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Il tuo pezzo e un produttore – Incontri 2024
Il Centro Musica ripropone gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri, rivolti principalmente e musicisti e gruppi musicali, sono aperti a tutti.
Si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; tutti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.
• sabato 2 marzo 2024, dalle 14.30 alle 18.30
Incontro con Carlo Bertotti (produttore, autore), Gabriele Minelli (A&R e marketing manager Virgin Music Italy); Roberto Trinci (responsabile artistico Edizioni SonyAtv-Emi).
• sabato 13 aprile 2024, dalle 14.30 alle 18.30
Incontro con Marco Bertoni (produttore, musicista), Luca Fantacone (catalogue director Sony Music); Nicola Manzan (produttore, musicista).
Gli incontri si terranno presso La Torre_71MusicHub – Via Morandi 71, Modena
I pensieri dei valutatori: Luca Fantacone
La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.
Ch-ch-ch-ch-changes
Turn and face the strange
(D.Bowie)
Quando ho ricevuto come di consueto la mail dove mi si chiedeva di scrivere un articolo per Musicplus su come il mondo della musica e della discografia fosse cambiato o potesse ancora cambiare a causa della pandemia, il lockdown era terminato, mentre nel momento in cui scrivo il mio “pezzo” ci risiamo: siamo tornati indietro anche se in realtà indietro non si tornerà più, realmente.
La musica e la sua naturale capacità di comunicare, coinvolgere e aggregare non cesseranno di esistere anche se in questo momento il concetto di “aggregazione” sembra molto lontano da noi. Certo è indispensabile pensare a nuovi modelli, nuovi scenari, nuove modalità di coinvolgimento del pubblico, di produzione, promozione, consumo della musica.
“Nulla sarà come prima”: questa frase mal cela la pretesa tutta umana che le cose, in generale, siano sempre più o meno uguali a se stesse, o meglio a ciò che conosciamo, che vogliamo che persista, a cui siamo abituati. Persino in un’epoca come quella attuale dove i cambiamenti (nel mondo della musica ma in realtà in tutti i “mondi”) mai sono stati tanto numerosi quanto sempre ed irrimediabilmente più rapidi. Se 5 o 6 anni fa ci si preparava per gestire dei cicli di cambiamento di 2/3 anni, ora anche solo 6 mesi possono essere abbastanza per vedere nascere e consolidarsi piattaforme, media, trend, fenomeni, comportamenti, modelli, che poi possono lasciare il posto ad altri in un continuo e inarrestabile domino.
Quindi “nulla sarà come prima”, ma la domanda è: “ma perché le cose non dovrebbero cambiare?”. Tutto cambia, mai come ora, semmai il punto è che l’emergenza Covid non ha fatto altro che accelerare drasticamente cambiamenti già in atto e imporne di nuovi.
Ora, da marzo ad oggi è stato letto, scritto, detto tutto e il contrario di tutto, in particolar modo sulla musica e i suoi protagonisti, legittimi o involontari.
Non voglio cadere nella trappola di scrivere sermoni o prediche su cosa di dovrebbe o meno, ma semplicemente provare a circoscrivere alcuni punti che possono corrispondere ad altrettanti spunti di conversazione e riflessioni fra noi e chiunque si interessi a questi temi. Ci provo:
La musica da sola non basta: era già chiaro ma ora è lampante. La maggior parte del pubblico non sceglie la musica in quanto tale, per il suo valore intrinseco, ma perché è connessa a qualcosa altro: qualcosa che si fa mentre si ascolta (cucinare, fare ginnastica ad esempio), uno strumento o tool che “porta” con sé la musica (un videogame, un contenuto video…), un momento “morto” che si riempie con un po’ di musica (andare in ufficio o a scuola), una spinta indotta dall’esterno (un mio amico sui social posta qualcosa che io riposto e condivido perché “voglio fare parte del club”…).
Bisogna capire come restituire alla musica un valore primario, che non vuol dire fare “accademia” e fuggire dalla musica per il grande pubblico, ma esattamente il contrario.
La maggior parte del consumo della musica avviene attraverso lo streaming, non meno dell’80% fino a oltre il 95% a seconda del paese in questione. Il Covid ha accelerato una transizione da fisico a digitale già in atto, e l’ha estremizzato portando il rapporto fisico(/digitale a 0/100 in tempi di lockdown, ma in ogni caso spostando ulteriormente il baricentro verso il fronte digitale.
Il vinile si è ripreso “quello che era suo”.
Rimane sempre una nicchia, cioè non cambia le sorti del business, ma indubbiamente si è consolidato sempre di più e chi acquista ancora in fisico è sempre più propenso ad andare sul vinile piuttosto che sul cd. Chi l’avrebbe mai detto qualche anno fa vero? A dimostrazione del fatto che tutto può succedere, molto può essere previsto, e in ogni caso bisogna sempre essere pronti a reagire a qualunque cambiamento.
Il business dei live è stato ovviamente colpito al cuore, ma l’esperienza live non morirà, cambierà anch’essa e va cambiata, totalmente ripensata, immaginata in contesti multipli e differenti. E questo ad opera non solo dei live promoter ma degli artisti stessi e delle persone che con loro collaborano ad costruire un mondo di immagini, visioni e sensazioni. Stiamo assistendo a diversi tentativi di riproporre “concerti” in streaming che però concerti non sono e non devono essere. Piuttosto chiamiamole “esperienze” basate sulla musica suonata dal vivo, a cui corrispondono creatività, modalità di fruizione e business differenti, alternativi (per il momento) alla classica esperienza live. E’ stimolante e interessantissimo partecipare proprio per vedere in tempo reale dove il mondo dell’entertainment sta andando e come.
Il mondo del lavoro sulla musica ancora non viene riconosciuto con il valore e la legittimità che ha e che non dovrebbe nemmeno “meritarsi”. Perché l’ha sempre avuta, sempre. Questo accade in Italia (e ahimè non è una novità) ma anche in paesi il cui pubblico, mercato, industria musicali da sempre sono più maturi e avanzati. Tutto cambia, dicevamo, e anche i professionisti della musica devono farlo, ma diciamo che se io cambio e nessuno nemmeno si accorge dei cambiamenti e non solo non li recepisce ma non li “vede” nemmeno…beh allora siamo proprio sula linea di partenza…non è facile ma vediamo il lato positivo: tutto questo casino può essere il punto di non ritorno, l’occasione estrema perché una serie di categorie che lavorano serissimamente e con dedizione estrema sulla musica vengano riconosciute come tali da parte di tutti, all’esterno del mondo della musica ma anche all’interno…
In estrema sintesi, ecco le due parole chiave che mi vengono immediatamente in mente se penso a quanto successo in questo 2020 dannatamente complicato e implacabile:
• la prima è CAMBIAMENTO, non solo più una scelta, ma una necessità e un imperativo, morale e professionale, per tutte le ragioni sopra esposte.
• la seconda è ATTESA: in un momento storico basato sull’ “impossibilità di attendere”, sull’ansia “da scelta immediata”, sul modello dell’ “on demand”, è diventato obbligatorio recuperare il concetto di attesa, di pausa (che peraltro in musica è più importante della nota, perché scandisce la metrica, quindi il ritmo….). Abbiamo dovuto e ancora dobbiamo aspettare prima di muoverci e uscire di casa, e dobbiamo ancora farlo interpretare i nuovi bisogni della gente, e quindi “incontrare” il pubblico e riconquistarlo.
Attendere non vuol dire essere lenti, perché la velocità di reazione è fondamentale. E’ un’occasione per saper usare meglio il tempo ma soprattutto per capire come tornare a dare il giusto valore alla musica anche in un’epoca in cui il suo stesso consumo è legato a dinamiche di “quantità nel minor tempo possibile”. Ma questo è un altro film il cui finale è ancora tutto da capire…
Incontri con i valutatori 2020
Il Centro Musica ripropone quest’anno gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; i partecipanti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.
Gli incontri 2020, nel rispetto delle normative igieniche legate all’emergenza Covid, avranno una modalità di accesso leggermente diversa.
Potranno partecipare al massimo 30 persone per ciascun incontro (di conseguenza chiediamo alle band di mandare un solo componente) registrandosi attraverso un modulo on line (il login dovrà essere effettuato con un account Google/Youtube/Gmail).
Unitamente ai dati occorrerà inviare il brano che verrà ascoltato durante l’incontro. In questo modo eviteremo il passaggio di cd, chiavette usb, ecc…
Coloro che si iscriveranno riceveranno l’eventuale conferma di partecipazione via email all’indirizzo indicato, compatibilmente con il numero di posti disponibili.
E’ richiesto a tutti i partecipanti di essere presenti dall’inizio dell’incontro alle ore 14.
Chiediamo di comunicarci tempestivamente eventuali rinunce in modo da consentire ad altri di partecipare
Gli incontri del 7 e 28 novembre sono stati entrambi rimandati come da disposizioni del DPCM del 24/10/2020 e verranno riprogrammati appena possibile.
SONDAinPILLOLE
Questo è il periodo in cui di solito si tengono i Sonda Camp, gli incontri con i valutatori.
L’emergenza sanitaria ci ha costretto a rimandarli quindi per rimanere in contatto, per riannodare i fili di Sonda che in questo periodo sono un po’ laschi, abbiamo fatto ai valutatori un paio di domande:
• come si sviluppa la giornata di un produttore (di un musicista, di un editore, di un discografico, di un direttore di live club…) in queste giornate di quarantena?
• come vedi il tuo lavoro – e il mondo della musica in generale – dopo questa epidemia?
Ecco le loro risposte.
SONDAinPILLOLE: Carlo Bertotti
SONDAinPILLOLE: Roberto Trinci
SONDAinPILLOLE: Nicola Manzan
SONDAinPILLOLE: Giampiero Bigazzi
SONDAinPILLOLE: Luca Fantacone
SONDAinPILLOLE: Marcello Balestra
SONDAinPILLOLE: Marco Bertoni
I pensieri dei valutatori: Luca Fantacone
Se nella tua vita sei diventato un produttore, musicista, direttore artistico, editore, discografico, talent scout, manager qual è stata la tua formazione musicale negli anni dell’adolescenza?
Una semplice domanda che nasconde una profonda risposta. Scopriamo insieme cosa ascoltavano e cosa leggevano i valutatori di Sonda.
L’inizio della mia formazione musicale ha un unico protagonista assoluto: mio fratello maggiore, che non solo ascoltava la classifica di Lelio Luttazzi in radio (Rai) e cominciò a segnalarmi le canzoni che gli piacevano quando io avevo più o meno 5 anni (lui ne ha 7 più di me, quindi ai tempi era nel meraviglioso bel mezzo dell’adolescenza), ma chiese per primo ai nostri genitori una tastiera giocattolo in regalo per Natale. E fu quindi subito copiato da meϑ. Un paio di anni dopo, avendo cominciato a comprare regolarmente dischi, inaugurò un’abitudine che si rivelò per noi fondamentale: tutti i giorni (tutti!), dopo pranzo, mi invitava a seguirlo in salotto dove mio padre teneva l’unico stereo di casa (l’immancabile Stereorama 2000 della “Selezione del Reader’s Digest”) per ascoltare insieme un disco. Che poi diventavano due o tre, per un paio d’ore di ascolto. Insieme, davanti alla copertina di un vinile di Genesis, Yes, Le Orme, King Crimson, Deep Purple…in quel modo la nostra formazione musicale si cementava giorno dopo giorno, insieme al nostro indissolubile rapporto. Quello che avevamo in comune era sempre e immancabilmente la musica, le musiche che ascoltavamo, quindi le note, gli strumenti, i testi, le copertine, le luci, i palchi..tutto quello che aveva a che fare con la musica suonata, esibita, registrata, venduta, comprata, vissuta da noi due giorno dopo giorno. Nessuna differenza fra di noi, nonostante 7 anni di differenza che quando uno ne ha 14 e l’altro 7 diventano un’eternità.
E per me tutto ciò era un’inesauribile fonte di apprendimento e conoscenza musicale: prima il prog (di cui sopra) poi alcuni cantautori italiani (pochissimi Dalla, Pino Daniele e Bennato fondamentalmente), poi Bowie, i Roxy Music e Brian Eno, poi l’hard rock (Deep Purple ancor prima dei Led Zeppelin, AC/DC), poi il metal anni ’80, Van Halen, Iron, Judas, Scorpions…poi i Police e un salto secco verso la new wave e la musica elettronica, saltando il punk che avrei ripreso poi un po’ più tardi: Simple Minds, Ultravox, Eurythmics, Talk Talk, John Foxx, Japan, Tears For Fears, e moltissimi altri. Poi la sensualità dark di The Cure, This Mortal Coil, Dead Can Dance, Siouxsie, sublimata ed elevata a malinconia romantica con David Sylvian e i suoi “confratelli”… mentre sulle loro personali corsie preferenziali sono sempre stati e sempre rimarranno Peter Gabriel (praticamente l’artista che ha traghettato il pubblico tradizionalmente prog verso la new wave prima e la sperimentazione al servizio delle canzoni pop poi) e gli U2, la band della mia tarda adolescenza e poi di tutti i momenti più importanti dei miei primi 30 anni.
Mio fratello scoprì ovviamente per primo la radio attraverso la nascita delle “radio libere”, quelle private che alla fine degli anni ’70 proliferarono in ogni città, cittadina e paese d’Italia. E le scoprì sia come ascoltatore che come improvvisato deejay di Radio Saronno International (International…??? ϑ ), che ovviamente io andavo a veder trasmettere la sera, scortandolo con sottobraccio i dischi che avrebbe trasmesso. La radio, a parte questo periodo, non è però mai stata importante nella mia formazione musicale fino a quando non ho cominciato a lavorare in discografia: l’ho così scoperta come fonte di musica, di intrattenimento, e come media capace di guidare con forza e rapidità i gusti del pubblico. Ho imparato ad apprezzarla e poi ad amarla, così come ho conosciuto generi, artisti, canzoni che non solo non conoscevo ma anche snobbavo stupidamente.
E poi i concerti: non appena ho avuto l’età che i miei ritenevano “ok” per poterci andare (15 anni…) non ne ho potuto più fare a meno. Ho sempre considerato l’andare ad un concerto come il privilegio di poter vedere qualcosa di irripetibile accadere ed espandersi di persona in persona fino a raggiungere l’ultimo spettatore nel club, o palazzetto o prato o stadio, e rimbalzare verso tutte le persone a cui poterlo raccontare (tempo fa a voce e il giorno dopo, ora prima possibile grazie ai social…). Ne ho sempre visti più possibile e letteralmente di ogni genere (i miei primi due furono, nell’ordine: Roberto Ciotti e i King Crimson…), anche prima di andarci anche per lavoro, e avendo anche cominciato a suonare molto presto non ne ho potuto più fare a meno anche per poter capire di più di un palco, di uno strumento, di un impianto, e dell’essere artista quando si riesce a raggiungere un pubblico che si spera aumenti sempre di più e che vuole stare di fronte a te sotto il palco per un’unica ragione: stare bene, anzi benissimo, con la musica che sta ascoltando in quel preciso momento.
Dall’inizio degli anni ’90 in poi, la mia formazione musicale (la cui storia ho tentato qui di riassumere scrivendo di getto, così come mi è tornata alla mente: un flusso ininterrotto di input, emozioni, assimilazione e crescita continua) è stata invece fortemente influenzata dal mio lavoro, ossia dalla possibilità (cercata con estrema ostinazione fino a quel momento) di fare della musica non solo una costante quotidiana (già lo era) ma addirittura la propria occupazione, quello che fai tutto il giorno e tutti i giorni. Il mio lavoro ha inevitabilmente ampliato enormemente la mia conoscenza musicale e ha reso insaziabile la mia curiosità verso tutte le musiche che non conoscevo, in parte o per nulla. Ho conosciuto bene il rap ad esempio, ho soprattutto imparato a capirlo. Ho sviluppato il mio amore per le “pop songs” senza avere paura della stupida fobia del “commerciale” che esiste solo ed esclusivamente in un paese cialtrone come l’Italia (che si ricorda dei nostri giganteschi autori e cantautori solo quando “bisogna” commemorarli” su Fbook, e non perché hanno amato la forma canzone fino ad idealizzarla…). Fare bene il mio lavoro vuol dire non avere confini mentali, essere pronti ad abbracciare ogni tipo di musica per capirla e per poter capire il pubblico che ha o che potrebbe avere. Per fare questo bisogna lasciarsi andare, non rimanere ancorati ai propri presidi, pur ovviamente rispettando la propria natura, i propri gusti, la propria identità.
In sintesi: la formazione musicale e quella personale per me sono state un tutt’uno. Lo so, sono stato molto fortunato, ma anche molto caparbio: per mia fortuna mio fratello ha cominciato a “seminare” musica dentro di me, ma io l’ho fatta crescere e non l’ho più trascurata nemmeno per un secondo. Disco dopo disco, concerto dopo concerto, rivista dopo rivista (Rockstar, Rockerilla, le fanzine anni ’80…). Poi, ho capito tardi che non dovevo confinare la musica al tempo libero, ma quando l’ho capito ho fatto di tutto per farne il mio lavoro e da quel momento non ho fatto altro. E anche ora, in un’era in cui le occasioni, le fonti, i canali sono centinaia, cerco di non trascurare nulla, di non sminuire nessun artista o genere, al contrario cerco di imparare ancora, e ancora. Perché la musica va onorata, rispettata, alimentata, diffusa, difesa.
Al servizio della musica, dal 1965
(o quasi..).
I pensieri dei valutatori: Luca Fantacone
Nuovi negozi di dischi stanno aprendo un po’ dovunque. Il vinile è tornato ad essere un supporto amato ed acquistato. Ai concerti si registrano sold-out ad un ritmo vertiginoso, mentre i talent e il Festival di Sanremo macinano share da capogiro. Sono segnali di una ripresa o di una imminente apocalisse? Ecco cosa ne pensano i valutatori di Sonda.
CAMBIARE A TEMPO DI MUSICA
Ho cominciato questo lavoro nel 1991, quando l’industria discografica produceva e vendeva essenzialmente formati fisici: CD, cassette, vinili. In Italia in particolar modo cassette, più ancora dei cd, come evidente conseguenza della “febbre” per i car stereo e i mega impianti “tamarri” per la macchina. Era tutto molto semplice: un solo formato (fisico), tre sole configurazioni, pochi media (stampa, TV, radio), un solo luogo di acquisizione della musica registrata (il negozio, specializzato o generalista che dir si voglia), un contesto principale di aggregazione intorno alla musica (il live, il tour) che si articolava in tour non frequenti come ora ma in un numero di music live club/pub molto maggiore di ora.
Anche vendere era molto semplice e rapido: il marketing era più basico, il pubblico molto più propenso ad acquistare musica e a dare valore alla musica sia come contenuto che oggetto da possedere, gli artisti mediamente molto più disponibili efficaci nella promozione, i media più aperti e pronti a “scommettere” sulla musica soprattutto quella nuova. Maggiore curiosità, entusiasmo, propensione al rischio, guasconeria, visionarietà, sia nella comunità artistica che nella discografia.
Già allora però stavano prendendo forma i presupposti di quella che sarebbe stata la celeberrima “rivoluzione digitale” di fine anni 90/inizio 2000 (tenete conto che l’Italia, come altri paesi, risente sempre di un certo ritardo fisiologico nell’accogliere e sviluppare correnti di cambiamento che in altri paesi nascono e quindi giungono a maturazione prima): i mega consumi di anni 80 e 90 cominciano a diminuire, i prezzi salgono, il vinile vacilla, il cd è sempre di più percepito come “un pezzo di plastica”…quindi compare il supporto digitale. L’mp3 e con lui Napster scardinano tutto il modello fino ad allora imperante.
Da quel momento in poi tutto il mondo della creazione, della produzione e della fruizione musicale subisce un’accelerazione verso una serie di cambiamenti sempre più frequenti, rapidi e profondi: iTunes, myspace, youtube, i cellulari, le suonerie, gli smartphone, i social e le loro stesse trasformazioni/acquisizioni/fusioni, i forum, le communities, i talent show, gli influencers, gli youtubers, etc.etc…fino al cambio più recente e, forse fino ad ora, più profondo: lo streaming come modalità principale di consumo della musica e il non possesso come alternativa definitiva al possesso prima fisico e poi digitale. Dal cd sulle mensole di casa, al file nell’hard disc all’accesso illimitato attraverso un micro concentrato di tecnologia portatile. Di conseguenza, la musica diventa più mobile, più diffusa, più replicabile, ma anche più piatta, più simile a se stessa e meno unica, mentre l’esperienza live, di riflesso, diventa quella realmente unica ed irripetibile.
Come in realtà è sempre stata, ma ora sempre di più.
Tutti questi cambiamenti ovviamente riflettono un profondo cambiamento della società, della cultura, nelle abitudini quotidiane, direttamente operato dall’enorme e indubitabile impatto della tecnologia nella nostra vita quotidiana: rispetto a 15/20 anni fa TUTTO è cambiato per tutti noi, e dato che la musica è una forma di espressione del vivere anch’essa è diversa ancor di più lo sarà.
E per tornare all’argomento di questo mio intervento, anche il lavoro sulla musica è cambiato, profondamente e inevitabilmente. Sono cambiati i modi, i tempi, i ruoli, le strutture, il mercato, il modo di interpretare gli effetti della musica, le modalità di produzione e comunicazione della musica, il suo consumo.
Chi come me lavora nella musica da tanto tempo ha cercato di capire queste continue rivoluzioni. E chi (come me) ha deciso che lavorare su, con e per la musica è un imperativo categorico, ha affrontato tutto ciò con la voglia e l’entusiasmo di cambiare continuamente, di mettersi in discussione sempre e comunque, e in ultima analisi di divertire e divertirsi.
Quindi: certamente il mio lavoro è cambiato, mille volte. E continuerà a farlo, senza sosta.
In particolare, lo streaming business model ha imposto regole e dinamiche che hanno fatto diventare il mio lavoro “un altro sport”, un’altra “disciplina”: strumenti di comunicazione e di analisi dei risultati che prima non esistevano, una produzione musicale eccezionalmente più affollata che in passato, cicli di vita di un progetto molto più rapidi, carriere molto più brevi, “progetti” che sempre più spesso sono singole tracce.
In questo momento storico si assiste ad un mercato ormai decisamente in crescita grazie all’esplosione dello streaming business, ad un mercato fisico in calo (come sempre nell’ultimo decennio) mitigato però da un consolidamento progressivo del mercato dei vinili (che però rimangono una nicchia) e da un calo molto più marcato e rapido del download, destinato probabilmente a morire. Il CD è spesso diventato un “feticcio”, il supporto da comprare perché poi “me lo faccio firmare dal mio artista preferito”.
Si è anche accentuata progressivamente la “normalità” della musica: sia per una omologazione produttiva a volte difficile da sopportare, ma anche perché la musica contemporanea scorre in un flusso infinito senza spesso realmente incidere nella vita della gente. Innanzitutto acquisire la musica non implica più una scelta e un gesto precisi (scelgo questo disco, esco di casa e vado a comprarmelo) mentre le uniche due esperienze realmente irripetibili sono appunto il concerto e il meet n greet (l’incontro con l’artista) in tutte le sue forme (dai meet n greet pagati a caro prezzo insieme al biglietto del concerto ai cosiddetti “firmacopie”).
Come conseguenza di questa “normalità”, la produzione e l’acquisto di “edizioni speciali” è ormai più che consolidato: il pubblico cerca qualcosa di unico anche nel supporto, laddove soprattutto l’adesione ad un artista è totale.
Come potete capire, questo è un contesto a volte disorientante, molto differente da quanto affrontavo 27 anni fa quando iniziai a lavorare, ma al tempo stesso estremamente eccitante a mio parere, perché ti sfida, ti costringe a non smettere mai di imparare e anche a ridefinire o a contraddire quello che avevi imparato anche pochi mesi prima. Faticoso certo, ma volete mettere quanto noioso sarebbe stato lavorare per quasi 30 anni allo stesso modo?
E poi: gli scenari cambiano certo, ma alcuni elementi di base rimangono gli stessi: quando la musica parla un linguaggio chiaro e forte (soprattutto se unico e diverso da tutto il resto) trova sempre un pubblico pronto a scommetterci. E in un contesto come quello attuale dove il pubblico ha tutta la musica che vuole a disposizione, è più probabile che il pubblico stesso si impossessi della musica che in quel momento lo conquista, senza dover aspettare che i media tradizionali o altri intermediari gliela propongano.
Perché la musica è come l’acqua, trova sempre la sua via.
Incontri con i valutatori 2019
Il Centro Musica ripropone quest’anno gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri, rivolti principalmente e musicisti e gruppi musicali, sono aperti a tutti.
Si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; tutti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.
• sabato 16 marzo 2019, dalle 14 alle 18
Incontro con Daniele Rumori (direttore artistico Covo Club);
Giampiero Bigazzi (produttore discografico), Carlo Bertotti (produttore, autore).
• sabato 13 aprile 2019, dalle 14 alle 18
Incontro con Roberto Trinci (direttore artistico Sony/Emi Music Publishing); Marco Bertoni (produttore, musicista); Gabriele Minelli (A&R manager di Universal Music Italia); Marcello Balestra (produttore-editore musicale).
Gli incontri si terranno presso La Torre all’interno del polo 71MusicHub (Via Morandi 71 – Modena) dalle 14 alle 18.
Ingresso gratuito.
Le scelte dei valutatori: Luca Fantacone
Luca Fantacone segnala alcuni degli iscritti a Sonda più interessanti tra quelli che sono stati lui attribuiti negli ultimi anni.
Mangroovia
A volte mi capita di non riuscire ad ascoltare in tempi brevi la musica che mi viene inviata con una certa regolarità (nonostante non mi occupi quotidianamente di artisti italiani ormai da parecchio tempo). Non è il massimo, me ne rendo conto, ma a volte capita, e per motivi banali: immediata mancanza di tempo unita alla voglia di ascoltare con la testa libera e senza telefonate in arrivo, fondamentalmente.
Perché la curiosità non manca mai, anzi non ne posso fare a meno.
E spesso capita anche che proprio quando ritardo in un ascolto, vengo poi particolarmente sorpreso dalla musica che ha dovuto “aspettare il suo turno”…
Anche nel caso dei Mangroovia mi ci è voluto parecchio tempo prima di ascoltare i loro brani, e sinceramente me ne sono pentito: perché se avessi ritardato meno avrei goduto prima, semplicemente…
I pezzi dei Mangroovia mi si sono dischiusi con naturalezza, nonostante siano tutt’altro che “immediati”.
Ma soprattutto mi hanno ricordato immediatamente artisti molto diversi fra di loro ma che tutti fanno parte del mio background, di una parte della mia crescita musicale come ascoltatore e come irrinunciabile amante della musica: di colpo mi sono passati davanti Steely Dan, Me’shell Ndegeoshello, e perfino la Bill Bruford Band di “Gradually Going Tornado”…insomma artisti e musica che per me contano molto, e ai quali non è proprio facile rapportarsi…questo la dice molto lunga sulla qualità del progetto dei Mangroovia: grande tecnica (ovviamente, per riuscire a fare musica come la loro non si può suonare così così…) e molto gusto (non facile da trovare…).
Fin qui tutto bene (cit.). Ma ovviamente il mio mestiere è composto da due elementi saldamente legati l’uno all’altro: la sensibilità nei confronti della musica e l’attenzione nei confronti del mercato in cui si opera. Perché qualunque musica si desideri di portare ad un pubblico attraverso attività di marketing, promozione e ovviamente vendite, deve confrontarsi col pubblico che può comprare, downloadare, streamare o andare a vedere dal vivo quella musica, nonché con tutti i canali di comunicazione che permettono di raggiungere un determinato pubblico: radio, TV, stampa, siti, piattaforme social, etc.
Di conseguenza, nel momento in cui mi metto il “cappello” del discografico, riconosco che la scelta musicale dei Mangroovia sia molto difficile da commercializzare in quanto il mercato italiano non la premia sicuramente con facilità…
Pertanto, con un po’ di cinismo ben riposto, dico che “vendere dischi” (detto in modo un po’ old school…) con un tipo di progetto musicale come quello dei Mangroovia è sicuramente molto più difficile che con altri. Detto ciò, ho sempre pensato che alla base di una scelta ci deve essere la serenità nel farla, e che quindi alla base di una band ci deve essere una prima importante coesione nelle intenzioni che, nel tempo qualificherà e distinguerà la band stessa, in un modo o in un altro. E che quindi un artista debba fare quello che si sente innanzitutto, mantenendo la lucidità per capire anche perché quello che fa possa o non possa “funzionare”. Ossia, non è detto che quello che si vuole fare possa piacere facilmente ad un certo numero di persone, piccolo o grande che sia, e quindi bisogna essere molto appassionati tanto quanto molto disincantati ed eventualmente pronti a cambiare nel tempo qualcosa della propria produzione, possibilmente senza snaturarsi o abdicare da se stessi.
Nei Mangroovia ho trovato molta auto coscienza e serenità, così come molta sagacia in quello che fanno.
Del resto un proprio pubblico c’è sempre o quasi, soprattutto se l’idea alla base di un progetto è chiara e presentata nel modo giusto. Nella musica dei Mangroovia ci sono ottime basi tecniche e compositive, nonché una notevolissima visione organica e dinamica della struttura dei brani (caratteristica fondamentale secondo me delle band che non fanno della struttura della canzone mainstream pop un proprio cardine).
E tantissimo stile, quello naturale, non traslato dalle tendenze contemporaneo. Quello che piacerebbe a uno come Pharrell tanto per capirci.
Purtroppo non sono ancora riuscito ad ascoltarli e vederli dal vivo. E spero di poterlo fare presto, sempre per la curiosità di cui non posso fare a meno. E sono convinto che riuscire a conquistare il pubblico dal vivo sia uno degli strumenti più efficaci per un progetto come il loro. Così come sono convinto che si debba sempre e comunque provare a cambiare un po’ le “carte in tavola”, altrimenti ci si annoia… Forse i Mangroovia non cambieranno la storia della musica, ma meno male che ci sono.
Incontri con i valutatori 2018
Il Centro Musica ripropone quest’anno gli incontri con i valutatori del progetto Sonda. La nostra intenzione è quella di portare a conoscenza degli iscritti di Sonda, e più in generale dei musicisti interessati, le varie figure professionali della filiera musicale. I valutatori di Sonda coprono i diversi aspetti del mercato musicale e possono fugare ogni dubbio o perplessità nel loro specifico campo professionale.
Gli incontri, rivolti principalmente e musicisti e gruppi musicali, sono aperti a tutti.
Si svolgeranno di pomeriggio e ruoteranno principalmente attorno agli ascolti dei brani; tutti potranno far sentire un proprio brano e avere una sorta di ‘report’ in diretta dai valutatori.
• sabato 24 febbraio 2018, dalle 14 alle 18
Incontro con Roberto Trinci (direttore artistico Sony/Emi Music Publishing); Luca Fantacone (direttore marketing Sony Music); Daniele Rumori (direttore artistico Covo Club); Marcello Balestra (produttore-editore musicale).
• sabato 24 marzo 2018, dalle 14 alle 18
Incontro con Giampiero Bigazzi (produttore discografico, musicista); Marco Bertoni (produttore, musicista); Gabriele Minelli (A&R manager di Universal Music Italia); Carlo Bertotti (produttore, autore).
Gli incontri si terranno presso l’Off all’interno del polo 71MusicHub (Via Morandi 71 – Modena) dalle 14 alle 18.
Ingresso gratuito.
Musica, curiosità, cambiamento – Luca Fantacone
Nel corso di questi miei 25 anni di lavoro nella musica (beh sì, 25 anni…tanti, intensi, rapidissimi a dire il vero…) mi è stato chiesto innumerevoli volte “come hai fatto ad entrare nell’ambiente?”, “che cosa ci vuole per fare il tuo mestiere?”, “ma conoscevi qualcuno prima di iniziare vero…?” etc. etc… Domande prevedibili quanto gradite perché fatte da tante persone che avevano o hanno la voglia e l’entusiasmo di fare della musica la propria occupazione quotidiana, e alle quali è doveroso rispondere così come è doveroso secondo me cercare di dare un feedback a chiunque ti mandi un cd, un file, un demo per sapere cosa ne pensi. Non sempre ci si riesce e con il dovuto tempismo, ma l’importante è considerarlo come un impegno personale e professionale. Ma torniamo alle domande di cui sopra: in fondo in fondo hanno (diciamocelo) anche un retrogusto un po’ surreale, perché in realtà, a mio parere sono altre le cose che fondamentalmente servono per lavorare (e bene) nella musica. Sono fondamentalmente 3 i requisiti che non solo permettono di fare questo lavoro bene e con soddisfazione, ma che al tempo stesso sono delle spie in base alle quali capire anche il potenziale che una persona può sviluppare in questo settore.
1) NON POTER FARE A MENO DELLA MUSICA
Potrà suonare banale o naif quanto volete ma da qui si parte: viverla, ascoltarla, sentirla, capirla, difenderla, considerarla come qualcosa che viene prima di tutto il resto, servirla, darle sempre valore. E questo prescinde dai gusti, dalla nicchia o dal grande pubblico, dal presunto livello alto o basso. In ogni canzone, artista, genere c’è un valore intrinseco, qualcosa da trasferire ad un pubblico che lo faccia proprio, per breve o lungo tempo. E già che ci siamo: ricordatevi che la musica è tutta commerciale: non esiste musica che un artista non voglia vendere (sotto forma di cd, file, streaming, video, biglietti) ad un pubblico, piccolo o grande che sia. La musica deve trovare sempre un destinatario. E cercare di allargare il pubblico di un artista è cosa buona e giusta, dipende da come lo si fa. L’importante è stare sempre dalla parte della musica.
2) ESSERE CURIOSI
Indispensabile. Cercare sempre di scoprire, capire, intuire cosa può sentire un artista, cosa vede, e di cosa può avere bisogno, o cosa a cui può aspirare il pubblico. Essere curiosi anche nei propri confronti: capire sempre come migliorarsi, come far accadere le cose, provarci sempre. La curiosità è non solo il motore della sana ambizione e dell’autorealizzazione, ma è anche una chiave di comprensione di ciò che non si conosce. E nella musica, con la musica, tutto è possibile, anche ciò che non sembra reale o che – appunto – non si conosce. Mai rimanere ancorati alle proprie sicurezze o conoscenze. Nel 1991, quando ho cominciato a lavorare in Warner, dopo qualche giorno mi fu data una pila di nastri di album hip hop in imminente pubblicazione, da ascoltare per decidere cosa pubblicare in Italia. Cosa c’entravo io con l’hip hop a quel tempo ? Niente, non sapevo nemmeno da che parte prenderlo, e tendenzialmente non me ne fregava nulla. Superati primi minuti di esitazione, mi ci sono buttato a capofitto, per imparare. E dopo anni, non avevo capito TUTTO dell’hip hop, ma lo conoscevo abbastanza da cominciare a lavorare con Neffa e i membri di Sangue Misto…
3) ESSERE SEMPRE PRONTI A CAMBIARE
La logica conseguenza della curiosità, nonché una necessità assoluta dei nostri tempi. Essere non solo pronti ma proprio disposti mentalmente al cambiamento, a cambiare le regole o ad adattarsi a regole e scenari sempre diversi e in continuo mutamento, è un imperativo ormai. La musica trova sempre il suo pubblico, dicevamo, e il nostro lavoro è proprio quello di aiutarla in questo. Il consumo della musica è cambiato, cambia e cambierà ancora, e ci costringe amabilmente a sviluppare capacità ed attitudini sempre diverse. I tempi del “manda in radio un pezzo, vai in tv, compra una campagna pubblicitari e vendi i dischi” sono finiti, e meno male. Ora si può creare, inventare, scoprire, basta che alla base ci sia una sana voglia di abbracciare contesti sempre differenti.
Non è una predica, non è un prontuario, non è un manuale. Solo 3 spunti che si sintetizzano in questo consiglio:
Set up a situation that presents you with something slightly beyond your reach.
(Brian Eno)
Nessuno di questi requisiti è indispensabile, tutti sono necessari.