Autore e compositore, laureato in legge con una tesi sul Diritto d’autore. L’inizio della carriera di Marcello Balestra nell’industria musicale è legato a Lucio Dalla: Balestra è stato tour manager del cantautore bolognese nel periodo 86-88 poi nel tour mondiale Dalla-Morandi 88-89. Nello stesso anno diventa responsabile editoriale, artistico e legale dell’etichetta Pressing, sempre con Dalla, e delle Edizioni Assist. Fino al 2000 è docente universitario in Diritto d’autore e Discografia ESE, poi inizia a collaborare con la casa discografica CGD. Dal 2004 è in Warner Music Italia.
Tu rivesti il ruolo di A&R manager per la Warner Music. Come si diventa A&R di una multinazionale discografica?
“A mio parere non c’è un percorso standard per ricoprire questo ruolo. C’è chi ha fatto gavetta e chi ha imparato ricoprendone il ruolo anche per caso. La mia esperienza è stata varia ma sempre rivolta alla produzione di progetti artistici musicali e di ricerca sul repertorio. Occorre sicuramente essere immersi nella musica a 360° gradi, poiché l’A&R può e deve sviluppare progetti totalmente diversi tra loro, specie in una major”.
Quali sono le caratteristiche che deve avere un A&R per svolgere al meglio il suo lavoro?
“Un A&R manager deve avere il piacere, la curiosità, il bisogno, la voglia di ascoltare qualsiasi cosa gli sia proposta e poi con passione e determinazione, in base anche alle linee editoriali dell’azienda per cui opera, con serenità scegliere i progetti maturi per un pubblico che reputa potenzialmente pronto a capirli. Occorre anche tantissima umiltà e predisposizione all’arte altrui, senza quindi cercare di prevaricare artisti o produttori con la personale visione che si ha dei progetti, ma dando un contributo alla creatività già espressa”.
Come è cambiato il ruolo dell’A&R nel corso degli anni?
“Il ruolo è rimasto sempre legato alla progettualità e alle idee da sviluppare, oltre ai progetti obbligati da contratti, o da cadenze occasionali come il Festival di Sanremo. Da qualche anno l’A&R ha sempre più un ruolo trasversale e di ricerca anche in settori paralleli alla musica”.
Credi che si possa in qualche modo uscire dalla crisi che attanaglia la musica? Se sì, come?
“Cercando di non parlare solo del nostro settore ma di tutti i settori merceologici di beni ai quali si può rinunciare in momenti di crisi, direi che è possibile riconfigurare il ruolo della musica, specie per quella pop, e spostarlo da quasi sottofondo radiofonico a spazio culturale urbano. La musica può tornare protagonista e importante ad artisti e pubblico, soltanto allontanandosi dall’uso distratto che se n’è fatto negli ultimi anni, cercando invece di diventare un qualcosa da comunicare e non da somministrare: musica che serve a chi la ascolta e non a chi la produce. Solo guardando con più rispetto alla sensibilità di chi ascolta, si può trovare una soluzione diversa da quelle adottate fino ad ora, che assomigliano più alla vendita a peso che a quella di creatività emotiva”.
Nelle ultime stagioni i talent show hanno dato impulso al mercato discografico. è questa la strada da percorrere anche in futuro, o è stata una fortunata parentesi?
“Come previsto da tempo, anche il talent conferma il suo destino di programma tv che non riesce a sorprendere all’infinito. Il mercato è stato invaso da tanti nuovi nomi ma solo in pochi rimarranno. Ricordo che tre anni fa, quando cercai di porre l’attenzione sulle diverse intenzioni che ha un talent nei confronti di un partecipante, rispetto a quelle dello stesso partecipante, o di un eventuale produttore artistico e discografico, qualcuno disse che intanto coi talent si potevano far nascere nuovi talenti. Se pensiamo che i pochi giovani nuovi talenti sono il riassunto di centinaia di migliaia di partecipanti, c’è da riflettere sulle motivazioni prettamente televisive di un talent, ossia quelle giuste e primarie per chi fa televisione, di produrre uno show televisivo e non necessariamente di produrre talenti o costruire carriere. è sicuramente un bene che i talent abbiano dato a tanti giovani l’opportunità di imparare, migliorarsi e cimentarsi in programmi tv ma oggi rimangono spazi illusori”.
Cosa ti spinge a lavorare con un artista piuttosto che con un altro?
“Gli ingredienti di un artista sono tanti per capirli tutti al primo colpo e spesso ci si lascia coinvolgere dall’istinto più che da considerazioni tecniche. Aiuta molto la versatilità e la riconoscibilità oltre alla grande determinazione e all’intelligenza. Altri elementi fondamentali sono ovviamente lo stile, la scrittura e il modo di esprimere il tutto. Ultima cosa, comunque importante, è l’immagine, che deve essere coerente con ciò che esprime”.
Cosa ti aspetti dalla collaborazione con Sonda?
“Ogni volta che approccio nuovi spazi creativi, penso a nuove energie e a idee che s’incontrano. L’aspettativa è semplicemente questa, nella speranza di essere sorpreso da qualcosa di diverso, anche difficile da capire ma artisticamente e umanamente stimolante”.
Un tuo ricordo di Lucio Dalla.
“A Lucio devo tanto, lo ringrazierò sempre per avermi insegnato ad ascoltare e a dare!”.
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