Se nella tua vita sei diventato un produttore, musicista, direttore artistico, editore, discografico, talent scout, manager qual è stata la tua formazione musicale negli anni dell’adolescenza?
Una semplice domanda che nasconde una profonda risposta. Scopriamo insieme cosa ascoltavano e cosa leggevano i valutatori di Sonda.
Tutto è iniziato un po’ per caso, e come sempre la colpa è delle cattive compagnie. Se ho dedicato gran parte della mia vita alla musica lo devo a 3 persone specifiche: i miei cugini Paolo e Matteo Agostinelli e a Francesco Paolo Chielli che poi sarebbero diventati 3/5 degli Yuppie Flu. La band per il quale ho deciso di diventare un discografico. Sono le persone che più ho frequentato nella mia tarda adolescenza e sono quelle che mi hanno fatto scoprire il magico mondo dell’indie rock. Tutto è iniziato alla fine di una gita scolastica nel 1994. Raccattando la mia roba prima di scendere dal pullman, per errore ho preso una cassetta di Paolo che veniva in classe con me. Il giorno dopo, spingendo il tasto play del mio walkman mi si è aperto un mondo. Stavo ascoltando qualcosa che mi travolse, non avevo mai sentito nulla di così strano e cool allo stesso tempo. Chiamai subito Paolo che mi disse che quelli erano due dischi che gli aveva passato suo fratello: Transmissions from Satellite Heart dei Flaming Lips e “Crooked Rain Crooked Rain” dei Pavement.
Matteo era più grande di noi di 5 anni, aveva una marea di dischi ed era sempre stato super appassionato di musica. Francesco era il suo migliore amico, aveva un anno più di lui ed insieme suonavano in diversi progetti musicali. A quell’età, 5/6 anni di differenza sono un’enormità. Io e Paolo eravamo poco più che bambini e facevamo ancora le superiori. Matteo e Fra erano già grandi, si godevano la vita tra serate fuori, skateboard, concerti, ragazze e sbronze epiche. Spesso, però, ci trovavamo tutti e quattro nello stesso posto, ovvero nella casa dei miei cugini, dove io andavo per studiare con Paolo, Francesco per suonare e cazzeggiare con Matteo. Una marea di giornate passate insieme, in cui i più grandi ci hanno fatto scoprire gruppi come Sonic Youth, Pavement, Built to Spill, Beck, Nirvana o Pixies. Giornate in cui passavamo ore a guardare videocassette di Alternative Nation, programma di MTV che allora passava di notte sulle frequenze di TMC. Condotto dal mitico Toby, Alternative Nation trasmetteva i video e le interviste ai gruppi indie del momento. Li guardavamo e riguardavamo all’infinito.
Ma non solo, quando andavo a casa dei miei cugini leggevo avidamente le riviste musicali di Matteo. Ecco che così magicamente avevo la possibilità di ascoltare i dischi di mio cugino e allo stesso tempo di approfondire ed ampliare le mie conoscenze musicali grazie alle recensioni ed interviste di Arturo Compagnoni, Cesare Lorenzi e Federico Ferrari su Rumore. Quanti gruppi ho scoperto grazie a loro! Sempre attraverso Matteo ho scoperto Blow Up, che all’epoca ancora una fanzine in bianco e nero, distribuita solamente in qualche negozio di dischi. Si trattava di una vera bibbia per chi ascoltava un certo tipo di musica. Non c’era nulla di commerciale e le copertine erano davvero controcorrente con gruppi come Flaming Lips o Slint. Gli approfondimenti poi erano davvero incredibili, ricordo ancora gli articoli su etichette come Too Pure, sulla psichedelica inglese o sulla scena post rock. Internet non esisteva ancora e quegli articoli erano davvero una finestra unica sul la comunità indie internazionale. Quanti viaggi mentali mi sono fatto immaginando la vita di quegli artisti che amavo, grazie a Blow Up. Ero così affascinato da quel mondo che volevo assolutamente farne parte. Volevo conoscere quelle persone, volevo parlarci. E forse se poi ho fatto il percorso che fatto in ambito musicale, il merito è stato anche di quegli articoli.
Nel 1998 Matteo, Francesco ed io decidemmo di fondare un’etichetta discografica. Gli Yuppie Flu stavano per uscire con il loro secondo album. Avevano già una proposta interessante da parte della romana Flop Records, ma volevano seguire tutto il processo produttivo in prima persona. E visto che ero l’unico del gruppo di amici che non faceva parte della band, mi chiesero di occuparmene in prima persona. Venivamo da una piccola città come Ancona, e naturalmente non avevamo la minima idea di come funzionasse il mercato discografico. Ma eravamo abbastanza incoscienti da volerci provare. L’idea su come impostare l’etichetta me la diede un viaggio a Londra. Durante il soggiorno della capitale inglese passavo gran parte del nostro tempo nei negozi di dischi per cercare tutto quello di cui avevamo letto e che non era semplice trovare in Italia. Tornai a casa con un sacco di dischi, molti dei quali di bands (ed etichette) non inglesi: i tedeschi Blumfeld e Notwist, gli svedesi Komeda, gli spagnoli El Inquilino Comunista, gli svizzeri Sportsguitar. Mi piaceva un casino scoprire le scene “indie” dei paesi non anglofoni, ed ero affascinato dal fatto che quelle band erano riuscite ad arrivare nell’impenetrabile mercato britannico.
Ecco la nostra etichetta doveva avere due obiettivi: produrre gruppi italiani “esportabili” e ed avere appeal per gli indie-kids anche al di fuori del nostro paese.
Fu così che nacque Home Audioworks, che ben presto si trasformò in Homesleep, grazie all’ingresso di un nuovo socio: Giacomo Fiorenza. Gli anni dell’etichetta mi hanno permesso di viaggiare molto, soprattutto in tour con le nostre bands: centinaia di concerti in Italia ed all’estero con bands Yuppie Flu, Giardini Di Mirò, Fuck, Trumans Water. Tanto divertimento e tante storie da raccontare. Ma soprattutto la visione del mondo dei dei concerti dall’interno. Da li nacque l’idea di iniziare ad organizzare qualche concerto al Covo Club, i cui gestori dell’epoca erano amici. Iniziai con i release party dei gruppi di Homesleep, ben presto però l’appuntamento divenne mensile e le band che chiamavo erano soprattuto straniere, quasi sempre alcuni dei miei gruppi preferiti. Non ci volle molto tempo prima che i ragazzi del Covo mi chiedessero di entrare a far parte dell’organizzazione del locale. E dopo 15 anni sono ancora li.
Mai avrei sognato da ragazzino di lavorare gran parte della mia vita all’interno del mercato musicale. Certo, ho sempre amato la musica, ma non ho mai avuto velleità artistiche ed ho sempre sofferto un po’ la luce dei riflettori. Forse anche per questo alla fine ho sempre avuto dei ruoli “dietro le quinte”.
Ringrazierò sempre il destino per avermi fatto scambiare quella cassetta. E ringrazierò i miei amici di sempre per avermi fatto scoprire il magico mondo della musica indipendente. Dal caso è venuta fuori una vita che amo e che rivivrei esattamente nello stesso modo. Almeno per questi primi 42 anni.