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I pensieri dei valutatori: Gabriele Minelli

Nuovi negozi di dischi stanno aprendo un po’ dovunque. Il vinile è tornato ad essere un supporto amato ed acquistato. Ai concerti si registrano sold-out ad un ritmo vertiginoso, mentre i talent e il Festival di Sanremo macinano share da capogiro. Sono segnali di una ripresa o di una imminente apocalisse? Ecco cosa ne pensano i valutatori di Sonda.

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È davvero difficile sintetizzare in poche parole il momento di grande cambiamento che sta attraversando il business della musica, in Italia e nel mondo.

Gli ultimi due anni hanno sicuramente stravolto molte delle convinzioni, radicate da almeno un decennio, che costituivano l’ossatura del lavoro nel nostro settore: digitale e fisico che convivevano in parallelo, la ‘supremazia’ dell’album come formato rispetto al singolo, il fatto che gli artisti davvero da classifica fossero in realtà pochi e raramente frutto dell’exploit di un momento, e che i generi musicali più vicini al pubblico giovane fossero quasi intrinsecamente da ritenersi inadatti ai grandi numeri e al pubblico mainstream.

Oggi più che mai il ribaltamento è in atto: stiamo vivendo un’epoca di grande entropia, che sicuramente offre tante opportunità, sia agli artisti che agli operatori del settore. Al tempo stesso, però, bisognerà attendere il consolidamento di alcuni fattori, come per esempio la penetrazione dei player del digitale nei singoli mercati, per arrivare a una definizione migliore della situazione.

O semplicemente bisognerà abituarsi a uno stato di continuo movimento del mercato e dei suoi fattori, e valori: una condizione di perenne velocità nella quale i ruoli cruciali verranno ricoperti, presumibilmente, dai dispositivi sui quali si ascolterà la musica, e dal pubblico, dalle scelte del consumatore.

Come A&R siamo, in qualche maniera, il principio della filiera musicale. Non siamo certamente gli unici o i principali protagonisti, noi delle major. Ma il nostro lavoro resta quello di intercettare le tendenze e i talenti, con il massimo anticipo e la migliore visione, o previsione, possibile.

In questo senso il nostro approccio al mercato non è cambiato: il mutamento riguarda forse due elementi e cioè la verticalità dei generi e la predominanza, o meglio, l’importanza, dei singoli.

Se il secondo punto è sicuramente più evidente, con il primo mi riferisco al fatto che, nel momento in cui un artista comincia a generare numeri importanti, la tendenza è divenuta quella di “risalire la corrente” e andare a contattare tutti gli altri interpreti dello stesso genere musicale.

Una pratica, questa, in voga da sempre nel music biz: ma che, grazie appunto al digitale e al dominio dello streaming, ha assunto oggi forme e metodi piuttosto esacerbati.

È inevitabile che ci venga chiesto anche questo: firmare chi propone la musica più richiesta dal mercato, anche a costo di fallire.

A volte ci muoviamo direttamente, più spesso invece ci interfacciamo con chi sul territorio (e nelle cantine, nei locali, nelle camerette…) è più presente: piccole label, realtà locali, manager.

Lentamente le grandi etichette multinazionali operano meno come incubatori in grado di sviluppare un progetto da zero, e funzionano sempre di più come amplificatori di qualcosa che già sta accadendo: un improvviso successo, l’inizio di una carriera, l’esplosione di un genere.

In realtà il momento, a mio avviso, ci sta offrendo forse l’opportunità migliore degli ultimi anni, perlomeno in Italia.

La dinamicità del mercato ha infatti indebolito altri pattern promozionali più tradizionali, quali la necessità di conquistare le radio commerciali, o l’importanza di partire dall’album (fisico) per costruirsi un pubblico o una fanbase.

Per questo motivo tornano finalmente ad essere fondamentali due elementi, che hanno sempre rappresentato il mio personale mantra lavorativo quotidiano.

Le canzoni, e l’unicità dell’artista.

E, sinceramente, io ora mi sento davvero libero: in Virgin Records (una delle tre label di Universal Italia) stiamo sperimentando, osando e rischiando per costruire un roster di artisti diversi l’uno dall’altro.

Un caleidoscopio che sia lo specchio dei tempi e che incarni il DNA di un’etichetta da sempre eclettica, internazionale e visionaria.

Ovviamente cerchiamo sia i numeri, che di creare una scuderia completa dai nomi più importanti fino a quelli davvero emergenti. Ma le linee guida sono sempre di più quelle di costruire una diversità da cui possa scaturire la forza della nostra proposta, sia nel ventaglio degli stili che dal punto di vista della ricerca musicale ed estetica.

Credo perciò che questo sia l’insegnamento migliore e più importante che ho ricevuto da questo grande momento di cambiamento.

Come ho imparato dalle parole di un grande manager, è nella differenza che risiede la possibilità di essere vincenti.

Da ogni grande crisi nascono, si dice, grandi opportunità: e ciò che ora dobbiamo fare è saper cogliere questa possibilità e gettare i semi di quelle che, speriamo, possono essere le future luminose, e lunghe, carriere, dei prossimi grandi artisti della musica italiana.