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I pensieri dei valutatori: Marcello Balestra

Se nella tua vita sei diventato un produttore, musicista, direttore artistico, editore, discografico, talent scout, manager qual è stata la tua formazione musicale negli anni dell’adolescenza?
Una semplice domanda che nasconde una profonda risposta. Scopriamo insieme cosa ascoltavano e cosa leggevano i valutatori di Sonda.

Mi affido solo all’anima vera di musica e artisti
Quando ero ragazzino e incontravo qualcuno per la prima volta, una delle prime domande reciproche era: “Ma tu che musica ascolti?” Era la fine degli anni 70, ma così anche negli anni 80 e primi 90, anni nei quali si dava per scontato che la musica si ascoltasse con attenzione, come la lettura di libri o la visione di film d’essai. E in effetti era così, la musica era l’argomento per conoscersi e per partire ad elencare gli ultimi dischi comprati, le cassettine registrate dalla radio e i concerti vissuti. Ci si scambiava la musica, prestandosi vinili sperando di riaverli indietro in buono stato. Ricordo che si parlava ore ed ore di ogni genere e specie musicale, senza esporre trofei o scoperte, ma parlando di emozioni e della qualità di canzoni, di artisti e di musicisti. Oggi se non ascolti musica sei considerato come minimo un retrogrado, un pirla, ma se devi dire cosa ascolti diventi in un attimo la Treccani delle sigle, dei nomi, di canzoni orfane di album, ossia di singoli e singoli che sono come zattere per artisti in mezzo all’oceano della musica globale.
Poi fatto l’elenco di sigle e di nomi della musica di oggi, ti accorgi che nessuno approfondisce, nessuno dà un valore emozionale ai brani o agli artisti, tutto perché le stesse piattaforme di streaming ci portano a sentire di tutto senza sosta e senza chiederci altro, se non di seguirli all’infinito, nel loro algoritmo ipnotico, amico e trappola. Una volta il mondo era “finito”, ossia aveva confini e c’erano le aree protette, dove si faceva musica, dove si viveva in musica, dalla cantina allo stadio, ma tutto questo ricordare a cosa serve? L’oggi si racconta con l’oggi, mentre l’altro ieri a mio parere si racconta con gli artisti e le canzoni che sono arrivati fino ad oggi, nonostante l’oggi. Ed ecco che se ti incontro oggi e siamo negli anni 70 ti rispondo che ascolto le canzoni facili come “Ramaya” e “Yuppi du” ma anche Beatles, Stones, Deep Purple, Ac/Dc, Queen, Pink Floyd, Carosone, Dalla, De Gregori, Daniele, Battiato, Bennato, Janis Joplin, Genesis, ossia tutta la musica che si ascoltava in casa Balestra e dintorni, ma ti direi che le mie canzoni preferite erano quelle orecchiabili, quelle che canticchiavo e fischiettavo.
Poi a cavallo degli anni 80 ti direi della passione per il cantautorato italiano, per Dylan, Peter Gabriel, U2, Dire Straits, Prince, Neil Young, Brian Eno, che hanno preso il sopravvento, ma sempre e principalmente per le loro canzoni o musiche più facili. Poi nell’83 nelle vesti di improbabile dj estivo ho preso gusto per la dance fine 70 e inizio anni 80, impazzivo per il funky e poi per la musica di Michael Jackson. Da lì ho iniziato a scegliere e a infilarmi anche in brani secondari, in quelli che devono dire qualcosa anche senza essere tanto pop o top. Salvo eccezioni ho sempre amato più le canzoni che gli artisti, credendo che un racconto vale più del narratore, anche se il narratore fa la differenza con il suo stile e lo riconosci in eterno tra milioni.
Quindi “mi sono fatto juke box” di migliaia di brani senza sposare album, salvo alcuni album che ho vissuto e consumato completamente ancora prima di iniziare a lavorare con Lucio Dalla e sono: “Foxtrot” dei Genesis, “Purple rain” e seguenti di Prince, “Off the wall” e seguenti di Michael Jackson, e “So” di Peter Gabriel, “Terra mia” di Pino Daniele, “Ci vuole orecchio” di Enzo Jannacci, “Zenyatta Mondatta” dei Police, “Making movies” dei Dire Straits, “Come è profondo il mare”, “Lucio Dalla”, “Dalla” e “Qdisc” di Dalla, tutti gli album di Mike Oldfield e dei Pink Floyd. Poi iniziando a lavorare nella musica a metà anni 80 ho approfondito la mia attenzione verso il repertorio italiano, sia pop che alternativo. Leggevo ogni rivista musicale e ascoltavo tutte le radio, ma non ho mai colto una tendenza o una linea editoriale, il mio interesse era per l’ascolto di canzoni e artisti. Ho assistito a concerti di ogni genere, ma quello che mi ha cambiato la vita e che ricordo con gioia e memoria palpitante è quello di Prince del 1987 a Milano. Da quel concerto che vidi insieme a Dalla, capii tante cose. La musica che ascolti è tutta utile alla crescita umana ed eventualmente professionale, ma le persone capaci di farti entrare nelle canzoni e nella musica che stanno vivendo, nel mood trascinante e definitivo dell’estasi che stanno provando e che puoi vivere attraverso la musica suonata e cantata con l’anima e il genio talentuoso che gli è stato donato, sono le uniche per le quali ho nel tempo capito e deciso che vale la pena di essere fan o discepolo. Da quel momento avendo a fianco, anzi essendo io a fianco di un mostro sacro come Dalla non facevo certo fatica ad accettare la straordinarietà del suo genio artistico, a subirne il carisma, come quello dei veri grandi della musica mondiale. Il problema era distinguere tra la bellezza e qualità tecnica del miglior repertorio di successo nazionale ed internazionale e la visceralità e la verità di canzoni e artisti di ogni genere e paese.
Anche a causa dell’avvicinarsi al successo di tanti artisti mediamente veri (mio parere), ho deciso di seguire solo le “persone” che facevano capire al pubblico il loro bisogno irrinunciabile di utilizzare le canzoni per raccontarsi per quello che erano, nonostante il business chiedesse loro di mantenere un livello di bellezza commerciale superiore alla verità da raccontare. Questo spiega la mia mancata vicinanza ad artisti intransigenti e puristi, alla ricerca dell’espressione dell’arte assoluta, ma spiega anche il mio amore assoluto per le persone-artisti che utilizzano o hanno utilizzato il linguaggio musicale, testuale, vocale, viscerale, fisico, emotivo, melodico ed umano per far arrivare al pubblico ciò che erano o sono veramente, utilizzando il mezzo musica o canzone per esprimere la loro costante e inarrestabile umanità, densa di tensioni e di intuizioni captate con le antenne di chi è collegato all’universo, ai segnali che arrivano a chi è in ascolto e quindi non solo per esigenze di status, di mercato e di popolarità. In fondo sono sempre stato il fan di nessuno, se non umile ascoltatore di musica e canzoni di chi ha le sembianze di donatore di umanità, di energia, di umiltà e di estro espressi per bisogno e per natura, ad ogni concerto e in ogni momento della loro esistenza. Sì, per lavoro ho ovviamente prodotto anche tanto pop di artisti “normali”, ma un conto è innamorarsi, altra cosa è scegliere per il pubblico, del quale per fortuna faccio parte e grazie a questo sono riuscito a parlare di musica con tutto il pubblico del mondo. Ho comunque imparato ad ascoltare fino all’ultima traccia di tutti, senza avere preferenze o pregiudizi, con l’ambizione di lasciarmi sorprendere dalla normalità e dalla genialità musicale comprensibile a tutti e non quella per pochi eletti in grado di decifrare codici e mondi musicali segreti.

Buona verità musicale a tutti.