuove tecnologie (social network, MP3, ecc.) aiutano l’artista? Se sì, come credi che debbano essere utilizzate?
“In generale aiutano l’artista tanto quanto aiutano tutti noi. Sono degli strumenti che ci mettono in contatto con il mondo e questo da un punto di vista anche professionale è utile. Dal punto di vista artistico è uno strumento ancora poco utilizzato a livello creativo. Se però si pensa che grazie a internet possano uscire nuove star musicali siamo parecchio lontani”.
Come vedi il futuro della musica (in generale) e di quella registrata (nello specifico)?
“La musica in generale come suono e suono prodotto dall’uomo non ha bisogno di futuro, fa parte di noi e della nostra natura e sempre ci accompagnerà. Se si parla di musica commerciata, stiamo vivendo un momento abbastanza stagnante. Rimane il fatto che registrare musica è una cosa entusiasmante, quasi magica. Ma che la musica possa ancora veicolare energia fresca ho qualche dubbio”.
Che cosa deve spingere una persona a fare musica? Tu perché hai deciso di iniziare?
“Io ho iniziato perché da piccolo ho visto alcuni concerti che mi entusiasmarono e mi fecero sentire che succedeva qualcosa suonando. Come dicevo prima la musica è parte della nostra natura, e ci sta che qualcuno di noi trovi un suo modo creativo ed espressivo suonando”.
Ha senso pubblicare un supporto discografico (anche sottoforma di file) in questo periodo storico?
“Ha senso per i collezionisti di vinili (il vinile) e per i banchetti dei concerti (il cd). In generale è proprio la parola “pubblicare” che ha cambiato significato pratico, no?”.
Che cosa deve trasmettere una canzone?
“Quello che l’ascoltatore ritrova di sé, e da lì portarlo da qualche parte”.
Un tempo l’esigenza di fare musica sembrava legata a un bisogno interiore dell’artista, oggi sembra più legato all’aspetto “figo” del fare musica e all’eventuale successo.
“L’aspetto “figo” del fare musica è sottolineato anche dalle musiche di tanti gruppi, molto più attenti a sembrare qualcosa piuttosto che a cercare qualcosa. Il successo per come lo intendi tu a mio parere non esiste più, anche “l’essere famoso” ha cambiato abbastanza valore. Rispetto al “bisogno interiore”, ogni musica ha una funzione: se devo far ballare, faccio musica che è una danza e se la gente balla vuole dire che l’ho fatta bene, ma questo è creare qualcosa con uno scopo pratico, non per soddisfare una necessità interiore”.
Perché il mercato discografico si è così contratto negli anni? La colpa di chi è?
“Napster? 🙂 In generale il mercato è sempre tale, solo che non è più discografico. I soldi li fanno/hanno i produttori di hardware. L’ultimo disco degli U2 “distribuito” e “regalato” da Apple mi sembra un ottimo riassunto”.
Per scrivere una hit esiste una formula magica?
“Non credo. Secondo Casadei ha scritto “Romagna mia” che è la canzone italiana con più introiti SIAE nel mondo. L’aveva chiamata “Casetta mia” ed era una canzone come le altre, per lui”.
Nato a Bologna nel 1961, inizia a 16 anni a suonare fondando il Confusional Quartet, gruppo storico della “new wave italiana”. Dopo quell’esperienza inizia a lavorare a progetti di musica contemporanea (uno su tutti il lavoro di ricerca sulla voce umana, che coinvolge le voci di Carmelo Bene, Kathy Berberian e Demetrio Stratos) e di musica leggera (con Lucio Dalla, Gianni Morandi, Angela Baraldi, Bracco di Graci, Gianna Nannini). Produce poi Motel Connection, Maccaroni Circus, il primo lavoro di Bob Rifo, collabora con diversi top dj e cura remix per artisti come Morgan, Jovanotti, The Simple Minds, Raiz, Subsonica. Ha collaborato, infine, come arrangiatore per lo Zecchino d’Oro e ha scritto colonne sonore per il cinema, la tv e la radio. Oltre all’attività con il Confusional Quartet, continua oggi il lavoro di produttore musicale nel suo studio.
I Live di Sonda visti da voi: May Gray
MAY GRAY
Off 19/12/2014 – main guest Go!Zilla
Prima volta sul palco dell’OFF per i May Gray, formazione rock concittadina del locale live modenese, ritrovatisi ad aprire le danze per i fiorentini Go!Zilla in un neanche troppo freddo giovedì di dicembre. “L’OFF per noi è una sorta di seconda casa”, racconta il frontman Paolo Rossi, “L’abbiamo visto nascere, evolversi e affermarsi, e lo frequentiamo spesso durante il weekend. Per noi è stata comunque la prima volta, speriamo di una lunga serie”. Una serata che si è rivelata nel complesso positiva per il quartetto, a prescindere dall’affluenza di pubblico: “Si trattava di un giovedì sera e non si può pretendere lo stesso pubblico del weekend, ma i nostri amici e quelli che ci vogliono bene sono venuti, ci hanno sostenuto e per noi è già tanto”. Un risultato ottenuto, confessa Paolo, unendo le forze con i gestori del locale per promuovere il più possibile la serata, riuscitissima nonostante le due band non fossero propriamente in linea come sonorità, più pop e classic rock americane per i May Gray e più psichedeliche per il power duo Go!Zilla. “Sinceramente li avevamo soltanto sentiti nominare, ma sono stati una piacevolissima scoperta. Ora siamo in contatto con loro, li seguiamo sui social ed averli conosciuti è stato un modo per confrontarci, raccontarci le nostre esperienze e discutere su come gira il mondo della musica dal vivo, in Italia e non solo”. Una possibilità di confronto, offerta da Sonda, a cui altrimenti sarebbe difficile poter accedere, e a cui — parole del Rossi – “un gruppo emergente non può che prendere parte; è gratuita, ti dà visibilità, organizza incontri con gente esperta nel settore, permette alle band iscritte di esibirsi. Non so in quante altre regioni italiane esista qualcosa di simile”. Proprio da Sonda è nata anche la collaborazione tra i May Gray e il produttore Marco Bertoni, con la cui produzione artistica la band sta per pubblicare il suo primo disco.
Le scelte dei valutatori: Marco Bertoni
Marco Bertoni
“Nel corso di questa bella avventura che è SONDA ho avuto il piacere di incontrare e di poter “valutare” parecchi artisti, bands, progetti. Come produttore musicale ho avuto anche la sorte di produrre due compilations con alcuni degli artisti che hanno seguito l’iter di SONDA, che hanno cioè provato a seguire le indicazioni dei valutatori e hanno percorso un tratto di strada insieme a SONDA, crescendo e tentando di evolversi per provare a comunicare il loro prodotto. SONDA è un progetto nato con l’intento di aiutare a sviluppare l’aspetto artistico ed espressivo dei giovani artisti in un momento prima del mercato; mi piace qui scrivere di alcuni soggetti che questo passo l’hanno compiuto un poco più lungo e che stanno tentando di proporsi proprio a quel mercato (per lo più indipendente) che è l’inizio vero e proprio di una qualsiasi avventura. Premessa: parlare oggi di mercato equivale a fotografare un momento dove all’artista è richiesta una forte dose di autarchia e relative abilità a darsi da fare per procurarsi produttore, ufficio stampa, concerti, e iniziare un percorso che, se funziona, può incontrare durante la crescita partners come editori, discografici e agenzie di booking… Che arrivano quando le cose già girano e che le faranno girare ancora di più.”
MILA SERVE AI TAVOLI
Dopo alcuni incontri al Centro Musica e la produzione one shot in un giorno solo di studio per la prima compilation di SONDA, la band mi chiede di collaborare per produrre nuovi brani. è forte la sensazione che serve un aiuto per tentare di realizzare quanto è emerso durante gli incontri a SONDA.
Analizziamo insieme il progetto, evidenziando i punti forti e i punti da cambiare. Iniziamo un duro e lungo lavoro in sala prove. I ragazzi suonano, io prendo appunti e facciamo tanti tentativi di cambiamento di strutture e di soluzioni musicali diverse da quelle solitamente svolte dalla band. Piano piano crescono dei pezzi nuovi, dal vivo la band sente che i pezzi nuovi hanno più potenziale comunicativo di quelli vecchi. Si entra in studio, si registra… Molto bene. Adesso il gruppo ha acquisito un’altra prospettiva sia di scrittura musicale sia di immagine; l’aspetto che rimane da elaborare e su cui lavorare per crescere ancora sono i testi: cosa cantare in italiano se sei una band con una potente frontwoman? I loro brani cominciano ad essere presi in considerazione dagli “addetti ai lavori”.
Voce potente dell’Emilia con il coraggio della melodia della canzone italiana.
DELIO TROPEANO
Delio mi ha contattato dopo gli incontri con i valutatori che ogni anno si tengono al Centro Musica di Modena perché aveva necessità di realizzare una demo. Mi ha da subito colpito la sua voce e la sua scrittura musicale. Quando Delio ha deciso di autoprodursi un album, mi ha chiesto di collaborare. Ha uno stile moderno che non tralascia l’importanza del contenuto dei testi, politicamente e socialmente impegnati. Il suo stile e la sua giovane età lo rendono partecipe di una scena che non è gestita dalle etichette indipendenti, ma che dovrà trovare il suo naturale sbocco presso le major. Per questo motivo è dura mettere fuori la testa, nonostante i notevoli apprezzamenti sul lavoro. Delio con alcuni amici ha prodotto un video che è stato un piccolo caso su YouTube. Anche lui è sulla ripida strada dell’autarchia, dove se non ti muovi nessuno si muove, ma è sorretto da una classe e da un talento sicuri. In questo caso il lavoro suo era già chiaro e “maturo”, si è trattato solo di rendere con la produzione quello che l’artista aveva già in testa.
MIRCO MAZZACANI
Mirco è un cantautore con grosse potenzialità comunicative. Abbiamo lavorato veramente molto per scolpire e selezionare dal suo vasto repertorio una possibile immagine di artista e di musicista coerente con un mondo da raccontare. Abbiamo scoperto che Mirco è il figliolo di Gaber e di Jannacci, e che nelle foto viene bene con il cappello. Ho prodotto e arrangiato e registrato alcune sue canzoni e grazie a un ufficio stampa c’è già stata una certa esposizione radiofonica… Ma anche Mirco è un prodotto popolare, pertanto le sue strade sono la televisione o una etichetta major, e per questo è difficile partire e salire subito: ci vuole costanza, impegno, fede e continuare a scrivere canzoni belle. Mirco ha delle nuove belle canzoni. Tante storie, (citando solo di passaggio altre collaborazioni come quelle con il Collettivo Ginsberg o The Villains), tanti percorsi che vedono, come sempre, lo sforzo e la passione dei musicisti che lavorano e ridono e soffrono e discutono.
SONDA ha attraversato i loro sentieri dando un bell’apporto.
Marco Bertoni Nato a Bologna nel 1961, inizia a 16 anni a suonare fondando il Confusional Quartet, gruppo storico della “new wave italiana”. Dopo quell'esperienza inizia a lavorare a progetti di musica contemporanea (unosu tutti il lavoro di ricerca sulla voce umana, che coinvolge le voci di Carmelo Bene, Kathy Berberian e Demetrio Stratos) e di musica leggera (con Lucio Dalla, Gianni Morandi, Angela Baraldi, Bracco di Graci, Gianna Nannini). Produce poi Motel Connection, Maccaroni Circus, il primo lavoro di Bob Rifo, collabora con diversi top dj e cura remix per artisti come Morgan, Jovanotti, The Simple Minds, Raiz, Subsonica. Ha collaborato, infine, come arrangiatore per lo Zecchino d’Oro e ha scritto colonne sonore per il cinema, la tv e la radio. Oltre all’attività con il Confusional Quartet, continua oggi il lavoro di produttore musicale nel suo studio.
I valutatori: intervista a Marco Bertoni
Nato a Bologna nel 1961, Marco Bertoni inizia a 16 anni a suonare fondando il Confusional Quartet, gruppo storico della “new wave ialiana”. Dopo quell’esperienza inizia a lavorare a progetti di musica contemporanea (uno su tutti il lavoro di ricerca sulla voce umana, che coinvolge le voci di Carmelo Bene, Kathy Berberian e Demetrio Stratos) e di musica leggera (con Lucio Dalla, Gianni Morandi, Angela Baraldi, Bracco di Graci, Gianna Nannini). Produce poi Motel Connection, Maccaroni Circus, il primo lavoro di Bob Rifo, collabora con diversi top dj e cura remix per artisti come Morgan, Jovanotti, The Simple Minds, Raiz, Subsonica. Ha collaborato, infine, come arrangiatore per lo Zecchino d’Oro e ha scritto colonne sonore per il cinema, la tv e la radio. Oltre all’attività con il Confusional Quartet, continua oggi il lavoro di produttore musicale nel suo studio.
Tu sei musicista e produttore. Come sei diventato produttore?
“A livello professionale grazie a Lucio Dalla, che propose a me e a Enrico Serotti (chitarrista dei Confusional Quartet) di produrre un album, “A piedi nudi”, per Angela Baraldi, di cui avevamo scritto tutte le musiche. Nel ruolo di produttore si ‘scivola’ un po’ per forza data l’esperienza che l’età accumula e un po’ per caso, ritrovandosi adatti nel ruolo sia psicologicamente sia artisticamente. Io sono un produttore più artistico che ‘commerciale’, nel senso che tendo a soddisfare le esigenze dell’artista piuttosto che quelle del mercato cui si fa riferimento. Forse perché sono convinto che la sincerità e l’energia, alla lunga, siano le uniche cose importanti”.
Quali sono le caratteristiche che deve avere un produttore per svolgere al meglio il suo lavoro?
“Unitamente a conoscenze di elementi di grammatica musicale e armonia, credo che il produttore debba conciliare conoscenze tecniche nel campo della fisica sonora con conoscenze umane, perché deve avere a che fare con persone tanto diverse tra loro. è un’interfaccia tra chi crea e chi vende. Credo che debba avere delle antenne che fanno capire come e cosa fare per potenziare un lavoro, con il giusto distacco che il creatore non potrà mai avere”.
Com’è cambiato il ruolo del produttore nel corso degli anni?
“Credo poco, a parte la conoscenza delle nuove tecnologie digitali. In sostanza si tratta di aiutare l’artista a confezionare il suo lavoro in termini comunicativi. La crisi del settore ha portato oggi il produttore a rivestire spesso e volentieri anche il ruolo di fonico. Anzi a volte, adesso, si pensa che il produttore sia quella persona che ti mette a posto i microfoni e ti registra. Anni fa il mio lavoro si svolgeva con il fonico che seguiva le mie indicazioni e l’aiuto fonico, un ragazzo che stava imparando. Ora, invece, avviene molto in solitaria, ma devo dire che non mi dispiace seguire i progetti che produco fino al mastering, che solitamente faccio personalmente. è comunque indispensabile per il mio modo di lavorare che l’artista mi affianchi durante i missaggi, per avere un feedback continuo”.
E’ plausibile pensare che la musica possa ancora inventare qualcosa di nuovo nel 2012?
“Io sono un musicista e sento che la risposta è sì. La musica è comunque l’arte più antica e magica e il fatto che noi la pensiamo legata alla comunicazione e/o a un mercato, è una breve parentesi storica. La mia immagine della musica è: seduti in una strada polverosa di un Paese del nordafrica a sbattere dei sassi”.
Cosa ti spinge a lavorare con un artista piuttosto che con un altro?
“Solitamente, in questo periodo storico, i ragazzi mi fanno sentire dei provini, o m’invitano in sala prove. Se sento che posso dare qualcosa in termini di messa a fuoco e di crescita, mi metto in gioco e accetto la richiesta di collaborazione”.
Che cosa pensi di Sonda?
“Ottima cosa. Ottimo progetto e fa godere che sia finanziato dalle istituzioni. Con gli anni ho capito che tanto possono fare le istituzioni per la musica in termini di crescita sia culturale sia professionale. Sonda è un ottimo esempio di questo. Poter incontrare i giovani musicisti e parlare del loro lavoro (riconoscendolo come tale, un lavoro) è una bella cosa. Se ci fossero più iniziative come questa (nel territorio nazionale) le istituzioni almeno potrebbero pareggiare il diabolico cortocircuito cui da un po’ di anni stiamo assistendo: la tv (pagata dalla pubblicità) lancia degli artisti (non musicali, televisivi) e alcuni di questi raggiungono, grazie a questa forte esposizione mediatica, una certa notorietà, questa notorietà gli fa fare decine di serate nelle piazze pagati dalle amministrazioni pubbliche come attrazione artistica ‘popolare’. Asfissiante no? O per meglio dire, se c’è solo ciò, è una fotografia sfocata che comunque rende ancora più profondo il solco tra la musica ‘leggera’ e quella ‘alternativa’. In Italia il crossover è una chimera”.
Sonda ti ha “dato” qualcosa in questi anni di collaborazione?
“Certo, mi ha dato la necessità di chiarirmi alcuni passaggi per poi poter parlare ai ragazzi, mi ha dato la possibilità di mettere a frutto la mia esperienza per dare tantissimi consigli ai progetti che ho valutato. Ho avuto anche il piacere di ‘saltare la barricata’ e di trovarmi, dopo qualche anno di tutoraggio, dei ragazzi in studio a registrare il loro primo lavoro!”.
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