Gabriele Minelli segnala alcuni degli iscritti a Sonda più interessanti tra quelli che sono stati lui attribuiti negli ultimi anni.
Un breve doveroso preambolo: stilare graduatorie non è esattamente il mio mestiere, né tantomeno una pratica che mi renda particolarmente felice esercitare. Ovviamente di tanto in tanto si rende necessario farlo; ma, soprattutto in questo caso, prevalgono comunque il piacere e la curiosità di avere a che fare con i ragazzi, tante piccole realtà che credono fermamente nella propria musica e che mi danno la possibilità di confrontarmi con il “paese reale” là fuori. Veniamo ora alle scelte.
Her Skin
Senza ombra di dubbio la cosa migliore ascoltata in questi anni di Sonda! Sara è una songwriter già formata, che non ha il timore di nascondere le influenze che guidano la propria scrittura. Il fatto che si ispiri a un repertorio, quello dell’indie folk soprattutto di matrice americana, e che è uno dei miei preferiti, è solo incidentalmente un altro plus. Con il nome d’arte di Her Skin Sara ha già alle spalle un piccolo catalogo di pubblicazioni indipendenti, che mette in mostra la capacità di scrivere piccoli solidi gioiellini che si reggono sui suoni acustici di chitarra ed ukulele e sulle carezze melodiche della sua voce. Sarei molto curioso, e lei già lo sa, di sentirla alla prova anche con l’italiano, per vedere “l’effetto che fa”; e mi piacerebbe anche che decidesse di esplorare altre strade a livello di arrangiamento, magari arricchendo i vestiti delle sue canzoni e sviluppando i frammenti melodici che emergono solo di tanto in tanto tra le loro pieghe. Decisamente una bellissima scoperta, che non vedo l’ora di gustarmi dal vivo e che mi auguro non resti “confinata” ai soli palati del pubblico più indie.
Barone Lamberto
Un’altra sorprendente realtà che sicuramente saprà trovare lo spazio che merita. Kheyre, con il suo progetto Barone Lamberto, è riuscito a sintetizzare una patchanka al tempo stesso tribale e urbana. Immaginatevi Vinicio Capossela che incontra Caparezza, alla fine di un percorso partito dall’elettronica fatta con macchine e pc e che arriva a un disco intriso di sudore e canzoni pensate per essere suonate sul palco. Barone Lamberto è un progetto solido, credibile e ispirato, già pronto per il test del pubblico: Kheyre è addirittura stato così bravo e lungimirante da pensarlo già in vesti differenti, dallo studio al live alla versione busking! L’ho già consigliato ad alcuni promoter, e per me resta una scommessa su cui investire per chi lavora in maniera capillare con la musica live. Il consiglio che tuttavia mi sento di dargli è di cercare costantemente una strada, soprattutto a livello di arrangiamenti, che sia contemporaneamente moderna e personale, al fine di evitare di sembrare il figliol prodigo (o derivativo) di altri artisti.
La Convalescenza
Una band di 5 elementi molto coesa e tecnicamente ineccepibile. Anche in questo caso i riferimenti e le ispirazioni sono molto definite, e collocano La Convalescenza a pieno diritto in quel panorama musicale di band italiane che hanno saputo mescolare il post punk con le derive del metal e talvolta del grunge, e che hanno dominato i nostri palcoscenici dalla seconda metà degli anni ’90 in avanti. Io spingerei ulteriormente, e senza remore, sul fronte del minimalismo, asciugando le liriche e allontanando qualche eco decadentista di troppo, che con queste sonorità rischia di suonare eccessivamente “già sentito” e anche un po’ datato. L’attività live è cruciale e deve sicuramente aiutare i ragazzi ad affinare il proprio linguaggio e la scrittura di brani, che hanno comunque di base una solidità e un’espressività a livello di performance già molto a fuoco. Il loro ultimo ‘singolo’ Zeno mi sembra già andare nella giusta direzione, e di sicuro altri ne arriveranno.
Plastic Light Factory
Anche in questo caso parliamo di una band, di un trio per la precisione, che non solo non fa mistero delle proprie influenze, ma le sbandiera persino in biografia. Già dal primo ascolto si capisce immediatamente come ci si stia muovendo entro confini stilistici d’Albione, e specificamente quelli del paisley pop: PLF sono giovani ma per nulla sprovveduti, e l’estrema fedeltà ai canoni del genere, insieme a un songwriting già molto maturo e qualitativamente di alto livello, hanno attirato immediatamente le attenzioni dei media di settore, da Rockit a MTV che li ha premiati come Artisti del Mese del settembre 2016. A mio avviso la sfida è proprio nell’essere capaci, piano piano, di allontanarsi dai lidi sicuri del genere cui la band si ispira. La provocazione che ho lanciato ai ragazzi è stata proprio questa: a partire dalla scelta dell’inglese, che nel loro caso regge e gira sufficientemente bene ma che comunque li relega ad essere una band “di genere”, fino ad arrangiamenti e produzioni, la strada da intraprendere è quella del diventare il più possibile personali e identificabili, per imporre magari la definizione di sound “alla Plastic Light Factory” invece che di una band che “suona tipo un altro gruppo”.