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I pensieri dei valutatori: Roberti Trinci

Nuovi negozi di dischi stanno aprendo un po’ dovunque. Il vinile è tornato ad essere un supporto amato ed acquistato. Ai concerti si registrano sold-out ad un ritmo vertiginoso, mentre i talent e il Festival di Sanremo macinano share da capogiro. Sono segnali di una ripresa o di una imminente apocalisse? Ecco cosa ne pensano i valutatori di Sonda.

Dal mercato ci arrivano dati contrastanti (il continuo calo del cd e del download, la crescita di streaming e vinile) che comunque certificano se non altro che il fondo ormai era stato toccato. Oltre a chiarire che pagare per avere ESATTAMENTE quello che si può avere gratis (il download) non è mai stata una grande idea.

La musica continua dunque ad essere un consumo importante nel mercato culturale, soprattutto quello giovanile ma non solo (dato che le generazioni nate dagli anni cinquanta in poi non smettono di consumare musica una volta diventati adulti, come facevano invece le generazioni precedenti) e semplicemente è l’acquisto di musica che se non è giustificato dalla bellezza dell’oggetto (il disco di vinile, i packaging particolari) non è più una abitudine.

La musica la si ascolta (radio, youtube, spotify), non la si compra.

La resistenza (anzi la crescita) del live è la prova che il bisogno di musica non solo non è calato ma anzi è addirittura cresciuto.

Va poi detto che, in particolare in Italia, i nuovi consumi musicali e il successo di nuovi macrogeneri identificati (in modo scorretto ma chiaro) come musica indie e musica trap (senza scordare l’annuale ricambio di prodotti post-talent) ha molto rafforzato il target più giovanile che fino a qualche anno fa sembrava praticamente sparito dai radar delle case discografiche.

Sono gli adolescenti e i pre-adolescenti ormai il nocciolo duro del consumo in streaming . Basta guardare le classifiche di vendita streaming-oriented per rendersene conto con la TOP10 continuamente occupata militarmente da nomi che non dicono assolutamente niente agli over-30.

Altra caratteristica peculiare del mercato italiano è la nettissima preferenza per gli artisti nazionali, preferenza che a questi livelli non si riscontra in nessun altro paese europeo con spesso 8 o 9 titoli nazionali ad occupare i primi 10 posti.

Come ha reagito l’industria musicale (non parlerei più semplicemente di industria discografica dato che i numeri di settori come quello del live, quello editoriale o quello del merchandising sono ormai altrettanto importanti) a questa sorta di “rimbalzo” che ha fermato una crisi che sembrava irreversibile? D’altra parte quando il prodotto che tu vendi improvvisamente può essere ottenuto gratuitamente era difficile mantenere l’ottimismo.

La reazione è stata quella di puntare da una parte sul bell’oggetto (per un pubblico più maturo). La musica si può avere gratis ma non un oggetto da collezione capace di testimoniare il tuo gusto e la tua storia e di “arredare” la casa.

Dall’altra parte la reazione è stata molto più prosaicamente di “arrendersi” al pubblico giovane inseguendo le passioni momentanee dei talent o le nuove risposte generazionali alla musica dei genitori (che nel frattempo è diventata rock e new wave) fatte di trap e indie. L’ addetto ai lavori (di nuovo, la parola “discografico” ormai è limitativa) ormai non prova più ad imporre i suoi gusti (se mai l’ha fatto) ma insegue in modo quasi disperato tutte le nuove correnti che arrivano dal basso.

Si potrebbe dire che l’ha sempre fatto ma c’è una novità importante. Fino ad un decennio fa erano i ventenni o al massimo i 15/16enni a dettare il mercato e il discografico o l’editore medio (immaturo per costituzione) non aveva problemi ad interpretarne i desideri. Adesso i trendsetter sono bambini di 9/10 anni (non sto scherzando, andate ad un qualsiasi firmacopie dei nuovi idoli) e capirete che per l’addetto ai lavori trentenne o quarantenne (ben che vada) il gioco si fa un bel po’ più difficile e direi scivoloso.

Il potere quindi passa totalmente al pubblico e ai musicisti che ne sanno interpretare i gusti con un lavoro spesso solo “notarile” dell’addetto ai lavori che, certificato l’impatto di un artista sul pubblico, cerca di appropriarsene spesso strapagandolo e senza una reale comprensione né della specificità né della durata del fenomeno in questione.

Diciamo, per sintetizzare, che per gli artisti e per il pubblico la situazione sta migliorando. Per l’addetto ai lavori resta sempre (molto) complicata.