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Sondascolta – LaPara: Traballa

Le nostre video segnalazioni: in una manciata di secondi vi raccontiamo la musica (nuova) degli iscritti al progetto SONDA.

Oggi Sonda ascolta Traballa de LaPara

Sondascolta – Moriel: Parlo Troppo

Le nostre video segnalazioni: in una manciata di secondi vi raccontiamo la musica (nuova) degli iscritti al progetto SONDA.

Oggi Sonda ascolta Parlo Troppo di Moriel

Sondascolta: le nuove uscite degli iscritti a Sonda

Le nostre video segnalazioni: in una manciata di secondi vi raccontiamo la musica (nuova) degli iscritti al progetto SONDA.
Mandateci le vostre nuove uscite – singoli, ep, album: verranno segnalati su Sondascolta.

I pensieri dei valutatori: Luca Fantacone

La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.

Ch-ch-ch-ch-changes
Turn and face the strange
(D.Bowie)

Quando ho ricevuto come di consueto la mail dove mi si chiedeva di scrivere un articolo per Musicplus su come il mondo della musica e della discografia fosse cambiato o potesse ancora cambiare a causa della pandemia, il lockdown era terminato, mentre nel momento in cui scrivo il mio “pezzo” ci risiamo: siamo tornati indietro anche se in realtà indietro non si tornerà più, realmente.
La musica e la sua naturale capacità di comunicare, coinvolgere e aggregare non cesseranno di esistere anche se in questo momento il concetto di “aggregazione” sembra molto lontano da noi. Certo è indispensabile pensare a nuovi modelli, nuovi scenari, nuove modalità di coinvolgimento del pubblico, di produzione, promozione, consumo della musica.
“Nulla sarà come prima”: questa frase mal cela la pretesa tutta umana che le cose, in generale, siano sempre più o meno uguali a se stesse, o meglio a ciò che conosciamo, che vogliamo che persista, a cui siamo abituati. Persino in un’epoca come quella attuale dove i cambiamenti (nel mondo della musica ma in realtà in tutti i “mondi”) mai sono stati tanto numerosi quanto sempre ed irrimediabilmente più rapidi. Se 5 o 6 anni fa ci si preparava per gestire dei cicli di cambiamento di 2/3 anni, ora anche solo 6 mesi possono essere abbastanza per vedere nascere e consolidarsi piattaforme, media, trend, fenomeni, comportamenti, modelli, che poi possono lasciare il posto ad altri in un continuo e inarrestabile domino.
Quindi “nulla sarà come prima”, ma la domanda è: “ma perché le cose non dovrebbero cambiare?”. Tutto cambia, mai come ora, semmai il punto è che l’emergenza Covid non ha fatto altro che accelerare drasticamente cambiamenti già in atto e imporne di nuovi.
Ora, da marzo ad oggi è stato letto, scritto, detto tutto e il contrario di tutto, in particolar modo sulla musica e i suoi protagonisti, legittimi o involontari.
Non voglio cadere nella trappola di scrivere sermoni o prediche su cosa di dovrebbe o meno, ma semplicemente provare a circoscrivere alcuni punti che possono corrispondere ad altrettanti spunti di conversazione e riflessioni fra noi e chiunque si interessi a questi temi. Ci provo:

La musica da sola non basta: era già chiaro ma ora è lampante. La maggior parte del pubblico non sceglie la musica in quanto tale, per il suo valore intrinseco, ma perché è connessa a qualcosa altro: qualcosa che si fa mentre si ascolta (cucinare, fare ginnastica ad esempio), uno strumento o tool che “porta” con sé la musica (un videogame, un contenuto video…), un momento “morto” che si riempie con un po’ di musica (andare in ufficio o a scuola), una spinta indotta dall’esterno (un mio amico sui social posta qualcosa che io riposto e condivido perché “voglio fare parte del club”…).
Bisogna capire come restituire alla musica un valore primario, che non vuol dire fare “accademia” e fuggire dalla musica per il grande pubblico, ma esattamente il contrario.

La maggior parte del consumo della musica avviene attraverso lo streaming, non meno dell’80% fino a oltre il 95% a seconda del paese in questione. Il Covid ha accelerato una transizione da fisico a digitale già in atto, e l’ha estremizzato portando il rapporto fisico(/digitale a 0/100 in tempi di lockdown, ma in ogni caso spostando ulteriormente il baricentro verso il fronte digitale.

Il vinile si è ripreso “quello che era suo”.
Rimane sempre una nicchia, cioè non cambia le sorti del business, ma indubbiamente si è consolidato sempre di più e chi acquista ancora in fisico è sempre più propenso ad andare sul vinile piuttosto che sul cd. Chi l’avrebbe mai detto qualche anno fa vero? A dimostrazione del fatto che tutto può succedere, molto può essere previsto, e in ogni caso bisogna sempre essere pronti a reagire a qualunque cambiamento.

Il business dei live è stato ovviamente colpito al cuore, ma l’esperienza live non morirà, cambierà anch’essa e va cambiata, totalmente ripensata, immaginata in contesti multipli e differenti. E questo ad opera non solo dei live promoter ma degli artisti stessi e delle persone che con loro collaborano ad costruire un mondo di immagini, visioni e sensazioni. Stiamo assistendo a diversi tentativi di riproporre “concerti” in streaming che però concerti non sono e non devono essere. Piuttosto chiamiamole “esperienze” basate sulla musica suonata dal vivo, a cui corrispondono creatività, modalità di fruizione e business differenti, alternativi (per il momento) alla classica esperienza live. E’ stimolante e interessantissimo partecipare proprio per vedere in tempo reale dove il mondo dell’entertainment sta andando e come.

Il mondo del lavoro sulla musica ancora non viene riconosciuto con il valore e la legittimità che ha e che non dovrebbe nemmeno “meritarsi”. Perché l’ha sempre avuta, sempre. Questo accade in Italia (e ahimè non è una novità) ma anche in paesi il cui pubblico, mercato, industria musicali da sempre sono più maturi e avanzati. Tutto cambia, dicevamo, e anche i professionisti della musica devono farlo, ma diciamo che se io cambio e nessuno nemmeno si accorge dei cambiamenti e non solo non li recepisce ma non li “vede” nemmeno…beh allora siamo proprio sula linea di partenza…non è facile ma vediamo il lato positivo: tutto questo casino può essere il punto di non ritorno, l’occasione estrema perché una serie di categorie che lavorano serissimamente e con dedizione estrema sulla musica vengano riconosciute come tali da parte di tutti, all’esterno del mondo della musica ma anche all’interno…

In estrema sintesi, ecco le due parole chiave che mi vengono immediatamente in mente se penso a quanto successo in questo 2020 dannatamente complicato e implacabile:
• la prima è CAMBIAMENTO, non solo più una scelta, ma una necessità e un imperativo, morale e professionale, per tutte le ragioni sopra esposte.
• la seconda è ATTESA: in un momento storico basato sull’ “impossibilità di attendere”, sull’ansia “da scelta immediata”, sul modello dell’ “on demand”, è diventato obbligatorio recuperare il concetto di attesa, di pausa (che peraltro in musica è più importante della nota, perché scandisce la metrica, quindi il ritmo….). Abbiamo dovuto e ancora dobbiamo aspettare prima di muoverci e uscire di casa, e dobbiamo ancora farlo interpretare i nuovi bisogni della gente, e quindi “incontrare” il pubblico e riconquistarlo.
Attendere non vuol dire essere lenti, perché la velocità di reazione è fondamentale. E’ un’occasione per saper usare meglio il tempo ma soprattutto per capire come tornare a dare il giusto valore alla musica anche in un’epoca in cui il suo stesso consumo è legato a dinamiche di “quantità nel minor tempo possibile”. Ma questo è un altro film il cui finale è ancora tutto da capire…

I pensieri dei valutatori: Nicola Manzan

La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.

Pensi che il tuo lavoro di produttore/musicista cambierà?
Se inizialmente pensavo che il mio lavoro sarebbe cambiato (anche se ho sempre sperato che così non fosse), ora ne sono praticamente certo.
Il mio lavoro di musicista si svolge prevalentemente sui palchi di locali, festival e simili. Partendo dal fatto che è saltato tutto il tour del mio gruppo principale (Bologna Violenta, tour organizzato tra dicembre e gennaio che si doveva svolgere da marzo a maggio, ovvero in pieno lockdown), con le norme in vigore per il contenimento del Covid mi ritrovo a fare pochissimi concerti e l’incertezza per il futuro è tanta, con un clima di attendismo che coinvolge organizzatori, club e band. Stiamo cercando di capire come riorganizzare un tour vero e proprio, ma stiamo tutti in attesa di vedere come si evolverà la situazione in autunno, visto che ancora non si sa quanti locali riusciranno a riaprire e a fare concerti.
Per quel che riguarda il mio lavoro in studio, devo dire che c’è stato un discreto rallentamento delle produzioni, per quanto parecchi artisti stiano continuando a registrare, produrre e scrivere musica, in attesa di tempi migliori. Ma anche in questo caso, l’incertezza economica non sta aiutando nessuno e moltissimi musicisti stanno aspettando che qualcosa si sblocchi prima di investire somme di denaro per la registrazione di dischi che non si sa quando e come usciranno.
La mia impressione è che al momento le priorità siano altre, come, ad esempio, cercare di arrivare a fine mese, almeno per chi non ha un lavoro fisso.

Il lockdown è terminato: come è stata la ripartenza?
La ripartenza è stata lenta e lo è ancora. Sono riuscito a fare alcuni concerti con i Ronin, Bologna Violenta e Torso Virile Colossale, ovvero i miei tre gruppi principali, ma le difficoltà sono tante, sia dal punto di vista organizzativo, che economico.
La mia impressione è che una ripartenza vera e propria non ci sia ancora stata, in pratica.

Considerando che molte cose sono cambiate – forse temporaneamente, forse no – è concepibile per te trasformare permanentemente parte del tuo lavoro in lavoro a distanza?
Devo dire che, da questo punto di vista, sono molto fortunato perché quasi tutti i miei lavori di arrangiatore sono fatti a distanza. Da anni, ormai, ho un metodo di lavoro da casa che è molto funzionale e collaudato e che mi dà modo di lavorare con i miei tempi e i miei modi, ma soprattutto che si rivela comodo per tutti, sia per me che per gli artisti.
Di sicuro tutto ciò che riguarda la mia attività dal vivo non è neanche da prendere in considerazione da questo punto di vista, ma confido sempre che sia una fase temporanea.

A nostro avviso è emerso un dato: il mondo dell’arte (musica, cinema, teatro, ecc…) durante la pandemia e anche successivamente è concepito come un passatempo e non come qualcosa di economicamente rilevante.
Sei d’accordo? Se sì, pensi sia possibile fare qualcosa per cambiare questo stato di cose?
Sono assolutamente d’accordo. Ma non serviva di certo questa pandemia per farmene rendere conto. A meno che un artista non sia affermato a livelli di massa, o che almeno non lavori costantemente a livelli molto alti, il lavoro del musicista difficilmente viene visto come un lavoro vero. La gente “normale” fatica a comprendere che per essere un musicista professionista serve una dedizione costante e un lavoro intenso di preparazione e studio, ma mi sembra tutto sommato “normale” in un Paese come il nostro dove la cultura di un certo tipo viene vista come semplice diversivo alla quotidianità.
Penso si possa far qualcosa, anche se ritengo che questo “qualcosa” avremmo dovuto iniziare a farlo molto prima. Purtroppo molti musicisti sono i primi ad avere un approccio “hobbistico” alla materia musicale, a prendere quello che arriva, a lavorare in nero per tirare a campare, senza pensare che, nei momenti di difficoltà, tutti i nodi verranno al pettine. Si fa ora un gran parlare del fatto che dobbiamo essere riconosciuti dalla sfera politica come “lavoratori veri”, ma mi rendo conto che solo negli ultimi anni ci sono stati dei cambiamenti in questa direzione, eliminando il lavoro in nero, normando molte attività collaterali alla musica (penso ai tecnici dello spettacolo) e via dicendo.
Ovviamente, arrivando in ritardo rispetto ad altri settori lavorativi, paghiamo in prima persona il non esserci messi in moto prima. Spero che questa sia la volta buona per far capire che esistiamo come lavoratori e non solo come hobbisti, anche se non ho molta fiducia in un cambiamento repentino, vista la situazione critica in tutti i settori. Essendo arrivati per ultimi, saremo forse gli ultimi ad essere presi in considerazione.

I pensieri dei valutatori: Gabriele Minelli

La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.

Metafore e similitudini si sprecherebbero, nel tentativo di definire i mesi folli che abbiamo attraversato, e che ancora stiamo vivendo.
Praticamente un anno intero, ormai, e nuovamente una vigilia di “lockdown”, senza che per il mondo della cultura, della musica, del teatro sia cambiato poi molto dal febbraio 2020.
Un anno vissuto in un’apnea lavorativa che sta lasciando tutti sfiniti, ma fortunatamente per noi discografici, ancora con uno stipendio, a differenza di tanti nostri colleghi che lavorano invece sui live, a fianco degli artisti, dietro le quinte, negli studi, davanti ai banchi, sopra ai palchi.
L’incapacità o la non-volontà del settore di “fare sistema” è emersa in tutta la sua contraddittoria evidenza: solo dal basso, e tuttavia sporadiche, sono nate iniziative capaci di spiegare al pubblico quanto l’industria culturale sia certamente intrattenimento, ma generi anche e soprattutto lavoro e risorse.
Sembra davvero che la definizione della parola “bisogno” sia diventata plastica e adattabile tramite esercizi di individualismo quotidiani: ma è sconcertante che, per l’ennesima volta, la componente culturale sia finita in fondo alla lista: dei provvedimenti, delle attenzioni, delle notizie, dei bisogni.
In questo panorama, alcune analisi risultano più semplici o immediate di altre: quelle sul digitale, sui demographics del consumo di musica, sulla predominanza di alcuni generi su altri, sulla palese incompletezza della filiera senza il mondo reale dei live.
Mi piace ripensare alla frase che mi disse un manager col quale lavoro, a proposito del pubblico di ragazzi giovani che ascoltano rap e trap e del comportamento che aveva osservato in loro durante il primo lockdown, con i club chiusi e una marea di nuovi singoli che venivano pubblicati ogni settimana in streaming: mi disse che, senza una vera occasione di confronto e di “ascolto sociale”, i ragazzini sembravano quasi persi, confusi e avevano difficoltà a capire quali dei brani o dei nuovi artisti fossero quelli “davvero fighi”, quelli da ascoltare e da rivendicare come propri, dei quali diventare fan.
Una componente sociale della musica, che è sicuramente possibile declinare anche per altri gruppi d’età e altri generi, e che è sempre fonte di confronto, diversità, ricerca, crescita.
Senza di essa la musica e le altre forme d’arte finiscono inevitabilmente con il ripiegarsi non tanto su loro stesse quanto sui meccanismi di funzionamento più immediati, sui numeri: se funziona, allora è fatta bene; se non genera numeri, non ha valore.
Questa è la mia preoccupazione: che questo periodo ci lasci in eredità una mancanza di punti di vista, un’analisi solamente superficiale, un approccio puramente “industriale”.
Auspico invece un ritorno ai musicisti, alle competenze in studio di registrazione, alla ricerca e allo studio, anche e soprattutto nei generi più ascoltati e consumati: la ricchezza della musica sta proprio nel suo essere materia sviscerata da secoli e tuttavia sempre nuova e sorprendente.
La distruzione è un processo molto rapido, talvolta anche inebriante; la ricostruzione prende invece tempo e richiede energia e coesione di intenti e obiettivi.
La musica deve tornare centrale come tema delle vite di ciascuno di noi, per poter nuovamente ricoprire un ruolo nobile nelle conversazioni culturali e di cronaca, e tornare ad essere la soddisfazione di un bisogno primario dell’uomo.

I pensieri dei valutatori: Daniele Rumori

La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.

Mentre sto scrivendo questo articolo sono passati quasi 9 mesi dall’inizio dell’emergenza sanitaria che, tra le altre cose, ha devastato il nostro settore. E dopo nove mesi siamo ancora da capo: non abbiamo nessuna certezza sul nostro futuro. Non sappiamo né quando potremo ricominciare, né con quali regole. Dopo aver passato mesi a ragionare con i miei soci sul futuro del nostro amato Covo e su come ripartire, ora siamo concentrati soprattutto sul presente: bisogna trovare un modo di sopravvivere.

A metà febbraio 2020, dalle parti di Viale Zagabria 1 a Bologna si poteva percepire un clima di assoluto entusiasmo. Eravamo reduci dal meraviglioso concerto sold out degli Explosions In The Sky al Teatro Duse, da lì a poche settimane avremmo ospitato di nuovo i nostri amati Ash tra le mura del Covo, ed il finale di stagione si prospettava come uno dei migliori di sempre grazie anche a concerti come Ezra Furman, Italia 90, Boy Harsher e soprattutto Mark Lanegan. Non solo, piano piano stava prendendo forma quello su cui stavamo lavorando già da più un anno: un festival autunnale per festeggiare i primi 40 anni del Covo Club. Con un 50% di artisti confermati, proprio in quei giorni stavamo scegliendo il logo e cercando di capire quando sarebbe stato opportuno iniziare a fare i primi annunci.
Tutto questo fino al 23 Febbraio, giorno in cui, con un’ordinanza regionale, sono stati sospesi gli eventi musicali al chiuso. In quel momento, la nostra preoccupazione più grande era, banalmente, che saltavano gli Ash già sold out. Solo dopo qualche settimana avremmo capito che la nostra vita sarebbe cambiata radicalmente.

In questi nove mesi abbiamo:
• spostato, ri-spostato e spesso cancellato decine e decine di concerti.
• partecipato a mille tavole rotonde virtuali dove abbiamo provato a confrontarci con altri operatori ed anche con la politica. Spesso, purtroppo, con scarsi risultati.
• sentito le stesse persone dirci ad aprile che “il settore culturale andava completamente riformato perché nulla sarà come prima”, e poi a giugno che “in autunno si tornerà alla normalità e tutto sarà come prima, basterà indossare la mascherina nei luoghi al chiuso”.
• constatato di avere un governo che sul nostro settore ci ha capito poco o nulla.
• provato a ripartire seguendo rigidissimi protocolli, portando la nostra capienza a 46 persone sedute. Abbiamo comprato le sedie e fatto i lavori per permettere la giusta areazione dei locali. Abbiamo messo insieme una programmazione grazie ad artisti “amici” (che tanto ci fanno divertire), disponibili a suonare anche per una manciata persone. Non è bastato, ci siamo dovuti fermare di nuovo, una settimana prima di riaprire.

Al di là di tutto quello fatto o non fatto, abbiamo capito una cosa: in questa strana epoca non si può fare nessun programma, perché ogni giorno possono cambiare le regole. Ecco, PROGRAMMARE è l’essenza del nostro lavoro. Oggi è diventato impossibile farlo.

Quindi? Che si fa? Prima o poi si dovrà ripartire, e quando sarà il momento sarà necessario ripartire dal basso, dagli artisti locali, dalle bands di quartiere e delle scuole. Dovremo essere capaci di creare nuove scene musicali. Dobbiamo provare a vederla come una grande opportunità per porre le basi per un nuovo futuro della musica indipendente nel nostro paese.
Inoltre, voglio pensare che si ripartirà dalla voglia di stare insieme delle persone. I live club, che negli ultimi anni avevano un po’ perso il loro ruolo di centri di aggregazione, potrebbero tornare ad essere protagonisti della vita sociale delle persone.
Quanto ci vorrà non lo so, nel frattempo faremo quello che noi italiani sappiamo fare meglio: improvviseremo e cercheremo di sopravvivere.

I pensieri dei valutatori: Roberto Trinci

La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.

E’ strano scrivere degli effetti della pandemia in un momento (scrivo a fine luglio, in Italia i numeri per fortuna sono molto bassi, ricominciano i primi tour in luoghi particolari) in cui non si sa se il peggio è passato o se invece deve ancora arrivare, magari a ottobre.
Non essendo il mago Otelma scriverò di quello che vedo e Adesso e Qui il peggio sembra passato.
Le prospettive per la discografia stando così le cose non cambiano poi di molto, un po’ di ritardi ma niente di che. Se parliamo del mercato musicale invece è chiaro che tutto il mondo della musica live dovrà rivedere conti e prospettive (i costi si alzano, i profitti calano) per cui ci saranno grandi problemi e probabilmente sarà necessaria anche una vera e propria ristrutturazione di tutto il comparto in Italia.
La ripartenza dopo il lockdown è più lenta del previsto per noi editori che, dalla morte del disco in poi, basiamo molti dei nostri introiti sulla musica dal vivo. Per fortuna restano gli introiti derivanti da radio e tv (visto che purtroppo anche il cinema è bloccato). Lo streaming che non ha risentito molto del lockdown purtroppo non è – incredibilmente! – ancora una voce significativa per gli editori.
Per quel che riguarda il lavoro a distanza in SonyATV è sembrato funzionare e sta ancora andando avanti ma mi sembra di poter dire che non ha superato pienamente la prova. Manca lo spirito aziendale e il lavoro di gruppo tra reparti diversi e per chi come me lavora direttamente con gli autori e gli artisti il contatto fisico, l’incontro vero e proprio, non è sostituibile con telefonate o videoconferenze (che peraltro io odio, ma questo è un problema mio…).
Se avessi una formula di business che potrebbe sostituire il “live” sarei l’uomo più ricco dello show-business. Purtroppo non è così ed inoltre penso che, a parte la questione economica. la musica live non potrà mai essere sostituita da un surrogato. Andare in un posto (magari bello) con persone (magari simpatiche) a vedere un artista che ti piace o con cui sei cresciuto non è una esperienza sostituibile e prima o poi dovrà tornare!
Chiaramente dal punto di vista economico l’unica possibilità per non subire il calo degli introiti della musica live sarà di aumentare e razionalizzare gli introiti derivanti dal digitale. La discografia in questo (tra youtube e spotify) è già più avanti e i ritardi accumulati dal mondo dell’editoria musicale vanno assolutamente recuperati o perlomeno ridotti. Non è possibile che nel 2020 per un editore musicale rappresentino una entrata economica più importante la vendita di vinili e cd che tutta la musica che passa da youtube…
Non mi sembra che siano uscite cose superflue da eliminare durante questa pandemia. Le cose, a mio avviso, superflue (tipo gran parte della promozione digitale) lo erano prima e lo resteranno poi.
E’ ovvio che le richieste di molti artisti andranno ridimensionate e questo purtroppo porterà ad allargare ancora di più il solco (già molto, troppo, grande) tra chi ha successo e chi non ce l’ha. La sparizione della “classe media” nel mondo della musica è un fenomeno che era già iniziato da anni e questa pandemia l’ha senz’altro peggiorata.
Voglio però chiudere con una nota positiva. Secondo me questa pandemia ha dimostrato che la musica (come il cinema, la letteratura, il teatro) non sono un semplice passatempo ma il tessuto stesso che va a formare le nostre vite che senza di esse si ridurrebbero ad una semplice alternanza tra lavoro e riposo. Penso che il dover fare a meno di concerti, festival, nuove uscite abbia fatto capire alla gente che la vita varrebbe meno (o sarebbe senz’altro molto meno divertente) senza questi “passatempi”.

SondaMusicaResidente: Syncope(S) for masked singers, piano & electronics

syncopesUn’occasione per giovani cantanti provenienti dalla Regione Emilia-Romagna e interessate sia alla musica di ricerca che a quella colta contemporanea: questo in sintesi è stato “Syncope(s) for masked singers, piano & electronics”, residenza artistica rivolta a 5 cantanti che sono andate a comporre un coro femminile che ha lavorato alla realizzazione di un’opera inedita sotto la guida del compositore australiano Anthony Pateras e del coordinatore della residenza Riccardo La Foresta.
L’organico composto da Alice Norma Lombardi, Anais Del Sordo, Clara La Licata, Regina Granda e Matilde Lazzaroni – queste le cantanti selezionate fra i candidati al bando – al termine della residenza ha presentato la composizione in un concerto a La Torre del Centro Musica domenica 4 Ottobre 2020.
Anthony Pateras, special guest del progetto, è un compositore e pianista originario di Melbourne. Il suo linguaggio musicale si sviluppa sul nesso tra notazione, improvvisazione e musica elettronica, esplorando il conflitto e la confluenza tra struttura e immediatezza, analogico e digitale, virtuosismo e intuizione. é autore di oltre 60 lavori per diverse combinazioni di strumenti e elettronica, dal solo ai lavori orchestrali. Le sue composizioni sono state eseguite da Brett Dean, LA Philharmonic Association, Australian Chamber Orchestra, Erkki Veltheim, Speak Percussion, Richard Tognetti e Satu Vänskä, The Hague, Melbourne Symphony Orchestra, Ensemble Phoenix Basel, Timothy Munro, Ensemble Intégrales e Vanessa Tomlinson. In altri ambiti di ricerca musicale ha suonato e registrato con Jérôme Noetinger, Mike Patton, Han Bennink, Stephen O’Malley, Jon Rose, Christian Fennesz, Paul Lovens, Lucas Abela, eRikm, Valerio Tricoli, Erkki Veltheim, Scott Tinkler, Rohan Drape, Anthony Burr e The Necks. Ha pubblicato per Tzadik, Mego, Synaesthesia, Ipecac, e ha fondato le etichette discografiche Immediata e Off Compass. E’ stato direttore artistico della Melbourne International Biennale of Exploratory Music.

SondaMusicaResidente: Multimedi-On

multimedi onLa creatività personale, la consapevolezza timbrica e dinamica, l’esplorazione delle varie strategie e metodologie di composizione istantanea sono state le linee guida su cui si è mosso il progetto “Multimedi-On”, residenza artistica coordinata da Camilla Battaglia (voce, elettronica, direzione e composizione) e dal light designer Martin Mayer. A seguito della selezione svoltasi a Marzo 2020, l’organico di 6 musicisti composto da Michele Bonifati (chitarra), Simone Di Benedetto (contrabbasso), Giovanni Minguzzi (batteria), Filippo Orefice (sassofono), Nicola Raccanelli (elettronica), Elena Roveda (flauto), ha lavorato assieme ai due tutori della residenza per la creazione di un’opera incentrata sull’interazione tra espressione artistica e light sculpture, in un contesto di smaterializzazione della presenza scenica in favore di una rappresentazione visiva dell’azione musicale. Durante il concerto finale tenutosi all’interno de La Torre Domenica 25 Ottobre, la luce e il buio sono diventati il palcoscenico su cui dialogare e i musicisti si sono trasformati in quello che nelle opere di Mayer si definisce “interactive audiovisual sculpture”, ovvero delle silhouettes che nell’atto della performance sono influenzate dall’azione della luce.
Camilla Battaglia – Nata nel 1990, figlia d’arte (e che arte: il pianista Stefano Battaglia e la cantante Tiziana Ghiglioni), ha una formazione classica, come pianista e cantante. Ma il dna jazzistico familiare non tarda a manifestarsi: appena ventenne esordisce su disco col trio di Renato Sellani (Joyspring). Sempre nel 2010 si fa notare al Premio Internazionale Massimo Urbani, l’anno successivo si distingue al Premio Internazionale Chicco Bettinardi e nel frattempo si afferma in vari concorsi organizzati da festival jazz italiani. La si trova quindi come voce solista (e talvolta corale) con l’Orchestra Jazz della Sardegna, la Siena Jazz Orchestra, l’Orchestra Nazionale Jazz Giovani Talenti diretta da Paolo Damiani, la Civica Jazz Band diretta da Enrico Intra.
Martin Mayer – Nato ad Altötting nel 1976. Vive e lavora a Monaco. Nel 2001 ha fondato il gruppo video “Shado sinfusion synkretistem” con cui affronta le possibilità di manipolazione creativa di immagini in movimento. Nel 2006 fonda il collettivo Kopffuessler, con l’obiettivo di approfondire ulteriormente le tematiche legate al design audiovisivo. Dal 2003 al 2010 ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Monaco con il professor Res Ingold. Dal 2005 al 2007 ha interrotto gli studi per studiare con il professor Michael Bielicky presso la State University of Design di Karlsruhe e per lavorare nel campo della post-produzione a Ho Chi Minh City in Vietnam. Dal 2010 lavora come media artist freelance ma anche come consulente nel campo dei media digitali.