Autore, produttore e musicista, Carlo Bertotti inizia la propria attività nei primi anni ’90 come compositore di musiche per cortometraggi e pubblicità. Nel 1996 fonda i Delta V insieme a Flavio Ferri, formazione con cui scrive e produce 6 album durante il decennio successivo. Parallelamente ha scritto e remixato brani per molti artisti italiani (Ornella Vanoni, Garbo, Alex Baroni, Baustelle, Angela Baraldi), e ha collaborato con Neil Maclellan (produttore di Prodigy e Nine Inch Nails), JC001 (Nitin Sawhney, Le peuple de l’herbe), Roberto Vernetti (La Crus, Elisa, Ustmamò).
Hai iniziato la tua carriera come musicista, proseguendo poi anche come produttore, a metà degli anni ’90. Per quanto siano passati (relativamente) pochi anni, il mercato discografico è radicalmente cambiato: qual è stato secondo te il cambiamento più importante?
“Sicuramente la trasformazione più profonda è stata quella digitale, con la conseguenza che la musica online ha decretato la morte del sistema musicale, almeno in Italia. La realtà purtroppo è che il download selvaggio ha ammazzato soprattutto gli artisti più giovani, che fanno più fatica a emergere perché non c’è modo di investire su di loro ma si punta su personaggi più consolidati e quindi economicamente sicuri”.
Quindi non credi che la diffusione delle nuove tecnologie abbia avuto anche degli influssi positivi sulla scena musicale?
“Certamente è anche vero che con la tecnologia che abbiamo a disposizione ora c’è più ‘democrazia’, quella degli ultimi anni è stata una sorta di piccola rivoluzione digitale. Ci sono meno possibilità economiche ma contemporaneamente ci può esprimere più velocemente e con poche risorse”.
Quindi se dovessi consigliare un artista su come muoversi per pubblicare un album o approcciare un’etichetta discografica, nel mercato di oggi, cosa gli diresti?
“Difficile rispondere. Molto dipende dal tipo di repertorio dell’artista. Fondamentalmente però a chiunque consiglierei, anche se sembra vecchio stile, di lavorare tantissimo sul live: suonare ovunque e il più sovente possibile, farsi conoscere, far crescere il proprio pubblico e acquistare solidità sul palco. Nonostante il web e i social network, il live conta ancora molto”.
Un approccio molto legato alla “realtà”, piuttosto che ai media e alla promozione.
“Il fatto è che negli artisti che mi capita di incontrare, sia in Sonda che altrove, vedo spesso ottime intuizioni ma poca forza di volontà. Il problema dei nostri giorni, in Italia come altrove, è che la televisione e il sistema dei talent show hanno bloccato il mercato, sia per i musicisti che per le major discografiche. Sembra che la gavetta sia sostituibile con una partecipazione a X Factor o Amici, ma ovviamente non è così”.
Quali sono le cose che ti colpiscono di più, quando ti trovi davanti un brano da valutare?
“Scrittura testi e composizione musica. Questa è la base da cui bisogna partire, quello che ci deve per forza essere, altrimenti manca il materiale. Poi le eventuali intuizioni sugli arrangiamenti”.
E hai mai sbagliato, qualche volta nel fare le tue valutazioni. Che ne so, qualcuno che hai bocciato come incapace e poi si è rivelato essere un successo.
“No, che io ricordi no. Nessun caso eclatante, almeno. Certo degli errori ne ho fatti anche io: per esempio ho fatto un errore di valutazione durante la promozione del primo album dei Delta V. Una cosa apparentemente piccola ma che alla fine ha influito pesantemente sulla carriera del gruppo. A volte capita…”.
Negli anni hai avuto modo di lavorare sia con indipendenti che major. Quali credi siano le differenze e i punti di forza (o anche di debolezza) delle une rispetto alle altre?
“Ognuna ha le sue peculiarità. La promozione delle major aiuta tantissimo in settori come radio e televisione, ed elargisce chiaramente dei budget per il recording cost molto più interessanti. Le indipendenti invece lavorano meglio sulla stampa specializzata, e hanno (o comunque avevano) persone più libere mentalmente ma per questo forse troppo poco inserite nel contesto e nella realtà di una musica italiana non al passo con le realtà estere”.
Spesso si parla di estero come a indicare qualcosa di migliore, di più “avanti” rispetto a noi: ma è veramente così? Tu che hai collaborato anche con molti artisti stranieri ci puoi raccontare quali sono le differenze nell’approccio alla musica.
“Delle differenze ci sono certamente, ma almeno per la mia esperienza posso dire che dipende dalle persone e non dalla nazionalità. Parlando di distinzioni nazionali quello che posso dire è che in Italia purtroppo le collaborazioni ultimamente sono diventate omologate, poco spontanee, se ne fanno troppe e a sproposito. Sembra quasi sia diventato l’unico modo per vendere qualche copia in più”.
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