Un disco strumentale ed è meglio chiarirlo subito per evitare fraintendimenti di sorta. Sei brani supervisionati da Nicola Manzan che ha suggerito al trio di Ravenna di suonare in presa diretta, lasciando eventuali “sporchi”, che diventano così anche una cifra stilista. Ne è venuto fuori un disco dove la mancanza delle parole non si avverte, sostituite da sciabolate della chitarra, o dalla caduta di massi sottoforma di basso e batteria. Un album in cui è bello immergersi con la voglia di andare sempre più a fondo e vedere dove possiamo arrivare. Un disco di post-rock che deve qualcosa ai Mogwai o ai Sigur Ros, tanto per citare un paio di riferimenti ma che ampia l’orizzonte con psichedelia, alt-rock e ambient. Un album che risulta immediato nella sua non immediatezza, un disco che gratta la superficie e scopre che sotto c’è qualcosa. Una sorpresa. Un qualche cosa da scoprire. Bello brutto che sia, sarà comunque una novità da guardare con curiosità. Uniche voci nel brano Overblues, ma sono un tappeto sonoro, un quarto elemento sonoro alla pari degli strumenti.
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