La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.
Che prospettive vedi per la discografia nel futuro?
Premetto che la discografia che ho vissuto, major o indipendente di qualità, quella della ricerca, della produzione, dell’investimento e del sostegno di progetti artistici, non esiste più da qualche anno. Si è trasformata in acquisizione e veicolazione di progetti già in corsa, grazie al pubblico acquisito in rete o nei live. C’è comunque ancora un mondo fatto di persone e etichette appassionate e piene di energia, competenza e altruismo, che in varie forme anche in questi ultimi anni ha dato luce ad artisti nuovi, seguendoli passo dopo passo, per portarli a rompere lo schema del sistema di notorietà derivante dalla rete e cavalcato poi dalle major di oggi. Togliendo la parola “disco” ma anche “grafia”, posso dire che le “cliniche” specializzate per nuove forme d’arte e nuovi artisti di musica e progetti vari, saranno come i ristoranti di oggi, mixati con aree d’acquisto di abbigliamento o bici o telefonia, ossia agenzie che fanno o faranno principalmente altro, ossia propongono altre tipologie di progetti o prodotti da vendere, oltre a musica e ad artisti come contorno. Per cui vedo persone e aziende di altre aree merceologiche o di settori di marketing o di comunicazione, occuparsi della gestione del prodotto “musica” in sinergia con i propri prodotti e altri business da abbinare. Il lockdown è stato solo occasionalmente responsabile di un cambiamento già da tempo in atto, ma ignorato dalla pigrizia del settore ex discografico. Ora a mio parere è solo possibile la commistione e non più la separazione di prodotti, artisti e altri business, cosa già in atto adesso, ma in futuro sarà un binomio o un trinomio naturale.
Il lockdown è terminato: come sta andando la ripartenza?
Diciamo che per “lockdown” abbiamo definito il limite massimo alle nostre azioni fisiche e sociali quotidiane, ma non social. Terminato il primo lockdown della nostra storia, utile a farci capire cosa sia un lockdown e come potrebbe essere la vita di ogni giorno in caso di un suo ritorno, la ripartenza, quella del settore musica non c’è stata.
Abbiamo preso coscienza che anche gli artisti di chiara fama, al momento si sono dimostrati tutti decisamente poco influencer, tanto da rimanere chiusi in casa a fare esercizi di presenza social. Parlo di attività social e di pubblicazioni sul tema covid o nel periodo di lockdown, decisamente inferiori per qualità ed efficacia alle loro gesta precedenti, come se da soli e senza il supporto di staff produttivi, promozionali e strategici, non fossero più in grado di produrre un pensiero artistico, probabilmente timorosi di prendere posizioni vere o di sentirsi soli o incompresi nel farlo. La ripartenza quella che si misura solitamente con produzione e vendita è praticamente pari a zero. Il momento è ahinoi drammatico non per i numeri, ma per la mancanza di vere idee di ripartenza del settore o di idee rivoluzionarie in positivo. Abbiamo visto kermesse di artisti in Arena a Verona proporre ancora una volta loro stessi, come esempio di ripartenza, per ripartire da loro, ma in toni dimessi e decisamente dipendenti dalla realtà, quella della mancanza del pubblico ovunque, anche al supermercato mentre fanno la spesa. La fine del primo lockdown e il suo durante, ci hanno restituito la normalità delle persone dello show-business, la loro impotenza nel prendere posizioni o nel proporre soluzioni, tutti legati a doppio filo con un sistema che è crollato, facendo crollare anche la loro posizione, in attesa di un ritorno ad una normalità che è oramai del passato e non certo del futuro. Per cui se una ripartenza visibile la si può considerare nei settori percepiti come fondamentali dalla società civile, nella musica la fine del primo lockdown ha tolto anche quel poco di presenza social, di artisti che li hanno utilizzati in prima persona per “farsi vivi” ad un pubblico, che si sta abituando all’assenza di contatto, ma anche di dipendenza come fan.
Considerando che molte cose sono cambiate – forse temporaneamente, forse no – è concepibile per te trasformare permanentemente parte del tuo lavoro in lavoro a distanza?
Il lavoro in questo settore ha cambiato pelle, cuore e anima. Prima ci si vedeva e basta, ora ci si vede a pillole e quando ciò avviene è per riuscire a completare lavori che a distanza hanno preso il via e che senza vedersi almeno una volta a progetto, risulta impossibile chiuderli al meglio. Vero è che ad esempio i producer di ieri e di oggi hanno l’abitudine di lavorare a distanza, rintanati nei loro bunker creativi, nei quali montano voci di ogni artista su beat o strumenti suonati da remoto, fino a produrre progetti a distanza senza problemi. Io vivo gli incontri come scambio di energia e non solo come momento di lavoro. Per cui ove possibile ci si vede o faccio di tutto per incontrare le persone dal vivo, almeno per dare insieme un forte senso di intensità a ciò che progetto con artisti, autori e produttori. Ma tutto cambia e dopo la palestra del lockdown, ho imparato comunque a muovermi molto meno per lavoro e solo quando necessario, utilizzando al meglio i metodi di riunione a distanza, seguendo le novità da remoto, salvo comunque ambire a riprendere la vita “in giro” verso nuovi progetti, specialmente all’aria aperta.
La discografia è sempre più legata ai live: in assenza di live o con introiti più bassi che giungono dai concerti bisognerà inventarsi, per i prossimi anni, una formula di business diverso?
No dal mio punto di vista la discografia non è legata al live, sono gli artisti che oggi hanno bisogno del live per vivere o per completare il percorso promozionale o di notorietà acquisita con progetti artistici e discografici. La discografia in genere, salvo rari esempi, non vive di live e non si alimenta dal live ma di diritti connessi. Il live è uno strumento di business di agenzie, di management, di ticketing e di gestori di spazi fisici, oltre che degli artisti quotati. Una gran parte dei live era propedeutica alla consacrazione più o meno reale di diversi artisti in uscita con nuovi progetti, ma riferito alla discografia, il live ha giovato solo alla discografia e all’editoria musicale con grandi cataloghi. Intendo dire che live e discografia sono da sempre entità separate per interessi e tipologia di guadagni, con strapotere economico degli attori dei live a dispetto di una discografia che ancora oggi non ha una contrattualistica che gli consenta di ottenere introiti importanti dai propri artisti in concerto. Come dicevo sopra, salvo casi di agenzie collegate a case discografiche in termini di partecipazioni societarie, la discografia si affida al diritto connesso e ad esempio allo streaming che con i soli introiti da Spotify, consentono alle stesse major, di sostenersi senza la vendita di musica. La formula di business che sostituisca il live è sicuramente in corso di ricerca e verifica, come avviene per ricerca e sviluppo dei vaccini anti covid. La rete con le formule adottate attualmente per la musica live a distanza, non è certo la risposta utile a sopperire all’impossibilità di vivere veri e propri concerti da parte di artisti e pubblico, ma in termini di business le agenzie, i management, i gestori di spazi ecc, dovranno sforzarsi per intuire come le persone, noi cittadini, fan ecc, accetteremo di vivere gli artisti in nuove formule, affrontando costi che garantiscano al pubblico vere emozioni ed appartenenza allo show del futuro.
Secondo te l’epidemia ha portato a galla nella filiera musicale il superfluo che può essere eliminato? Se sì cosa?
Il covid ha creato un vuoto totale nella musica e nello spettacolo, portando a termine una rottura del sistema filiera musicale irreversibile. Il superfluo rimane presente e chiede spazio per continuare a darsi un ruolo, cercando di giustificare la necessità di servizi e attività oramai fini a se stessi. Parlo di ruoli promozionali classici, di processi di masterizzazione, di attività social e di uffici stampa tradizionali, di editoria e scouting classici, attività che erano già superate in era pre covid e oggi sono totalmente inutili, se non supportate da nuove strategie di collocazione di ogni singolo progetto nel suo ambiente comunicativo ed empatico. Parlo anche di ogni attore della filiera legato a mondi musicali e sonori privi di qualsiasi attualità, ma generalmente l’evoluzione cancella le ere precedenti anche senza pandemie!
Pensi che le richieste di artisti, management, ecc… dovranno per forza di cose essere ridimensionate?
Credo che il valore di alcuni artisti rimanga quello di prima, anche se spostato al futuro. Ovviamente se anche nel 2021 non si riuscisse a riprendere una serie di attività redditizie per queste categorie, per mantenere le richieste dovranno inventarsi nuove forme di spettacolo supportabili con sponsor mirati e coerenti, per compensare la mancanza di una parte di pubblico che oramai ha deciso di stare comunque lontano da situazioni di grande afflusso.
A nostro avviso è emerso un dato: il mondo dell’arte (musica, cinema, teatro, ecc…) durante la pandemia e anche successivamente è concepito come un passatempo e non come qualcosa di economicamente rilevante. Sei d’accordo? Se sì, pensi sia possibile fare qualcosa per cambiare questo stato di cose?
Chi è parte di questi settori inevitabilmente sente la mancanza di rispetto verso il proprio prodotto e il proprio lavoro! E’ sempre stato così, questi settori piacciono a tutti, sembrano i più affascinanti e liberi, capaci di creare grandissima visibilità a chi li sostiene, come sponsor o come network. Il fatto che oggi i social e la rete sfornino personaggi di ogni genere, capaci di comunicare in modo rapido, attuale e preciso ogni loro attività comunicativa, ha reso gli artisti della musica, cinema, teatro ecc. sempre legati a produzioni più ampie dell’home-made, meno capaci di attrarre pubblico solo con la parte artistica, senza interagire con il pubblico, quasi restando ancorati al vecchio mito dell’artista famoso e quindi necessario. Ecco che il rispetto delle istituzioni al gioco della musica è sfumato, per la perdita di magia del prodotto medio e del suo essere comunque necessario ad un pubblico. In fondo la musica più che lo spettacolo, pur avendo un ruolo sociale fondamentale, rimane un mondo considerato solo dal punto di vista culturale e non come area di lavoro del presente e del futuro.
In ogni caso le economie del settore e dell’indotto possono tornare degne di rilevanza se supportate dalla politica, da nuove forme di live e da sponsorizzazioni, per dimostrarsi interessanti anche in termini di pil.