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I valutatori: intervista a Luca Fantacone

Luca Fantacone
47 anni, laureato in Scienze Politiche, dopo un primo impiego come marketing assistant in Unilever, e un breve soggiorno a Londra, nel 1991 Luca Fantacone entra in Warner Music come product manager e poi come promotion manager. Dopo 4 anni passa in PolyGram, dove gestisce l’etichetta Black Out in qualità di direttore artistico. Segue una rapida esperienza in Sony Music e un’esperienza indie con la NuN Entertainment, al cui termine lavora due anni come free lance. Nel 2006 rientra in Sony Music, prima come digital marketing manager poi come direttore marketing del repertorio internazionale.

 

Dunque Luca, a bruciapelo: come si diventa A&R di una major discografica?
“Bisogna voler tradurre una passione in lavoro e non essere schizzinosi, perché in questo lavoro si fa di tutto e si deve essere pronti a fare di tutto. Saper improvvisare, non dare nulla per scontato, essere maniacalmente curiosi. Per me è stato il risultato di una volontà precisa: non ero sicuro di farcela e non avevo esperienza, ma avevo il desiderio di fare della musica un lavoro, non solo una costante quotidiana. Farne il mio centro, semplicemente”.

Prima di arrivare in Sony Music hai avuto modo di conoscere anche il mondo indipendente. Differenze, affinità… rimpianti?
“Penso che entrambe le esperienze mi siano state utilissime. Ho imparato molto da tutte le situazioni, e non penso che ‘essere indie’ o ‘major’ siano due mondi in opposizione, la vera differenza la fanno le persone. Ci sono persone ‘buone’ e ‘cattive’ sia nelle major che nelle indie, e di conseguenza buona o cattiva qualità del lavoro e dei risultati. NuN, ad esempio, era un ibrido: portata avanti con l’ambizione di una major e la sperimentazione di una indie, con capitali minori di una major ma con la sfacciataggine di voler investire in progetti di livello”.

Qual è secondo te, al giorno d’oggi, il ruolo delle major discografiche?
“Dato che il fulcro del business non è più la vendita del supporto fisico, il nuovo ‘centro di gravità permanente’ è la gestione del ‘marchio’ che un artista rappresenta quindi tutte le attività connesse all’artista stesso, dischi, tour, merchandising, publishing, diritti connessi, libri, partnership, sponsorizzazioni o altro. E’ semplice tanto quanto impegnativo: passare da record companies a entertainment companies. Il mio modo di lavorare è cambiato profondamente rispetto a 21 anni fa. Non penso come prima, non comunico come prima, non faccio strategie come prima. L’unica costante è che bisogna capire la musica che si propone per trasmetterla agli altri, e ovviamente essere sempre un po’ ‘irriducibili’, crederci a priori”.

Tutti cambiamenti accelerati sicuramente dalla rivoluzione digitale.
“Non solo. Ora è diverso il comportamento del pubblico, il come, quanto, quando e dove si consuma la musica, le conseguenze sulla produzione e promozione: l’industria deve interpretare i tutto questo e tradurlo nel modo di comunicare al pubblico i propri progetti, e in nuovo modello di business. Secondo me le cose non cambiano mai né in meglio né in peggio, ma è fondamentale essere attenti, curiosi e pronti a cambiare. Forse la cosa che rimpiango un po’ è ’ansia di cercare la musica che ci piace, ansia che ora è molto diminuita perché c’è fin troppa musica nell’aria”.

Parliamo di Sonda: come cambia il tuo approccio con gli artisti che ascolti tramite il progetto, rispetto a quelli che normalmente valuti per il tuo lavoro?
“La modalità non cambia molto, migliora però l’efficacia perché lo strumento Sonda è molto flessibile, e permette ascolti e feedback rapidi. In genere certo di essere molto schietto e sincero, non mi interessa tanto la qualità della registrazione o del missaggio (entro certi limiti) quanto la struttura delle canzoni o il testo, e nel caso di una band il fatto di avere un ‘proprio’ suono. Credo che un pezzo possa parlare la propria lingua indipendentemente dai soldi che si spendono nel suo confezionamento”.

Un consiglio per un artista che voglia approcciare una grande etichetta come Sony Music…
“Confrontarsi, e creare del business insieme: i due ruoli, artista e discografico, devono essere complementari. Più nello specifico, selezionare bene i propri brani e presentare solo quelli in cui si crede ciecamente, oltre a organizzarsi per inviare altro materiale che faccia capire anche qual è il proprio ‘mondo’. Ed evitare di spendere troppo o affidarsi a sedicenti produttori che promettono qualunque cosa in cambio, appunto, di denaro”.

Per finire: c’è stato un caso in cui hai rifiutato qualcuno che poi hai avuto successo?
“Uno sì, legato ad un tempo di reazione minore che altri hanno avuto… Ma non dirò mai chi. Preferisco ricordarmi di quando firmai i Verdena senza che nessun mio collega li avesse mai neppure immaginati”.


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