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I pensieri dei valutatori: Nicola Manzan

La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.

Pensi che il tuo lavoro di produttore/musicista cambierà?
Se inizialmente pensavo che il mio lavoro sarebbe cambiato (anche se ho sempre sperato che così non fosse), ora ne sono praticamente certo.
Il mio lavoro di musicista si svolge prevalentemente sui palchi di locali, festival e simili. Partendo dal fatto che è saltato tutto il tour del mio gruppo principale (Bologna Violenta, tour organizzato tra dicembre e gennaio che si doveva svolgere da marzo a maggio, ovvero in pieno lockdown), con le norme in vigore per il contenimento del Covid mi ritrovo a fare pochissimi concerti e l’incertezza per il futuro è tanta, con un clima di attendismo che coinvolge organizzatori, club e band. Stiamo cercando di capire come riorganizzare un tour vero e proprio, ma stiamo tutti in attesa di vedere come si evolverà la situazione in autunno, visto che ancora non si sa quanti locali riusciranno a riaprire e a fare concerti.
Per quel che riguarda il mio lavoro in studio, devo dire che c’è stato un discreto rallentamento delle produzioni, per quanto parecchi artisti stiano continuando a registrare, produrre e scrivere musica, in attesa di tempi migliori. Ma anche in questo caso, l’incertezza economica non sta aiutando nessuno e moltissimi musicisti stanno aspettando che qualcosa si sblocchi prima di investire somme di denaro per la registrazione di dischi che non si sa quando e come usciranno.
La mia impressione è che al momento le priorità siano altre, come, ad esempio, cercare di arrivare a fine mese, almeno per chi non ha un lavoro fisso.

Il lockdown è terminato: come è stata la ripartenza?
La ripartenza è stata lenta e lo è ancora. Sono riuscito a fare alcuni concerti con i Ronin, Bologna Violenta e Torso Virile Colossale, ovvero i miei tre gruppi principali, ma le difficoltà sono tante, sia dal punto di vista organizzativo, che economico.
La mia impressione è che una ripartenza vera e propria non ci sia ancora stata, in pratica.

Considerando che molte cose sono cambiate – forse temporaneamente, forse no – è concepibile per te trasformare permanentemente parte del tuo lavoro in lavoro a distanza?
Devo dire che, da questo punto di vista, sono molto fortunato perché quasi tutti i miei lavori di arrangiatore sono fatti a distanza. Da anni, ormai, ho un metodo di lavoro da casa che è molto funzionale e collaudato e che mi dà modo di lavorare con i miei tempi e i miei modi, ma soprattutto che si rivela comodo per tutti, sia per me che per gli artisti.
Di sicuro tutto ciò che riguarda la mia attività dal vivo non è neanche da prendere in considerazione da questo punto di vista, ma confido sempre che sia una fase temporanea.

A nostro avviso è emerso un dato: il mondo dell’arte (musica, cinema, teatro, ecc…) durante la pandemia e anche successivamente è concepito come un passatempo e non come qualcosa di economicamente rilevante.
Sei d’accordo? Se sì, pensi sia possibile fare qualcosa per cambiare questo stato di cose?
Sono assolutamente d’accordo. Ma non serviva di certo questa pandemia per farmene rendere conto. A meno che un artista non sia affermato a livelli di massa, o che almeno non lavori costantemente a livelli molto alti, il lavoro del musicista difficilmente viene visto come un lavoro vero. La gente “normale” fatica a comprendere che per essere un musicista professionista serve una dedizione costante e un lavoro intenso di preparazione e studio, ma mi sembra tutto sommato “normale” in un Paese come il nostro dove la cultura di un certo tipo viene vista come semplice diversivo alla quotidianità.
Penso si possa far qualcosa, anche se ritengo che questo “qualcosa” avremmo dovuto iniziare a farlo molto prima. Purtroppo molti musicisti sono i primi ad avere un approccio “hobbistico” alla materia musicale, a prendere quello che arriva, a lavorare in nero per tirare a campare, senza pensare che, nei momenti di difficoltà, tutti i nodi verranno al pettine. Si fa ora un gran parlare del fatto che dobbiamo essere riconosciuti dalla sfera politica come “lavoratori veri”, ma mi rendo conto che solo negli ultimi anni ci sono stati dei cambiamenti in questa direzione, eliminando il lavoro in nero, normando molte attività collaterali alla musica (penso ai tecnici dello spettacolo) e via dicendo.
Ovviamente, arrivando in ritardo rispetto ad altri settori lavorativi, paghiamo in prima persona il non esserci messi in moto prima. Spero che questa sia la volta buona per far capire che esistiamo come lavoratori e non solo come hobbisti, anche se non ho molta fiducia in un cambiamento repentino, vista la situazione critica in tutti i settori. Essendo arrivati per ultimi, saremo forse gli ultimi ad essere presi in considerazione.

I pensieri dei valutatori: Gabriele Minelli

La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.

Metafore e similitudini si sprecherebbero, nel tentativo di definire i mesi folli che abbiamo attraversato, e che ancora stiamo vivendo.
Praticamente un anno intero, ormai, e nuovamente una vigilia di “lockdown”, senza che per il mondo della cultura, della musica, del teatro sia cambiato poi molto dal febbraio 2020.
Un anno vissuto in un’apnea lavorativa che sta lasciando tutti sfiniti, ma fortunatamente per noi discografici, ancora con uno stipendio, a differenza di tanti nostri colleghi che lavorano invece sui live, a fianco degli artisti, dietro le quinte, negli studi, davanti ai banchi, sopra ai palchi.
L’incapacità o la non-volontà del settore di “fare sistema” è emersa in tutta la sua contraddittoria evidenza: solo dal basso, e tuttavia sporadiche, sono nate iniziative capaci di spiegare al pubblico quanto l’industria culturale sia certamente intrattenimento, ma generi anche e soprattutto lavoro e risorse.
Sembra davvero che la definizione della parola “bisogno” sia diventata plastica e adattabile tramite esercizi di individualismo quotidiani: ma è sconcertante che, per l’ennesima volta, la componente culturale sia finita in fondo alla lista: dei provvedimenti, delle attenzioni, delle notizie, dei bisogni.
In questo panorama, alcune analisi risultano più semplici o immediate di altre: quelle sul digitale, sui demographics del consumo di musica, sulla predominanza di alcuni generi su altri, sulla palese incompletezza della filiera senza il mondo reale dei live.
Mi piace ripensare alla frase che mi disse un manager col quale lavoro, a proposito del pubblico di ragazzi giovani che ascoltano rap e trap e del comportamento che aveva osservato in loro durante il primo lockdown, con i club chiusi e una marea di nuovi singoli che venivano pubblicati ogni settimana in streaming: mi disse che, senza una vera occasione di confronto e di “ascolto sociale”, i ragazzini sembravano quasi persi, confusi e avevano difficoltà a capire quali dei brani o dei nuovi artisti fossero quelli “davvero fighi”, quelli da ascoltare e da rivendicare come propri, dei quali diventare fan.
Una componente sociale della musica, che è sicuramente possibile declinare anche per altri gruppi d’età e altri generi, e che è sempre fonte di confronto, diversità, ricerca, crescita.
Senza di essa la musica e le altre forme d’arte finiscono inevitabilmente con il ripiegarsi non tanto su loro stesse quanto sui meccanismi di funzionamento più immediati, sui numeri: se funziona, allora è fatta bene; se non genera numeri, non ha valore.
Questa è la mia preoccupazione: che questo periodo ci lasci in eredità una mancanza di punti di vista, un’analisi solamente superficiale, un approccio puramente “industriale”.
Auspico invece un ritorno ai musicisti, alle competenze in studio di registrazione, alla ricerca e allo studio, anche e soprattutto nei generi più ascoltati e consumati: la ricchezza della musica sta proprio nel suo essere materia sviscerata da secoli e tuttavia sempre nuova e sorprendente.
La distruzione è un processo molto rapido, talvolta anche inebriante; la ricostruzione prende invece tempo e richiede energia e coesione di intenti e obiettivi.
La musica deve tornare centrale come tema delle vite di ciascuno di noi, per poter nuovamente ricoprire un ruolo nobile nelle conversazioni culturali e di cronaca, e tornare ad essere la soddisfazione di un bisogno primario dell’uomo.

I pensieri dei valutatori: Daniele Rumori

La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.

Mentre sto scrivendo questo articolo sono passati quasi 9 mesi dall’inizio dell’emergenza sanitaria che, tra le altre cose, ha devastato il nostro settore. E dopo nove mesi siamo ancora da capo: non abbiamo nessuna certezza sul nostro futuro. Non sappiamo né quando potremo ricominciare, né con quali regole. Dopo aver passato mesi a ragionare con i miei soci sul futuro del nostro amato Covo e su come ripartire, ora siamo concentrati soprattutto sul presente: bisogna trovare un modo di sopravvivere.

A metà febbraio 2020, dalle parti di Viale Zagabria 1 a Bologna si poteva percepire un clima di assoluto entusiasmo. Eravamo reduci dal meraviglioso concerto sold out degli Explosions In The Sky al Teatro Duse, da lì a poche settimane avremmo ospitato di nuovo i nostri amati Ash tra le mura del Covo, ed il finale di stagione si prospettava come uno dei migliori di sempre grazie anche a concerti come Ezra Furman, Italia 90, Boy Harsher e soprattutto Mark Lanegan. Non solo, piano piano stava prendendo forma quello su cui stavamo lavorando già da più un anno: un festival autunnale per festeggiare i primi 40 anni del Covo Club. Con un 50% di artisti confermati, proprio in quei giorni stavamo scegliendo il logo e cercando di capire quando sarebbe stato opportuno iniziare a fare i primi annunci.
Tutto questo fino al 23 Febbraio, giorno in cui, con un’ordinanza regionale, sono stati sospesi gli eventi musicali al chiuso. In quel momento, la nostra preoccupazione più grande era, banalmente, che saltavano gli Ash già sold out. Solo dopo qualche settimana avremmo capito che la nostra vita sarebbe cambiata radicalmente.

In questi nove mesi abbiamo:
• spostato, ri-spostato e spesso cancellato decine e decine di concerti.
• partecipato a mille tavole rotonde virtuali dove abbiamo provato a confrontarci con altri operatori ed anche con la politica. Spesso, purtroppo, con scarsi risultati.
• sentito le stesse persone dirci ad aprile che “il settore culturale andava completamente riformato perché nulla sarà come prima”, e poi a giugno che “in autunno si tornerà alla normalità e tutto sarà come prima, basterà indossare la mascherina nei luoghi al chiuso”.
• constatato di avere un governo che sul nostro settore ci ha capito poco o nulla.
• provato a ripartire seguendo rigidissimi protocolli, portando la nostra capienza a 46 persone sedute. Abbiamo comprato le sedie e fatto i lavori per permettere la giusta areazione dei locali. Abbiamo messo insieme una programmazione grazie ad artisti “amici” (che tanto ci fanno divertire), disponibili a suonare anche per una manciata persone. Non è bastato, ci siamo dovuti fermare di nuovo, una settimana prima di riaprire.

Al di là di tutto quello fatto o non fatto, abbiamo capito una cosa: in questa strana epoca non si può fare nessun programma, perché ogni giorno possono cambiare le regole. Ecco, PROGRAMMARE è l’essenza del nostro lavoro. Oggi è diventato impossibile farlo.

Quindi? Che si fa? Prima o poi si dovrà ripartire, e quando sarà il momento sarà necessario ripartire dal basso, dagli artisti locali, dalle bands di quartiere e delle scuole. Dovremo essere capaci di creare nuove scene musicali. Dobbiamo provare a vederla come una grande opportunità per porre le basi per un nuovo futuro della musica indipendente nel nostro paese.
Inoltre, voglio pensare che si ripartirà dalla voglia di stare insieme delle persone. I live club, che negli ultimi anni avevano un po’ perso il loro ruolo di centri di aggregazione, potrebbero tornare ad essere protagonisti della vita sociale delle persone.
Quanto ci vorrà non lo so, nel frattempo faremo quello che noi italiani sappiamo fare meglio: improvviseremo e cercheremo di sopravvivere.

I pensieri dei valutatori: Roberto Trinci

La pandemia ha inferto un duro colpo alla musica, intesa non solo come arte ma anche nelle sue vestigie commerciali. Abbiamo chiesto ai nostri valutatori una riflessione sulle criticità nate in conseguenza a questo stato eccezionale. Uno sguardo che passa attraverso gli occhi di produttori, discografici, direttori artistici, musicisti.

E’ strano scrivere degli effetti della pandemia in un momento (scrivo a fine luglio, in Italia i numeri per fortuna sono molto bassi, ricominciano i primi tour in luoghi particolari) in cui non si sa se il peggio è passato o se invece deve ancora arrivare, magari a ottobre.
Non essendo il mago Otelma scriverò di quello che vedo e Adesso e Qui il peggio sembra passato.
Le prospettive per la discografia stando così le cose non cambiano poi di molto, un po’ di ritardi ma niente di che. Se parliamo del mercato musicale invece è chiaro che tutto il mondo della musica live dovrà rivedere conti e prospettive (i costi si alzano, i profitti calano) per cui ci saranno grandi problemi e probabilmente sarà necessaria anche una vera e propria ristrutturazione di tutto il comparto in Italia.
La ripartenza dopo il lockdown è più lenta del previsto per noi editori che, dalla morte del disco in poi, basiamo molti dei nostri introiti sulla musica dal vivo. Per fortuna restano gli introiti derivanti da radio e tv (visto che purtroppo anche il cinema è bloccato). Lo streaming che non ha risentito molto del lockdown purtroppo non è – incredibilmente! – ancora una voce significativa per gli editori.
Per quel che riguarda il lavoro a distanza in SonyATV è sembrato funzionare e sta ancora andando avanti ma mi sembra di poter dire che non ha superato pienamente la prova. Manca lo spirito aziendale e il lavoro di gruppo tra reparti diversi e per chi come me lavora direttamente con gli autori e gli artisti il contatto fisico, l’incontro vero e proprio, non è sostituibile con telefonate o videoconferenze (che peraltro io odio, ma questo è un problema mio…).
Se avessi una formula di business che potrebbe sostituire il “live” sarei l’uomo più ricco dello show-business. Purtroppo non è così ed inoltre penso che, a parte la questione economica. la musica live non potrà mai essere sostituita da un surrogato. Andare in un posto (magari bello) con persone (magari simpatiche) a vedere un artista che ti piace o con cui sei cresciuto non è una esperienza sostituibile e prima o poi dovrà tornare!
Chiaramente dal punto di vista economico l’unica possibilità per non subire il calo degli introiti della musica live sarà di aumentare e razionalizzare gli introiti derivanti dal digitale. La discografia in questo (tra youtube e spotify) è già più avanti e i ritardi accumulati dal mondo dell’editoria musicale vanno assolutamente recuperati o perlomeno ridotti. Non è possibile che nel 2020 per un editore musicale rappresentino una entrata economica più importante la vendita di vinili e cd che tutta la musica che passa da youtube…
Non mi sembra che siano uscite cose superflue da eliminare durante questa pandemia. Le cose, a mio avviso, superflue (tipo gran parte della promozione digitale) lo erano prima e lo resteranno poi.
E’ ovvio che le richieste di molti artisti andranno ridimensionate e questo purtroppo porterà ad allargare ancora di più il solco (già molto, troppo, grande) tra chi ha successo e chi non ce l’ha. La sparizione della “classe media” nel mondo della musica è un fenomeno che era già iniziato da anni e questa pandemia l’ha senz’altro peggiorata.
Voglio però chiudere con una nota positiva. Secondo me questa pandemia ha dimostrato che la musica (come il cinema, la letteratura, il teatro) non sono un semplice passatempo ma il tessuto stesso che va a formare le nostre vite che senza di esse si ridurrebbero ad una semplice alternanza tra lavoro e riposo. Penso che il dover fare a meno di concerti, festival, nuove uscite abbia fatto capire alla gente che la vita varrebbe meno (o sarebbe senz’altro molto meno divertente) senza questi “passatempi”.

SondaMusicaResidente: Syncope(S) for masked singers, piano & electronics

syncopesUn’occasione per giovani cantanti provenienti dalla Regione Emilia-Romagna e interessate sia alla musica di ricerca che a quella colta contemporanea: questo in sintesi è stato “Syncope(s) for masked singers, piano & electronics”, residenza artistica rivolta a 5 cantanti che sono andate a comporre un coro femminile che ha lavorato alla realizzazione di un’opera inedita sotto la guida del compositore australiano Anthony Pateras e del coordinatore della residenza Riccardo La Foresta.
L’organico composto da Alice Norma Lombardi, Anais Del Sordo, Clara La Licata, Regina Granda e Matilde Lazzaroni – queste le cantanti selezionate fra i candidati al bando – al termine della residenza ha presentato la composizione in un concerto a La Torre del Centro Musica domenica 4 Ottobre 2020.
Anthony Pateras, special guest del progetto, è un compositore e pianista originario di Melbourne. Il suo linguaggio musicale si sviluppa sul nesso tra notazione, improvvisazione e musica elettronica, esplorando il conflitto e la confluenza tra struttura e immediatezza, analogico e digitale, virtuosismo e intuizione. é autore di oltre 60 lavori per diverse combinazioni di strumenti e elettronica, dal solo ai lavori orchestrali. Le sue composizioni sono state eseguite da Brett Dean, LA Philharmonic Association, Australian Chamber Orchestra, Erkki Veltheim, Speak Percussion, Richard Tognetti e Satu Vänskä, The Hague, Melbourne Symphony Orchestra, Ensemble Phoenix Basel, Timothy Munro, Ensemble Intégrales e Vanessa Tomlinson. In altri ambiti di ricerca musicale ha suonato e registrato con Jérôme Noetinger, Mike Patton, Han Bennink, Stephen O’Malley, Jon Rose, Christian Fennesz, Paul Lovens, Lucas Abela, eRikm, Valerio Tricoli, Erkki Veltheim, Scott Tinkler, Rohan Drape, Anthony Burr e The Necks. Ha pubblicato per Tzadik, Mego, Synaesthesia, Ipecac, e ha fondato le etichette discografiche Immediata e Off Compass. E’ stato direttore artistico della Melbourne International Biennale of Exploratory Music.

SondaMusicaResidente: Multimedi-On

multimedi onLa creatività personale, la consapevolezza timbrica e dinamica, l’esplorazione delle varie strategie e metodologie di composizione istantanea sono state le linee guida su cui si è mosso il progetto “Multimedi-On”, residenza artistica coordinata da Camilla Battaglia (voce, elettronica, direzione e composizione) e dal light designer Martin Mayer. A seguito della selezione svoltasi a Marzo 2020, l’organico di 6 musicisti composto da Michele Bonifati (chitarra), Simone Di Benedetto (contrabbasso), Giovanni Minguzzi (batteria), Filippo Orefice (sassofono), Nicola Raccanelli (elettronica), Elena Roveda (flauto), ha lavorato assieme ai due tutori della residenza per la creazione di un’opera incentrata sull’interazione tra espressione artistica e light sculpture, in un contesto di smaterializzazione della presenza scenica in favore di una rappresentazione visiva dell’azione musicale. Durante il concerto finale tenutosi all’interno de La Torre Domenica 25 Ottobre, la luce e il buio sono diventati il palcoscenico su cui dialogare e i musicisti si sono trasformati in quello che nelle opere di Mayer si definisce “interactive audiovisual sculpture”, ovvero delle silhouettes che nell’atto della performance sono influenzate dall’azione della luce.
Camilla Battaglia – Nata nel 1990, figlia d’arte (e che arte: il pianista Stefano Battaglia e la cantante Tiziana Ghiglioni), ha una formazione classica, come pianista e cantante. Ma il dna jazzistico familiare non tarda a manifestarsi: appena ventenne esordisce su disco col trio di Renato Sellani (Joyspring). Sempre nel 2010 si fa notare al Premio Internazionale Massimo Urbani, l’anno successivo si distingue al Premio Internazionale Chicco Bettinardi e nel frattempo si afferma in vari concorsi organizzati da festival jazz italiani. La si trova quindi come voce solista (e talvolta corale) con l’Orchestra Jazz della Sardegna, la Siena Jazz Orchestra, l’Orchestra Nazionale Jazz Giovani Talenti diretta da Paolo Damiani, la Civica Jazz Band diretta da Enrico Intra.
Martin Mayer – Nato ad Altötting nel 1976. Vive e lavora a Monaco. Nel 2001 ha fondato il gruppo video “Shado sinfusion synkretistem” con cui affronta le possibilità di manipolazione creativa di immagini in movimento. Nel 2006 fonda il collettivo Kopffuessler, con l’obiettivo di approfondire ulteriormente le tematiche legate al design audiovisivo. Dal 2003 al 2010 ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Monaco con il professor Res Ingold. Dal 2005 al 2007 ha interrotto gli studi per studiare con il professor Michael Bielicky presso la State University of Design di Karlsruhe e per lavorare nel campo della post-produzione a Ho Chi Minh City in Vietnam. Dal 2010 lavora come media artist freelance ma anche come consulente nel campo dei media digitali.

SondaMusicaResidente: Rock ALL Opera

rock all operaQuinta edizione per il progetto realizzato dal Centro Musica del Comune di Modena assieme alla Fondazione Teatro Comunale Luciano Pavarotti con l’obiettivo di realizzare la produzione di un live a teatro, sviluppando l’idea di un concept album da portare il scena all’interno della rassegna “L’Altro Suono” del Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena. Novità più importante della scorsa edizione è l’inedita formula della una residenza artistica, svoltasi all’interno de La Torre con la supervisione dei tutor di Rock All Opera: Alex Class (musicista collaboratore di Irene Grandi, Biagio Antonacci, Patty Pravo), Lalo Cibelli (cantante e attore, ha partecipato al musical “Tosca, amore disperato” di Lucio Dalla e a diverse edizioni del “Pavarotti & Friends”), Tommy Togni (musicista e autore) e Tony Contartese (attore e regista, docente allo Sted di Modena).
Ad andare in scena sabato 25 Luglio ai Giardini Ducali di Modena, all’interno del programma dell’Estate Modenese – purtroppo infatti il concerto previsto a teatro il 23 Aprile è stato rimandato a causa delle restrizioni per il Covid19 – è stato “The Summit”, rock opera della giovane autrice Gaia Bedini, accompagnata sul palco da Nicolò Bertoni alla batteria, Mattia Fazio a basso e contrabbasso, Luca Bonfiglioli e Michele Zanasi alle chitarre. Le canzoni di “The Summit” affrontano la dualità fra desiderio di partire e nostalgia di casa, muovendosi fra memorie, amore familiare, richiamo della libertà, frenesia della partenza e malinconie. Fra le canzoni dell’album, l’autrice ne ricorda cinque: “Amber” è un inno alla memoria, incastonata nell’ambra appunto, e all’amore familiare che persiste a ogni lontananza; “Fish Out of Water” rappresenta la paura di essere inadeguati e di non essere compresi nelle proprie intenzioni; “Golden-eyed girl” è una canzone allegra e ritmata che rappresenta la frenesia del viaggio, la fierezza di essere per strada e la luce delle cose nuove; “How Far is Far” è una malinconia dolce e delicata, che ricorda la mia pianura emiliana nell’arsura estiva e i primi amori sbocciati all’ombra degli alberi; “Vagabond Blood” è come rassegnarsi alla propria natura, abbandonarsi ad essa, conoscendo però la solitudine che ne deriva.

SondaMusicaResidente: Soundtracks 2020

soundtracksOttava edizione per Soundtracks – Musica da film, progetto di residenza artistica incentrato su le sonorizzazioni e gli esperimenti tra cinema muto e musica contemporanea, e che si rivolge a tutte le realtà musicali interessate all’integrazione tra linguaggi musicali e cinematografici. Promosso da Associazione Culturale MUSE in collaborazione con Centro Musica del Comune di Modena, e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, è curato da Corrado Nuccini dei Giardini di Mirò. Nell’edizione 2020 sono stati selezionati 8 giovani musicisti emiliano-romagnoli, che nel corso di una intensa residenza artistica presso La Torre hanno avuto modo di approfondire argomenti che spaziano dalla registrazioni d’ambiente e il field recording, alle contaminazioni tra rock, musica elettronica, musica jazz e avanguardie, dall’improvvisazione sulle immagini all’uso di effetti e strumenti autocostruiti e non convenzionali. Fra i docenti dei workshop Soundtracks ha ospitato Stefano Boni (Museo del Cinema di Torino), Massimosoundtracks Carozzi (Accademia Belle Arti di Bologna, Zimmerfrei), Xabier Iriondo (musicista, Afterhours). Durante il periodo di residenza, il collettivo musicale formato dagli artisti selezionati – Laura Agnusdei, Marta Ascari, Tullia Benedicta D’Aquino Canestraro, Simone Di Benedetto, Giovanni Minguzzi, Giulia Pastorino, Giulio Stermieri, Alessandro Turrini – ha lavorato su due produzioni sonore, finalizzate ad altrettante performance pubbliche e coordinate da due guest d’eccezione: il 21 giugno 2020 al SuperCinema Estivo di Modena, nel contesto della Festa Europea della Musica, con lo spettacolo “Anemic Cinema” – composto da cortometraggi del cinema d’avanguardia del secolo scorso, da Marcel Duchamp e Man Ray fino a Maya Deren e Kenneth Anger, passando per Luis Bunuel – in cui il collettivo ha avuto modo di lavorare assieme ad Enrico Gabrielli, polistrumentista già in formazioni come Mariposa e Calibro 35, e collaboratore di artisti del calibro di Mike Patton e PJ Harvey.
Seconda produzione invece come di consueto è stata quella ospitata all’interno di Festivalfilosofia, sabato 19 settembre 2020, in cui i musicisti si sono cimentati nella sonorizzazione di Metropolis di Fritz Lang, pietra miliare assoluta del cinema muto e di fantascienza, supportati nel lavoro dal chitarrista e compositore Stefano Pilia (Afterhours, Massimo Volume, Rokia Traoré).

Sonda Club 2020

sonda club“Grande è la confusione sopra e sotto il cielo” sono le parole presenti in uno dei brani della nuova accoppiata di Sonda Club con cui volevamo iniziare questa presentazione.
Perché se la confusione regna sovrana Sonda Club rimane una certezza e la scia di singoli che questa collana si lascia alle spalle aumenta anno dopo anno.
La formula è invariata. Un big della regione (presente con un suo brano sul lato A) fa da garante ad un giovane artista iscritto al progetto Sonda (presente sul lato B).
Le scelte operate dai big sono la conseguenza di alcuni ascolti nel grande bacino di Sonda, al fine di trovare il pezzo più intrigante ed originale da accompagnare alla loro canzone.
Scelte difficili per l’alta qualità degli iscritti che testimoniano ancora una volta il ricco panorama regionale pronto ad invadere il mercato discografico nazionale.
Quest’anno siamo particolarmente soddisfatti e contenti.
I big che hanno deciso di sposare le finalità di Sonda Club sono Massimo Zamboni (ex chitarrista dei CCCP Fedeli Alla Linea, C.S.I.) e i Modena City Ramblers. Due progetti di indubbio valore nei rispettivi ambiti musicali che hanno scritto pagine indelebili nella storia della musica italiana.
Massimo Zamboni ci ha regalato “A ritroso”, brano apparso per la prima volta nel cd del 2010 “L’Estinzione di un colloquio amoroso”, poi ripreso nel disco dal vivo dell’anno successivo “Solo una terapia: dai CCCP all’estinzione” e proprio questa versione live è quella impressa sul vinile di Sonda Club.
I Modena City Ramblers, invece, ci hanno omaggiato un brano apparso nel loro album del 2017, “Mani come rami, ai piedi radici”, intitolato “Volare controvento”, poi ripreso nel disco del 2019 “Riaccolti”, registrato dal vivo all’Esagono Recording Studio.
Una delle caratteristiche delle 300 copie di ciascun vinile è il colore, che cambia ad ogni pubblicazione.
Per Massimo Zamboni abbiamo scelto un colore particolare. Pensando alla sua attitudine punk siamo andati alla ricerca di una pasta di vinile color oro. Il punk incontra il lusso e ne rimane turbato o indifferente. Dipende dal momento o dal caso (che diventa caos).
Per i Modena City Ramblers il colore del vinile poteva essere uno e solo uno: il verde, quello dell’Irlanda, del loro folk rock, della natura e della voglia di libertà senza confini. Verde trasparente come l’acqua che purifica e lava le ingiustizie ed i soprusi.
Ma sul lato B cosa succede?
Succede che Massimo Zamboni ha scelto il brano “Interludio” di Arianna Poli (da Ferrara). Un pezzo dall’incedere dorato (vuoi vedere che il colore del vinile è perfetto anche per lei), unasonda club canzone delicata che sul finire diventa arrabbiata per qualche secondo grazie ad una chitarra alla cartavetrata, che scuote e ti fa sgranare gli occhi. “Riesci a vedere quella pioggia?” canta Arianna “e tutti noi saremo coinvolti” in “subbugli, tumulti, palazzi, campagne elettorali”. Un brano così breve che quando finisce rimani disorientato. Così con un balzo felino vai alla ricerca della puntina del giradischi per poterlo riascoltare. E boom tutto ricomincia.
I Modena City Ramblers, al contrario, hanno deciso che “Muto” di Matteo Polonara & Mataara Trio (da Bologna) doveva accompagnare il loro brano. Matteo con la sua canzone riesce senza ombra di dubbio a farci battere il piedino, riesce a farci girare la testa, riesce a portarci in giro per il mondo. “Come è andata la tua giornata?” chiede Polonara, una domanda che nasconde una curiosità e la voglia di entrare in contatto con mondi diversi. Una giostra di parole e musica che all’improvviso si ferma lasciandoci nel vuoto della solitudine. Un turbinio di colori che nel verde trasparente del vinile ci sguazza come un bambino che ha appena trovato una nuova scatola piena di giochi.
Sonda Club continua la sua scia di pezzi di plastica colorata. Plastica piena di emozioni musicali.
Emozioni che per 300 ascoltatori saranno (addirittura) gratuite.

I live di Sonda visti da voi: Sons of Lazareth

sons of lazarethSONS OF LAZARETH
Covo Club, Bologna, 15 novembre 2019
(main guest The Detroit Cobras)

Può capitare di frequentare un rock club da spettatore e con Sonda arrivarci nelle vesti di musicista: “Il locale dove abbiamo suonato, Il Covo, essendo un club storico dell’underground bolognese lo conoscevamo molto bene e tante volte lo abbiamo frequentato da spettatori sognando anche da bolognesi d.o.c. di poter un giorno salire su quel palco. Però non si era mai creata l’occasione, che è arrivata con l’apertura ai Detroit Cobras. È stato un sogno che si è avverato”. Una apertura perfetta per i Sons Of Lazareth che continuano a raccontare: “Conoscevamo già i The Detroit Cobras essendo molto legati alla musica statunitense e ci sentiamo in linea con il loro genere, considerando che molti ci attribuiscono sfumature garage rock o proto punk”. Però una serata diventa piacevole anche quando l’atmosfera è quella giusta: “I gestori del Covo sono persone amiche che conosciamo perché molti di loro “in primis” sono musicisti con cui ci troviamo a condividere serate e palchi nelle varie nottate bolognesi. Persone sempre professionali in tutto e per tutto. Inoltre, è stato molto bello vedere sotto il palco musicisti “giramondo” di una band come i Detroit Cobras ascoltarci interessati”. Fin qui tutto bene ma il pubblico come ha reagito ai Sons Of Lazareth: “Noi siamo sempre soddisfatti dei live perché suoniamo principalmente per noi stessi e quindi non facciamo mai troppo caso a chi ci guarda mentre ci esibiamo (una sorta di dimensione parallela nel momento in cui siamo sul palco); poter presentare la nostra musica è qualcosa di inspiegabile ed impagabile. Quindi per noi qualsiasi risposta del pubblico ci fa piacere e ci soddisfa”. Se poi in platea c’è qualche faccia conosciuta che addirittura ti critica non si può certo chiedere di più: “Ci siamo scambiati contatti e complimenti con l’altra band d’apertura, i Fucking Cookies e poi tutte le volte c’è sempre qualche nostro amico che ci critica la scaletta perché lasciamo fuori la sua canzone preferita. Un grande classico”. Momenti indelebili da raccontare e riraccontare: “Avevamo talmente tanta carica che abbiamo praticamente suonato i pezzi ad una velocità esagerata ma in quel momento per noi era normale. Dopo riguardando i video avevamo gli occhi sbarrati”. Ma del progetto Sonda cosa ne dicono i ragazzi: “Il Progetto Sonda andrebbe reso “patrimonio nazionale”. Da custodire e mantenere”. Bene, anche noi di Sonda siamo felici della riuscita del concerto: “È stato un live da mettere nella zona alta della nostra classifica anche per una questione di orgoglio e blasone del locale oltre che per la bellezza della serata”.