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I pensieri dei valutatori: Luca Fantacone

Nuovi negozi di dischi stanno aprendo un po’ dovunque. Il vinile è tornato ad essere un supporto amato ed acquistato. Ai concerti si registrano sold-out ad un ritmo vertiginoso, mentre i talent e il Festival di Sanremo macinano share da capogiro. Sono segnali di una ripresa o di una imminente apocalisse? Ecco cosa ne pensano i valutatori di Sonda.

CAMBIARE A TEMPO DI MUSICA

Ho cominciato questo lavoro nel 1991, quando l’industria discografica produceva e vendeva essenzialmente formati fisici: CD, cassette, vinili. In Italia in particolar modo cassette, più ancora dei cd, come evidente conseguenza della “febbre” per i car stereo e i mega impianti “tamarri” per la macchina. Era tutto molto semplice: un solo formato (fisico), tre sole configurazioni, pochi media (stampa, TV, radio), un solo luogo di acquisizione della musica registrata (il negozio, specializzato o generalista che dir si voglia), un contesto principale di aggregazione intorno alla musica (il live, il tour) che si articolava in tour non frequenti come ora ma in un numero di music live club/pub molto maggiore di ora.

Anche vendere era molto semplice e rapido: il marketing era più basico, il pubblico molto più propenso ad acquistare musica e a dare valore alla musica sia come contenuto che oggetto da possedere, gli artisti mediamente molto più disponibili efficaci nella promozione, i media più aperti e pronti a “scommettere” sulla musica soprattutto quella nuova. Maggiore curiosità, entusiasmo, propensione al rischio, guasconeria, visionarietà, sia nella comunità artistica che nella discografia.

Già allora però stavano prendendo forma i presupposti di quella che sarebbe stata la celeberrima “rivoluzione digitale” di fine anni 90/inizio 2000 (tenete conto che l’Italia, come altri paesi, risente sempre di un certo ritardo fisiologico nell’accogliere e sviluppare correnti di cambiamento che in altri paesi nascono e quindi giungono a maturazione prima): i mega consumi di anni 80 e 90 cominciano a diminuire, i prezzi salgono, il vinile vacilla, il cd è sempre di più percepito come “un pezzo di plastica”…quindi compare il supporto digitale. L’mp3 e con lui Napster scardinano tutto il modello fino ad allora imperante.

Da quel momento in poi tutto il mondo della creazione, della produzione e della fruizione musicale subisce un’accelerazione verso una serie di cambiamenti sempre più frequenti, rapidi e profondi: iTunes, myspace, youtube, i cellulari, le suonerie, gli smartphone, i social e le loro stesse trasformazioni/acquisizioni/fusioni, i forum, le communities, i talent show, gli influencers, gli youtubers, etc.etc…fino al cambio più recente e, forse fino ad ora, più profondo: lo streaming come modalità principale di consumo della musica e il non possesso come alternativa definitiva al possesso prima fisico e poi digitale. Dal cd sulle mensole di casa, al file nell’hard disc all’accesso illimitato attraverso un micro concentrato di tecnologia portatile. Di conseguenza, la musica diventa più mobile, più diffusa, più replicabile, ma anche più piatta, più simile a se stessa e meno unica, mentre l’esperienza live, di riflesso, diventa quella realmente unica ed irripetibile.

Come in realtà è sempre stata, ma ora sempre di più.

Tutti questi cambiamenti ovviamente riflettono un profondo cambiamento della società, della cultura, nelle abitudini quotidiane, direttamente operato dall’enorme e indubitabile impatto della tecnologia nella nostra vita quotidiana: rispetto a 15/20 anni fa TUTTO è cambiato per tutti noi, e dato che la musica è una forma di espressione del vivere anch’essa è diversa ancor di più lo sarà.

E per tornare all’argomento di questo mio intervento, anche il lavoro sulla musica è cambiato, profondamente e inevitabilmente. Sono cambiati i modi, i tempi, i ruoli, le strutture, il mercato, il modo di interpretare gli effetti della musica, le modalità di produzione e comunicazione della musica, il suo consumo.

Chi come me lavora nella musica da tanto tempo ha cercato di capire queste continue rivoluzioni. E chi (come me) ha deciso che lavorare su, con e per la musica è un imperativo categorico, ha affrontato tutto ciò con la voglia e l’entusiasmo di cambiare continuamente, di mettersi in discussione sempre e comunque, e in ultima analisi di divertire e divertirsi.

Quindi: certamente il mio lavoro è cambiato, mille volte. E continuerà a farlo, senza sosta.

In particolare, lo streaming business model ha imposto regole e dinamiche che hanno fatto diventare il mio lavoro “un altro sport”, un’altra “disciplina”: strumenti di comunicazione e di analisi dei risultati che prima non esistevano, una produzione musicale eccezionalmente più affollata che in passato, cicli di vita di un progetto molto più rapidi, carriere molto più brevi, “progetti” che sempre più spesso sono singole tracce.

In questo momento storico si assiste ad un mercato ormai decisamente in crescita grazie all’esplosione dello streaming business, ad un mercato fisico in calo (come sempre nell’ultimo decennio) mitigato però da un consolidamento progressivo del mercato dei vinili (che però rimangono una nicchia) e da un calo molto più marcato e rapido del download, destinato probabilmente a morire. Il CD è spesso diventato un “feticcio”, il supporto da comprare perché poi “me lo faccio firmare dal mio artista preferito”.

Si è anche accentuata progressivamente la “normalità” della musica: sia per una omologazione produttiva a volte difficile da sopportare, ma anche perché la musica contemporanea scorre in un flusso infinito senza spesso realmente incidere nella vita della gente. Innanzitutto acquisire la musica non implica più una scelta e un gesto precisi (scelgo questo disco, esco di casa e vado a comprarmelo) mentre le uniche due esperienze realmente irripetibili sono appunto il concerto e il meet n greet (l’incontro con l’artista) in tutte le sue forme (dai meet n greet pagati a caro prezzo insieme al biglietto del concerto ai cosiddetti “firmacopie”).

Come conseguenza di questa “normalità”, la produzione e l’acquisto di “edizioni speciali” è ormai più che consolidato: il pubblico cerca qualcosa di unico anche nel supporto, laddove soprattutto l’adesione ad un artista è totale.

Come potete capire, questo è un contesto a volte disorientante, molto differente da quanto affrontavo 27 anni fa quando iniziai a lavorare, ma al tempo stesso estremamente eccitante a mio parere, perché ti sfida, ti costringe a non smettere mai di imparare e anche a ridefinire o a contraddire quello che avevi imparato anche pochi mesi prima. Faticoso certo, ma volete mettere quanto noioso sarebbe stato lavorare per quasi 30 anni allo stesso modo?

E poi: gli scenari cambiano certo, ma alcuni elementi di base rimangono gli stessi: quando la musica parla un linguaggio chiaro e forte (soprattutto se unico e diverso da tutto il resto) trova sempre un pubblico pronto a scommetterci. E in un contesto come quello attuale dove il pubblico ha tutta la musica che vuole a disposizione, è più probabile che il pubblico stesso si impossessi della musica che in quel momento lo conquista, senza dover aspettare che i media tradizionali o altri intermediari gliela propongano.

Perché la musica è come l’acqua, trova sempre la sua via.