MAX CASALI: Secondo… a nessuno!
Non è certo un novellino, nel mondo della musica, Max Casali: promoter, cantautore, speaker radiofonico, pioniere della break dance italiana, e rapper sotto le pseudonimo Mister Ooze, con un album prodotto da Gazebo nel 1990. Ma questa è un’altra storia, un’altra vita rispetto a quello che il cantautore di Reggio Emilia ci propone in questo nuovo album “Secondo… a nessuno!”: un pop cantautorale italiano ben fatto, permeato di ironia (già nel gioco di parole del titolo), che affronta nei suoi testi le tematiche più disparate, da riflessioni sociali alla politica fino ai rapporti umani, sempre con un piglio leggero e a volte sognante che ricorda a tratti i primi lavori di Samuele Bersani. A curare gli arrangiamenti un ospite d’eccezione come Valerio Carboni, già collaboratore di Morandi, Tatangelo, Fragola e degli Stadio per ‘Un giorno mi dirai’, brano vincitore dello scorso Festival di Sanremo. Un album che presenta Casali come un autore maturo, anche se vocalmente non del tutto a fuoco.
(Autoprodotto) CD
CADORI: An/Ya/Ma
L’ultima volta che abbiamo parlato di Cadori su queste pagine era appena lo scorso anno, per il suo primo e omonimo full lenght risalente al 2014, e nel frattempo Giacomo Giunchedi (questo il suo vero nome) ha messo insieme un mini-album “Il Demo Degli Alberi Fuori Fuoco” (2015) e sta per pubblicare su Labellascheggia Dischi il suo secondo album “Non puoi prendertela con la notte”. Quindi tanta roba. Ed è proprio durante le lavorazioni del suo prossimo album che Cadori ha registrato, in casa, i tre brani che compongono questo brevissimo “An/Ya/Ma”. Un EP brevissimo ma assolutamente intenso, che lascia intravedere quello che ci possiamo aspettare dal disco in arrivo, oltre a riconfermare che Giacomo è davvero bravo a mischiare pop elettronico (‘Tutte quelle cose tra voi’, cantautorato lo-fi (‘Gli Amanti’), chitarre folk e fingerpicking (‘Blu’), riuscendo alla fine a fare l’unica cosa che conta, al di là dei gusti: risultare originale. Perché alla fine, se senti Cadori lo riconosci, e sai cosa stai ascoltando, e non è una cosa da poco.
(Autoprodotto) Digitale
BEGGARS ON HIGHWAY: Onion Eaters
I Beggars On Highway sono di Parma. Il titolo del loro primo album, “Onion eaters”, è nato dal semplice fatto che nel frigorifero della casa che hanno affittato durante le sedute di registrazioni, c’erano solo cipolle e birra. Così immaginando l’alito un poco pesante dei nostri Beggars ci siamo gettati nell’ascolto. Nel disco ci siamo imbattuti in nove tracce, per circa quaranta minuti di rock tirato e sudato, dove un pizzico di punk spunta qua e là. Chitarre lanciate contro i padiglioni auricolari degli ascoltatori, cantato da rincorrere con la propria voce e tanta voglia di divertirsi. Con i Beggars il rock diventa roll, mentre gli anni 70 sono sinonimo di hard e il metal sembra non voler abbandonare il luogo del delitto. Nei testi usano tonnellate di ironia che di tanto in tanto scende dallo sgabello per dirci che certe situazioni (calcio, tv, religione) non funzionano proprio per niente. In “Onion eaters” non c’è lo spazio per annoiarsi, all’inizio si sale su un treno in corsa e alla fine si scende lanciandosi dalla locomotiva pronta a schiantarsi in stazione. I Beggars On Highway non hanno la pretesa di inventare il nuovo suono del millennio, perché per loro bastano cipolle e birra in frigo.
(Raw Lines/New Model Label) CD
Intervista doppia: Emidio Clementi e Jonathan Clancy
EMIDIO CLEMENTI
Emidio Clementi è da sempre la voce e il basso dei Massimo Volume. Un’esperienza artistica che negli anni 90 ha dato al panorama del rock italiano una nuova spinta propulsiva. Da quel periodo i Massimo Volume ne sono usciti decisamente vincitori, continuando a sfornare dischi e progetti. Emidio non si è mai adagiato sugli allori, prendendo di volta in volta nuove sembianze, da scrittore ai Sorge (ultima creatura musicale). Parlare con lui è sempre un piacere.
Ti ricordi il giorno in cui hai deciso di suonare pensando magari di farla diventare una vera e propria occupazione a tempo pieno?
“No, non c’è un giorno preciso nel quale ho pensato che suonare sarebbe diventata la mia professione. All’inizio era una situazione a livello amatoriale, poi mi sono reso conto che suonare, andare in studio e provare, riempiva le mie giornate ed ho capito che stava diventando la mia vita. Non c’è mai stata una voce che dentro di me mi diceva che sarei diventato un musicista, piuttosto sono state una serie di circostanze e di momenti che l’hanno fatto succedere”.
Quindi a un certo punto hai pensato che tutta la tua vita sarebbe ruotata attorno alla musica.
“Il mio non è un lavoro fino in fondo. Riesco a vivere di musica nel momento in cui esce un disco e faccio concerti. Per esempio, in questo momento che stiamo scrivendo il nuovo album, devo trovare altre soluzioni per guadagnare da vivere. Il mio è sempre stato un lavoro temporaneo. Insieme alla musica ho sempre fatto anche altro”.
Perché sei arrivato a Bologna?
“Sono giunto a Bologna perché c’ero già stato un paio di volte per vedere dei concerti e avevo un paio di amici che vivevano in città e per me era il centro del mondo che nel 1985 potevo raggiungere. C’era una scena, mi piaceva molto come città ed era viva. È vero che c’erano anche New York, Berlino o Londra ma per me era decisamente più difficoltoso raggiungerle e viverci. Bologna era quello che volevo e quello che cercavo”.
Quando ti sei stabilito in città sei rimasto contento della tua scelta?
“Ho avuto un periodo piuttosto lungo d’ambientamento. Dopo circa un anno dal mio arrivo avevo già il mio giro di amici e cominciavo a sentirmi a mio agio”.
In questi anni Bologna com’è cambiata?
“Innanzitutto sono cambiato io, quindi il mio sguardo nei confronti di Bologna è cambiato di conseguenza. Non posso fare un paragone sulle diversità rispetto al passato. Ogni città vive delle stagioni in cui si percepisce più energia rispetto ad altri momenti e questo è un mio pensiero abbastanza fatalista. Bologna, comunque, rimane una città molto vivace, io non la cambierei con Milano o Roma perché alla fine non credo che queste metropoli diano più opportunità”.
Quando hai letto la prima recensione del demotape dei Massimo Volume cosa hai provato?
“Esattamente non me lo ricordo. Se ci penso mi viene in mente l’emozione di leggere qualcosa sul lavoro che avevamo fatto. Leggere una opinione esterna sui nostri brani ci ha fatto sentire più adulti”.
Una band è costruita sui rapporti personali di ogni componente che a volte possono sfociare nell’amore o nell’odio. Come si sopravvive a una band?
“Non lo so’ proprio. L’altro giorno stavamo provando e a un certo punto, tra un pezzo e l’altro, ho detto che è quasi contro natura stare insieme per 25 anni, pensando che non ci riesce l’amore e non ci riescono le coppie. Alla fine, al di là di un grosso affetto che c’è tra di noi, credo che ognuno dei Massimo Volume ci tenga in maniera particolare a quello che facciamo e al nostro suono. Questo ci ha fatto superare i momenti di incomprensione che abbiamo avuto”.
Se pensi a “Stanze”, il vostro primo lp del 1993, cosa provi?
“Provo mille emozioni. È un disco che per alcuni versi sento distante, però rappresenta la mia e la nostra giovinezza. Ricordo una grande insicurezza e una grande presunzione. Da una parte, il fatto che non eravamo un gruppo di genere, ci rendeva particolare ma ci faceva sentire un poco isolati, quindi una sorta di insicurezza unita alla presunzione che pensavamo di cambiare la musica non solo in Italia ma nel mondo”.
Fermo restando che non essendo un gruppo di genere avete poi creato un genere.
“Sì è vero, anche noi abbiamo creato molti mostri”.
C’è un brano di cui vai particolarmente fiero?
“Non voglio essere presuntuoso, ci sono diversi brani cui sono particolarmente affezionato. Potrei dirti “Le nostre ore contate” da “Cattive abitudini”, una canzone che ogni volta che riascolto mi piace molto e credo che tutti quanti abbiamo lavorato per renderlo un brano speciale. Però, per le stesse ragioni, potrei anche dirti “Il primo Dio” da “Lungo i bordi” del 1995”.
Quindi ti succede di riascoltare i vostri dischi?
“Tutto insieme non così spesso, però un brano ogni tanto mi capita di sovente. Quando lavori a del nuovo materiale è utile capire se ci siamo lasciati qualcosa alle spalle, qualcosa che abbiamo dimenticato e che adesso potrebbe servire. È utile riascoltare il passato. Se i brani non li riascolti magari anche tu ti fai una idea basata sui luoghi comuni che è sbagliata. È un esercizio perfino gratificante, perché se penso a questi anni vedo sempre un grande momento di impasse in cui non riesco mai a trovare la frase giusta, mentre riascoltare i dischi e sfogliare i miei libri mi porta a pensare che in fondo qualcosa di buono l’ho fatto anch’io”.
Negli anni è cambiato il tuo metodo di scrittura?
“Difficile dirlo, forse c’è un pizzico in più di comprensione e di sentirsi meno isolati nel mondo, in un scrittura che rimane comunque drammatica. Negli anni avverto sempre meno disagio rispetto agli inizi”.
Ci si accorge quando un brano che può diventare un successo?
“Sì, quando lo riascolti tra una prova e l’altra. Per noi i brani che hanno funzionato di più sono stati proprio quelli che ognuno di noi, in solitudine, riascoltava prima ancora di finirli. Un campanello che ci diceva che quel pezzo avrebbe funzionato”.
Emidio Clementi è un musicista, scrittore, cantante, insomma diverse sfaccettature della stessa persona. Però alla fine tu chi sei?
“Credo di avere una certa sensibilità e poca tecnica. Penso di essere un artista che ha trasformato i suoi limiti in opportunità. Creando uno stile personale”.
Tu cosa ne pensi dei talent musicali?
Non ho niente contro i talent. Quest’anno che a X Factor c’era Manuel (Agnelli N.d.R.) l’ho anche visto con curiosità. Non credo che lo scopo di questi format sia quello di formare dei nuovi artisti. Mi sembra che alla fine i partecipanti siano un po’ abbandonati a se stessi. Forse per essere più sincero dovrebbe essere più spietato. Sbagli una nota, ti cade addosso un secchio di vernice”.
Tu faresti il giudice?
“No, non credo, non mi ci vedo in quel ruolo. Dovrei pensarci”.
Un tuo consiglio per chi oggi decide di cantare o suonare?
“Deve avere lo scopo di creare qualcosa che gli piaccia, senza preoccuparsi di chi ascolterà le sue canzoni. In pratica essere se stessi e originali. Ti accorgi sempre quando hai tra le mani qualcosa che può funzionare e che potrebbe avere un pubblico”.
Artisticamente parlando c’è una cosa che ti sei pentito di aver fatto?
“No, direi di no. Forse avrei riscritto dei pezzi e qualche disco è sicuramente meno riuscito di altri, però è giusto che in una carriera ci siano anche dei passi falsi, la rende più umana. Servono anche gli sbagli”.
Qual è il disco meno riuscito dei Massimo Volume?
“Credo che sia “Club privè”, perché le mie linee vocali non funzionano e perché cercavamo una strada che non era la nostra. Sentivamo l’esigenza di cambiare ma lo abbiamo fatto in maniera troppo impulsiva. Col senno di poi è stato anche un passo utile, perché abbiamo capito che c’erano sentieri che non dovevamo percorrere. Rimane comunque un disco incostante”.
JONATHAN CLANCY
Partiamo dall’inizio: cosa ti ha fatto avvicinare alla musica, come hai iniziato a suonare e cosa ti ha spinto a continuare?
Sono stato fortunato, in casa sin da piccolo giravano dischi di Marvin Gaye, Neil Young, Al Green, Louis Armstrong, David Bowie, Leon Russell e Van Morrison… Direi che è tutto partito da lì, grazie agli ascolti di mia mamma. Sin da subito ho provato un’attrazione fortissima per la musica, soprattutto a livello live, e così a 16 anni è partito il primo gruppo del liceo che poi son diventati i Settlefish. Sono spinto a suonare ancora dalle stesse cose che provavo da ragazzino, mi rende felice e tramite la musica posso viaggiare tantissimo non da “turista”.
Come vivi la scena bolognese, e quanto credi che questo abbia influenzato la tua musica? Quanto c’è del Canada e quanto di Emilia nella tua musica, secondo te?
Sicuramente gli anni dell’adolescenza in Canada hanno cementificato la mia passione per il rock: in quegli anni usciva il grunge, l’alternative americano… Bologna è stato però il punto di contatto con tutto quello che era underground, i concerti al vecchio Link, tutte le band viste al Covo, all’Atlantide, al TPO. Ho avuto la possibilità di vedere qualsiasi cosa e soprattutto saltare da un ambito all’altro.
Come è cambiato se è cambiato, il tuo rapporto con la musica prima della notorietà con Settlefish e A Classic Education? E come ha influenzato il tuo modo di lavorare come His Clancyness?
Non è cambiato in nessun modo. Ogni volta cerco, anzi cerchiamo visto che dipendo anche dalle altre persone della band, di fare qualcosa che sia il più possibile personale. Sicuramente crescendo lasci da parte molte influenze, le mastichi meglio, ti senti più sicuro di rischiare e fare qualcosa di diverso.
Con gli His Clancyness avete pubblicato da poco un nuovo LP “Isolation Culture”: qual è secondo te il maggiore passo avanti in questo album rispetto a “Vicious”, e come mai avete aspettato tanto tempo prima di fare un nuovo album?
Abbiamo aspettato tanto tempo semplicemente perché per due anni siamo stati costantemente in tour e difficilmente riusciamo a scrivere durante i concerti. Abbiamo bisogno di staccare completamente, trovare nuovi stimoli. Il nuovo disco penso sia molto diverso, soprattutto perché è l’unione di 4 persone, Giulia, Nico, Jacopo e Jonathan. Ci siamo influenzati a vicenda, abbiamo discusso sugli arrangiamenti e soprattutto suonato oltre 160 concerti assieme. Lo sento come un album più a fuoco, più denso.
Cosa ti ispira nello scrivere le tue canzoni, in generale? E quali sono state le tue maggiori ispirazioni per i brani di “Isolation Culture”?
Viaggiare, quasi sempre è quello il primo stimolo. Spesso guardando dal finestrino del furgone mi vengono in mente pezzi di testi, idee, riflessioni sulla serata prima… Isolation Culture nasce da lì, dalla banalissima osservazione di dove va a finire tutto il sapere che accumuliamo, tutte quelle nozioni che poi non condividiamo… Il vivere la cultura in maniera isolata e solitaria, condividere magari solo la parte banale e superficiale. Volevamo che fosse un disco senza pause, da immersione completa.
Sei riuscito a ottenere ottimi risultati proponendo un genere musicale e uno stile che sicuramente non è facile in Italia, anche perché in inglese. Quali pensi siano stati i tuoi punti di forza?
Sicuramente il fatto di aver viaggiato così tanto, e di aver visto tantissime situazioni diverse. Lavoriamo tantissimo, scartiamo tante cose e dobbiamo essere tutti molto convinti per pubblicare qualcosa. Forse anche il fatto di non guardare ai confini… Non ci interessa fare distinzione tra suonare a Catania, Monaco, Belgrado o Austin. Pensiamo siano tutti posti importanti e vogliamo che la nostra musica ci arrivi, per quanto possibile.
Dal momento che vivi da un po’ di tempo nella scena indipendente italiana: com’è la situazione? Migliore o peggiore di quando hai iniziato a suonare? Qual è lo “stato di salute” della musica indipendente in Italia?
In superficie, abbastanza “terribile”. Ai concerti va sempre meno gente e se ci va, è per le cose grosse, sicure, confortanti, in “italiano”, senza pensare troppo. Questo ha creato secondo me un divario gigantesco, il pubblico si è decisamente “assopito” e non ha troppa curiosità. Detto ciò, forse proprio in contrapposizione c’è una scena underground viva come non mai, gruppi e artisti che letteralmente spaccano e girano il mondo e hanno anche qualche piccolo riconoscimento fuori dai confini. Non ho mai ascoltato così tanta musica Italiana come nel 2016!
Con tutti i tuoi progetti hai sempre ottenuto buoni riscontri all’estero: quali differenze, nel bene o nel male, hai potuto vedere tra il modo di vivere la musica e la discografia dentro e fuori dall’Italia?
Non so… Potrei risponderti con tutte le banalità del caso, che spesso sono vere: “fuori è più facile”, “il pubblico è più caldo”, “si vendono più dischi”, “i promoter sono più attenti”, “ti senti trattato veramente come un musicista”. Però poi alla fine che senso ha? Io abito qua, in Italia, e comunque suono tantissimo e cerco costantemente di portare il mio contributo organizzando concerti, festival e via dicendo. Penso sia meglio fare delle cose in contrapposizione che lamentarsi. Non c’è quello che vorresti, prova in piccolo a crearlo.
Cosa ti colpisce quando ascolti una canzone che ti piace?
Sicuramente l’aspetto emotivo.
Qual è per te la tua canzone più bella, o a cui ti senti più legato, e quale la più brutta?
Al momento “Pale Fear”, dall’ultimo album. Più brutta… mmm… ce ne sono tante (eh eh)! Sicuramente alcune delle prime cose, non amo troppo risentire “Slash The Night” da Vicious ma agli altri nella band piace molto.
Un consiglio per un musicista emergente che vuole fare musica in Italia nel 2016?
Per quanto possibile fare qualcosa di personale, farsi veramente una analisi profonda… “sto facendo qualcosa che non è 100% uguale all’ennesima band di Brooklyn o Londra? Posso portare dentro la mia musica, anche se è un genere distante, qualcosa delle mie radici?”.
E un consiglio per un musicista che punta all’estero per far conoscere la propria musica?
Confrontarsi subito con realtà piccole fuori dal proprio paese, non pensare che la musica possa diventare un lavoro.
I live di Sonda visti da voi: Taste of Cindy
TASTE OF CINDY
Off 1/4/2016. Main guest Kutso
I Kutso suonano all’Off di Modena e la spalla si chiama Taste Of Cindy. Per la band modenese un debutto nel locale cittadino: “L’Off è un must delle serate con musica dal vivo in città e noi non avevamo ancora avuto l’occasione di calcare il palco del club”. Un’accoppiata (Kutso/Taste Of Cindy) che ha messo in luce le diversità e le uguaglianze dei due gruppi: “Avevamo visto l’esibizione dei Kutso al concerto del Primo Maggio a Roma nel 2015 e conoscevamo i loro esilaranti video. L’ironia dei loro testi è in linea con la nostra idea di musica”. L’atmosfera nel locale ha permesso alla band di esibirsi nel migliore dei modi: “I gestori del locale sono stati gentili e disponibili, come i Kutso, con i quali abbiamo avuto modo di scambiare qualche battuta divertente”. La musica dei Taste Of Cindy è riuscita a fare breccia tra il pubblico in sala: “Qualche nostro amico era venuto per sostenerci e ovviamente conosceva già le nostre canzoni, il resto del pubblico ci ha ascoltati con attenzione e considerando che non era all’Off per noi ci ha fatto molto piacere. Non è mai scontato per un gruppo d’apertura riuscire a coinvolgere il pubblico”. I Taste Of Cindy hanno espresso anche un giudizio lusinghiero sul progetto del Centro Musica di Modena: “Sonda è il passo indispensabile per qualsiasi musicista per uscire dalla cameretta. L’iscrizione gratuita, in particolare, è un miraggio in un mondo di servizi sempre più cari. Con Sonda abbiamo guadagnato un’intervista, concerti e soprattutto una professionalità non così facile da trovare”. In una serata dove tutto è andato per il meglio, un piccolo neo c’è sempre: “Il nostro nome non compariva sulla locandina della serata e questo ci dispiace perché una serata in apertura ai Kutso è qualcosa di cui andar fieri!”. Un ricordo che accompagnerà per sempre i Taste Of Cindy è legato al cantante dei Kutso: “Poco prima di salire sul palco, Matteo, il cantante, ci ha dato la carica dicendoci che non esistono concerti grandi o piccoli, perché non importa chi, o quanta gente hai davanti, fondamentalmente suoni per te stesso”. Taste Of Cindy all’Off, una serata di buona musica targata Sonda.
I live di Sonda visti da voi: Palco Numero Cinque
PALCO NUMERO CINQUE
Off 12/3/2016. Main guest Diaframma
Una serata di marzo, un locale di Modena, una band emergente di Bologna, una storica formazione fiorentina: queste le coordinate per un successo quasi assicurato, in pratica il live dei Diaframma all’Off di Modena, a cui hanno aperto i Palco Numero Cinque come gruppo di Sonda e vincitori della categoria rock del concorso regionale “La Musica Libera, Libera la Musica”. Raccontano i Palco Numero Cinque, al secolo Federico Cacciari, Massimo Piazzese, Federico Pazi, Manuel Dimba Monteiro e Claudio Cassani: “I Diaframma avevano uno storico già sentito, da qualcuno di noi proprio conosciuto, mentre da altri meno, ma crediamo che la nostra band e la loro non viaggino su binari stilistici distanti, anche se il ponte tra le nostre due sonorità forse non è così immediato come si potrebbe pensare, dato che insistiamo su attimi diversi della canzone e che i testi non toccano le stesse tematiche”. Un’esperienza positiva sia per l’accoglienza da parte dello staff locale, sia (e soprattutto) per la risposta del pubblico, fra cui il quintetto di Budrio ha fatto veri e propri proseliti: “Abbiamo incontrato un terzetto di amici modenesi, fan dei Diaframma, che da allora spesso vengono a sentirci anche lontano dalle loro terre. Quando nasce una fidelizzazione di questo tipo, chiamiamola così, è sempre un piacere unico, ti fa sentire sulla strada giusta, anche se in fondo, e forse per fortuna, in arte una strada vera e propria non esiste”. Avere la possibilità di portare in giro la propria musica, e portarsi a casa nuovo pubblico, è quello che Sonda cerca da sempre di ottene con i suoi live, un obiettivo raggiunto nel caso dei Palco Numero Cinque. “Crediamo che non esistano iniziative che permettano visibilità a una band emergente che possano non ritenersi importanti. Sonda ci ha permesso di ‘pestare’ le lande modenesi, il che non capita spesso, e quindi di esportare un po’ della nostra musica, che è fondamentalmente l’essenziale di cui ogni band ha bisogno”.
I live di Sonda visti da voi: One Glass Eye
ONE GLASS EYE
Dicembre 2016, puntata zero per SONDAcase
E’ una vecchia conoscenza di SONDA, Francesco Galavotti, chitarrista modenese che abbiamo già potuto conoscere con la sua band e che negli ultimi anni si presenta con il moniker One Glass Eye, progetto solista con un album all’attivo intitolato “Elasmotherium”. Della sua esperienza musicale ci racconta che “canto e suono la chitarra da quando avevo 12 anni. Il primo concerto è stato sul palco della scuola media, davanti ai miei compagni di classe, con la voce tremante e le mani sudate. Poi sono arrivate le prime band, tra cover e tentativi di brani originali. Ora, a 23 anni, suono con un gruppo che si chiama Cabrera, in cui urlo e mi sfogo dietro alla chitarra elettrica, mentre in veste di solista preferisco le melodie malinconiche e gli arpeggi nostalgici”. Questa volta però vi parliamo di One Glass Eye perché è stato il primo progetto musicale ad essere coinvolto nel nuovo format di SONDA intitolato SONDAcase, un’emanazione delle consuete interviste di SONDAinONDA che giò conoscerete, pensato come uno showcase live in cui lasciare maggiore spazio alla musica, davanti a un pubblico ristretto e selezionato. “Trovo che il format sia sicuramente un’iniziativa da portare avanti e alla quale partecipare, un altro bellissimo strumento offerto da SONDA per permettere agli artisti iscritti di esprimersi e ai modenesi di scoprire musica nuova tra gli spazi del Centro Musica. Sono stato molto soddisfatto del mio showcase, si è creato un ambiente intimo e confortevole che ha permesso a tutti di godere appieno dell’esperienza, in un clima rilassato e raccolto. Particolarmente emozionante per me è stata la presenza dei miei genitori, che nonostante abbiano assistito negli anni a parecchi miei concerti, non mancano mai di trasmettermi vibrazioni positive. Poi sul finale si è rotta una corda, ma sono cose che succedono”. I video di SONDAcase, sia quello di One Glass Eye che gli altri in arrivo a breve, sono disponibili sul sito di SONDA sul canale YouTube del Centro Musica di Modena.
I live di Sonda visti da voi: Malascena
MALASCENA
Locomotiv Club 28/10/2015. Main guest Bachi da Pietra
“Un progetto come Sonda è fondamentale per qualsiasi band emergente, è un aiuto anche a comprendere meglio certe dinamiche che ci sono nella musica in generale”: questa in sintesi l’esperienza con SONDA per i Malascena, trio rock italiano con all’attivo un EP autoprodotto e un album (“Indisposto”, uscito nel 2015), che ha avuto l’occasione di aprire il concerto dei Bachi da Pietra al Locomotiv Club, nella loro Bologna. “Una serata memorabile, il Locomotiv Club è un locale stupendo per sentire degli ottimi live. Ovviamente conoscevamo già i Bachi da Pietra, anzi per un gruppo emergente sarebbe un problema non conoscerli! Siamo stati molto contenti e onorati di poter condividere il palco con loro”. Un bilancio positivo per una serata minata forse solo dal tempo atmosferico, che in una fredda e piovosa serata di ottobre ha limitato inevitabilmente l’affluenza di pubblico nel locale di Via Serlio. Il trio formato da Tiziano Cicconetti (chitarra e voce), Alessandro Renzetti (basso) e Luca Ferriani (batteria) non era però alla prima esperienza con palchi importanti, avendo già aperto per artisti della scena indipendente italiana, come Pierpaolo Capovilla in occasione del tour per il suo album solista “Obtorto Collo”: un genere, quello dell’alternative rock, che calza a pennello su una band come i Malascena: “Per quanto riguarda lo stile sicuramente tra noi e i Bachi da Pietra ci sono delle affinità musicali, anche se di base le sonorità sono molto differenti, ma come è giusto che sia”. Una possibilità, quella offera da Sonda alle band iscritte tramite il proprio circuito di locali, che si riconferma tra le iniziative più apprezzate dai propri iscritti: “Già di suo Sonda è un progetto ben strutturato che di base funziona molto bene e da possibilità a tutti di farsi conoscere, quindi per ‘migliorare’ il progetto sarebbe bello lavorare ancora di più sul fronte dei concerti/aperture”. Non possiamo fare altro che raccogliere il consiglio dei Malascena, e farne tesoro.
I live di Sonda visti da voi: In Digo
IN DIGO
Diagonla Loft Club 30/3/2016. Main guest Exchampion
Exchampion (batterista tedesco riconducibile alla scena elettronica) si sarebbe esibito al Diagonal di Forlì. In Digo era il nome giusto, al momento giusto. Una serata con tonnellate di silicio e tanto sudore: “È stata la mia prima volta al Diagonal, un locale con uno stile molto bello e curato nei minimi dettagli, con un confortevole palco che domina la grande sala, le colonne e il lungo banco bar”. Un incontro tra diverse culture con un medesimo approccio nei confronti della musica: “Conoscevo le gesta artistiche di Exchampion e per me è stato grandioso poter aprire un suo concerto. Il suo livello professionale è decisamente alto ed io ho cercato nel mio repertorio i brani che meglio potevano dare corpo alla mia esibizione. Ho quindi scelto tre pezzi strumentali, mixando vari generi: elettronica, ambient e trip hop”. Un tedesco, un italiano, sembra l’inizio di una barzelletta, invece: “Sono riuscito ad avere un rapporto diretto con Exchampion che parla un inglese molto fluente e si è dimostrato una persona assai disponibile anche per l’aspetto tecnico della serata. I ragazzi del Diagonal sono stati dei veri signori, disponibili, accoglienti e simpatici. Non avevano ascoltato molto del mio materiale ma sono riusciti subito a tirar fuori un bel suono. Voto 10”. La platea del Diagonal ha dimostrato di apprezzare la musica che usciva dall’impianto: “Sono molto soddisfatto della risposta del pubblico. L’attenzione è rimasta alta per tutta la serata”. In Digo ha anche un’opinione sul progetto Sonda: “È un ottimo progetto per le band emergenti dell’Emilia-Romagna. Riesce a dare visibilità e opportunità a chi ci crede davvero in quello che fa. Se Sonda non ci fosse si perderebbe l’occasione di scoprire nuovi talenti e il nulla avanzerebbe inesorabilmente. Per migliorarlo penso a un’attività ancora più presente e a un headquarter per tutti i musicisti”. Un ricordo della serata fa capolino nella mente di In Digo: “Per Exchampion era la prima volta che si esibiva in Italia ed era un suo sogno farsi conoscere nel Belpaese, lo ama molto. Per me era la prima volta che mi esibivo in perfetta solitudine, in un locale e in una serata speciale. Ero molto teso. Questa situazione in comune non la scorderò mai”.
I live di Sonda visti da voi: Ferormoni
FERORMONI
Off 2/4/2016. Main guest Garbo
Per un personaggio cult degli anni 80, Garbo, ci voleva un progetto artistico particolare. I Ferormoni erano perfetti e sarebbe stato il loro debutto all’Off: “Per noi è stata una felice opportunità di esibirci su un bel palco e in una realtà musicale molto viva”. Con alcune stagioni di attività i Ferormoni non potevano non conoscere le gesta di Garbo: “Tommaso lo vide in concerto nel 1981 ai tempi di “A Berlino va bene”. Il fatto di poter aprire un suo concerto è stato per noi una cosa incredibile, quanto inaspettata. Per quanto riguarda l’analogia di stile, potremmo dire che in alcuni nostri brani, come “Armi di distrazione di massa”, si trovano sonorità e modo di cantare che possono ricordare lo stile di Garbo . Un po’ meno per altri versi, essendo il nostro un connubio tra lettura di testi e poesie con musica strutturata, ritornelli cantati con (e senza) parole”. Una perfetta atmosfera confermata dalle parole del duo: “Garbo e la sua band sono stati gentilissimi, confermando non solo il noto spessore artistico, ma anche un gran calore umano e una comunicativa intensa ed empatica, priva di quel caratteristico distacco che molti artisti (da noi conosciuti) in genere dimostrano. Garbo, durante il soundcheck ha detto: “Cerchiamo di finire, perché poi devono fare i suoni anche i ragazzi” dimostrando una sensibilità davvero non comune”. La tensione del live si avverte, invece, nel ricordo legato alla serata: “Erano circa le 22.30, l’Off era infarcito di musica pulsante e a minuti saremmo dovuti salire sul palco per aprire a un artista del calibro di Garbo. Dobbiamo ammettere che un po’ ci tremavano le gambe ed eravamo agitati! Ricordiamo le note di “Heart of glass” di Blondie, sparate dal DJ, che martellavano nelle orecchie e avevamo davanti nientemeno che Carlo Bertotti dei Delta V con il quale scambiammo due parole, per via dell’incontro di Sonda tenutosi nel pomeriggio in cui era presente assieme ad altri valutatori. Gli dicemmo, in modo divertito, che il nostro brano di apertura era proprio solo “piano e poesia”, il che – dopo Blondie e prima di Garbo – sarebbe stato una gran mazzata nelle parti basse del pubblico. Ricordo che si mise a ridere e ci disse “Beh, mentre vi presentate, ditelo!” e gli rispondemmo “E’ già tanto che riusciamo ad andare su, vista l’emozione, non diciamo nulla e tiriamo dritto!”. Per fortuna, poi, è andata meglio di ogni aspettativa”. Colpiti da Sonda, i Ferormoni affermano: “Crediamo che sia non solo importante ma indispensabile in questo clima attuale assai povero d’iniziative. Una band emergente ha bisogno di essere conosciuta, ma soprattutto di conoscersi, capire le proprie dimensioni, come migliorare e come vivere al meglio la creatività. E quanto sta facendo il Progetto Sonda, pensiamo sia uno dei modi migliori per sperimentare e suonare in contesti adatti la propria musica. Andate avanti così!”.