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I pensieri dei valutatori: Marco Bertoni

Penso (e spero) che il mio lavoro di produttore dopo la pandemia non cambierà.
Già da anni, soprattutto quando mi viene chiesto solo di mixare o masterizzare dei brani, si fa un intenso lavoro a distanza grazie alla rete, (spedendosi files, lavorando a medesime
produzioni da studi differenti grazie a clouds).
Ma il mio vero lavoro, cioè produrre un progetto sin dalle prime fasi di lavorazione, spesso dalla sala prove, poi in studio, prevede assolutamente il contatto umano, psichico, di discussione, di creazione, con gli artisti con cui collaboro.
Produrre, fare musica, creare fisicamente insieme qualcosa che poi si possa comunicare e possibilmente vendere e suonare dal vivo, fa parte integralmente del mio modo di lavorare e credo che sia la parte magica, dove dall’unione di persone diverse escono a volte in tempo reale momenti irripetibili che il produttore deve essere pronto a registrare.
L’alchimia dell’energia prevede la compresenza fisica.
Mi riesce molto difficile immaginare il mio lavoro unicamente svolto a distanza, o per lo meno se provo ad immaginarlo così, lo vedo molto meno interessante meno emozionante e meno efficace.
Alla mia attività, dopo il lockdown, si è tolto il freno a mano e sono potuti ripartire tutti i progetti che avevo in lavorazione. Rispetto alle cose nuove vediamo cosa succederà, è ancora troppo presto per valutare cosa si fermerà e per quanto tempo, in termini lavorativi ed economici.
A mio parere il ruolo del produttore e dello studio di registrazione come “factory” creativa e non solo tecnica rimane un anello ancora saldo nella filiera musicale. Il punto è il mondo che ci circonda, se ancora è in grado di consumare musica, soprattutto rispetto ai concerti e spettacoli live.
Durante la pandemia il mondo della musica, cinema, teatro, ecc… si è rivelato essere concepito come un passatempo e non come qualcosa di economicamente rilevante.
Siamo un paese piccolo, che muove numeri piccoli.
La ‘industria’ musicale italiana è un comparto di dimensioni economicamente ridotte.
Da un punto di vista macroeconomico il mondo dello spettacolo e della musica non può che essere visto se non come entertainment. La funzione industriale di ciò che facciamo o che tentiamo di fare è quella: intrattenere. Il core si sposta più sui providers che non sulle stars. La quantità a livello planetario scalza l’ipotesi (l’utopia?) di qualità a livello locale.
A mio parere l’aspetto veramente importante sul quale si dovrebbe fare leva dovrebbe essere quello culturale e quello artistico, prima di quello economico.
Qualcosa di virtuoso si potrebbe mettere in moto se ci fosse questa visione e la conseguente volontà politica di dare importanza e supporto. Non un sostegno tout court, ma una tutela delle arti tutte, alte e basse, non più viste come solo intrattenimento.
Se allarghiamo la visione del comparto prendendo in esame anche la valenza culturale e quindi sociale, ecco che le responsabilità politiche vanno ben oltre il conteggio del valore economico, ma diventano un perno su cui si gioca la possibilità di esprimersi e di creare e, quindi anche di lavorare e di produrre (nel senso economico).
Bisogna pur dirlo che in alcune circostanze il mondo della musica non è e mai sarà autosufficiente.
Ad esempio per quanto riguarda i giovani che iniziano a suonare o per quanto riguarda la musica di ricerca e sperimentale.
Sarebbe bello vivere in una società dove sia stabilito politicamente che si devono sostenere ambiti creativi ed artistici a prescindere, che siano comunque al di fuori di ciò che è entertainment.
Durante il lockdown centinaia di ragazzi e ragazze si sono messi con chitarra o piano davanti al telefono e hanno condiviso la loro canzone. Mi pare più interessante l’atto di questa generazione di esordienti che non il materiale scritto e prodotto.
Questo è forse più sociologia che non musica, certamente non mercato musicale.
Ricordando che i soldi li facevano i gestori di telefonia, li facevano i giganti del web, ricordando che in un attimo i sentimenti e gli slogan della pandemia sono stati fagocitati dagli spot pubblicitari, musicalmente ci ricorderemo forse di un giovane chitarrista che suona Morricone su Piazza Navona deserta, non di molto altro.