Se state leggendo queste pagine quasi certamente siete musicisti, molto probabilmente giovani, con un progetto musicale avviato o ancora chiuso in sala prove. E sicuramente vi starete domandando: come faccio a farmi notare, a trovare un’etichetta, a portare la mia musica alle persone? In questo articolo cercheremo di fare un quadro della situazione attuale nella discografia, per cercare di capire quali sono ad oggi i suoi meccanismi e come muoversi al loro interno.
“Scovare un artista oggi è complesso, dato il numero esagerato di giovani in evidenza tra talent, rete e live”, ci racconta Marcello Balestra, “Ma specialmente per la tipologia diversa di artisti che si propongono per stile, lingua, linguaggio e potenzialità commerciali o comunicative”. In misura proporzionale alla moltiplicazione dei canali comunicativi e delle occasioni per farsi conoscere, è quindi aumentato anche il rumore di fondo: un ‘rovescio della medaglia’ che ha in parte annullato gli effetti positivi del vero e proprio bagno di musica in cui siamo immersi negli ultimi anni. A pensarci, infatti, prima dell’avvento dei vari talent show c’era molta meno musica nella televisione generalista. Il problema è che sono diventati gli unici interlocutori delle grandi major, in parte a causa della contrazione del mercato discografico e in parte per l’arretratezza culturale fisiologica del nostro Paese. Nelle parole di Roberto Trinci: “In altri paesi con una cultura musicale diversa, l’editore può essere il primo a lanciare una promozione sincronizzando un brano in una pubblicità o in un film. Se la cosa funziona salterà fuori un discografico che si interessa a quel brano, e da lì potrebbe nascere un contratto discografico e la relativa promozione. Purtroppo, invece, in Italia le case di produzione (televisive, cinematografiche e pubblicitarie) di solito chiedono hits o nomi già consolidati, per cui questa strada è molto difficile da percorrere”.
Quindi l’unica possibilità per promuovere un nuovo progetto è convincere un discografico a lavorarci sopra, sempre che l’artista in questione abbia già dei risultati alle spalle, una carriera già avviata. “Sono convinto che ormai le multinazionali discografiche abbiano ben poche possibilità di lanciare effettivamente un artista esordiente, se non passando da uno dei talent show in corso”, spiega sempre Roberto. “Le case discografiche ormai non investono più su artisti effettivamente esordienti, ma solo su artisti che abbiano saputo già trovarsi un pubblico, tramite un talent televisivo o tramite un’attività live di successo”. Insomma, in uno scenario in cui anche a detta di Balestra “non sono più le major a fare il mercato, ma a comprarsi i piccoli o medi attori sul mercato” per un emergente che vuole agganciare una casa discografica importante è indispensabile ‘farsi notare’ prima dal pubblico. Però non volendosi giocare la ‘carta’ del talent show, quali alternative rimangono? Quella di maggiore impatto è sicuramente il live, la gavetta ‘vecchia maniera’ insomma, anche secondo Roberto Trinci, per il quale il live è ad ora “l’unica vera promozione per un artista esordiente che non voglia passare da un talent. Lo provano esempi recenti come Dente, Brunori Sas, Lo Stato Sociale, Le Luci Centrale Elettrica: tutti artisti che sono diventati quello che sono da soli, senza che nemmeno un’etichetta indipendente ci abbia messo una lira, anzi molti si sono creati la propria etichetta”.
E allora le etichette e le major a cosa servono? O meglio, servono ancora? Meglio pensare a crearsi il proprio percorso senza attendere un ‘aiuto’ discografico, che può al limite ‘aiutare’ a fare un salto di livello in un secondo momento. “L’etichetta o la major hanno sicuramente un vantaggio in esperienza e nel gestire nel tempo il percorso di un artista. Vero è che se queste entità non si impegnano nel fare grandi sforzi per sostenere un progetto nuovo, tanto vale fare da sé, utilizzando i Social e il Web in modo organico, e credendoci molto di più di quanto un’etichetta possa fare” conferma Balestra, “Bisogna però cercare di capire l’entità del progetto che propone, la sua potenzialità reale, poi decidere di chi si può o si deve aver bisogno. Il potenziale del progetto non è facile da capire da soli, ma ci si può far aiutare da esperti del settore, che possono indirizzare il progetto con o senza etichetta”.
Se rimboccarsi le maniche e mettersi in proprio a questo punto non vi sembra più una cattiva idea, Internet diventerà per forza il vostro principale canale promozionale per un emergente: economico, massivo, accessibile. Il problema è che è ormai talmente saturo di musica, di nuovi artisti, di blog e webzine che parlano di musica, che farsi notare da un pubblico distratto come quello del Web al giorno d’oggi non è per niente facile. Anche a costo di regalare totalmente la propria musica per fare in modo che più gente possibile abbia modo di ascoltarla, e con la consapevolezza che comunque avere un ritorno economico dalla vendita (anche digitale) del proprio disco sia quasi impossibile.
“Ci troviamo nel bel mezzo di un momento epocale, di un netto cambiamento di modalità di consumo di musica e di tutte le attività che ruotano intorno ad esso” spiega Luca Fantacone. “Esattamente come quando iTunes cominciò a diventare importante in Italia, il modello di consumo e di business ora sta cambiando profondamente in favore dello streaming, e l’impatto che Spotify e i maggiori servizi di streaming hanno sul mercato sta cambiando le regole del gioco. Questo non vuol dire: ‘non si vendono più i CD’, ma ‘si consumerà sempre più musica in streaming’”. A fronte di un’opinione così entusiastica bisogna però dire che si vendono pochi dischi, e che si è ancora ben lontani dal poter ottenere un introito dallo streaming: “Spotify o YouTube (che indubbiamente sono i ‘posti’ dove effettivamente gira la musica oggi) sono purtroppo calibrati sui mercati internazionali, per cui un artista pop internazionale con milioni di visualizzazioni può avere un ritorno economico, ma non un artista locale di buona popolarità”. Questo secondo Roberto Trinci, per il quale “sarà senz’altro necessario ricalibrare nei prossimi anni il modello economico di queste imprese e i contratti che intercorrono tra i soggetti del mercato musicale per fare in modo che tutte le parti in causa (autori e interpreti, editori e discografici) possano vedere riconosciuto anche economicamente il successo del loro lavoro”.
Quindi, in conclusione, cosa ci rimane? Un quadro di un sistema frammentato, che sta ancora cercando un equilibrio economico e in cui è sempre più importante per un musicista, oltre a saper suonare e scrivere canzoni, anche saper fare (bene) tutto il resto: promuoversi, organizzare concerti, saper dialogare con i fan, crearsi un pubblico, un’immagine. Oppure mettersi in gioco in qualche talent televisivo. Tutto questo sempre tenendo a mente, ci sentiamo di dirlo, di rimanere sinceri e fedeli alla propria arte, senza inseguire le mode del momento: perché al di là della qualità artistica o del genere o del gusto, nulla colpisce di più che vedere un artista che si diverte nel suonare e crede in quello che fa.